Riprendiamo dal SECOLO XIX di oggi, 30/04/2021, a pag. 40 con il titolo 'Una data fondamentale per la nostra Storia. Dobbiamo molto all'Italia', l'intervista di Giulio Gavino a Dror Eydar.
A destra: Dror Eydar, Ambasciatore di Israele in Italia
“Sanremo? In Israele la conosciamo tutti. Ma non per il Festival. È nei nostri libri di storia, è una delle tappe fondamentali della nascita dello stato ebraico. Lo studiamo tutti al liceo, da ragazzi. E quel nome ci rimane impresso per tutta la vita». L'ambasciatore Dror Eydar, giornalista, incaricato da Benjamin Netanyahu nel 2019, ostenta con orgoglio questo legame profondo che l'ha portato in Riviera per i 101 anni della conferenza di pace del 1920.
Ma cosa rappresenta quel momento storico? «La dichiarazione Balfour nel 1917 fu il seme, il trattato di Sanremo l'embrione. E era dal 70 d.c., dalla distruzione di Gerusalemme, che eravamo senza una casa. In quella occasione venne sancito un punto di svolta nel diritto internazionale. Per noi si tratta del sogno millenario di tornare a Sion, la realizzazione delle profezie che sono contenute nella Bibbia».
Certo che noi italiani l'abbiamo fatta grossa, il Castello Devachan in un secolo è diventato un condominio... «Il luogo è importante, fa parte della memoria, ma lo sono altrettanto i contenuti. I documenti che siamo riusciti a trovare grazie agli archivi italiani raccontano la Storia».
I protagonisti della conferenza di Sanremo
"Il Mandatario avrà la responsabilità di porre il paese in condizioni politiche.... tali da garantire l'insediamento della Casa Nazionale Ebraica" - così riporta il trattato. «Ed è quello che è accaduto, 28 anni dopo, con l'Onu. Senza il passaggio da Sanremo però non ci sarebbe stato tutto il resto. La titolarità del popolo ebraico in Terrasanta è nata qui. La conferenza ha certificato la nascita di Israele, sancendo il diritto del popolo ebraico. Noi dobbiamo molto all'Italia».
In che senso? «Non c'è stato solo il trattato di Sanremo. Anche il Risorgimento italiano ci ha insegnato molto. Proprio il processo di unificazione nell' Ottocento fu un modello che ispirò a fine secolo i filosofi e i sostenitori del sionismo. È come se fosse nata una sorta di ideale del risorgimento ebraico. Un altro momento storico fondamentale per quella che sarebbe diventata poi futura nazione di Israele».
Un rapporto con L'Italia, una storia, macchiata però dalle leggi razziali decise dal fascismo e firmate dal Re... «Una vergogna, una macchia. L'antisemitismo è un po' come una pandemia, si combatte costantemente ma rischia sempre di riemergere. Abbiamo il vecchio antisemitismo, lo conosciamo bene. Ma c'è da temere soprattutto il nuovo antisemitismo. Chi si nasconde dietro alle parole, parlando di antisionismo, di essere anti-Israele, di fatto dice le stesse cose del vecchio antisemitismo. È come se indossasse una maschera. Da questo ci dobbiamo difendere, tutti».
Questione di cultura... «Il mondo è molto strano. Quando non avevamo una casa ci dicevano "Ebrei andatevene in Palestina". Quando abbiamo avuto una terra hanno iniziato a dire "Ebrei lasciate la Palestina". Gli stereotipi sono difficili da superare, da combattere, da far dimenticare. È fondamentale conoscere un popolo, conoscere la sua cultura, la sua religione, come ad esempio i legami intensi tra l'ebraismo e il cristianesimo».
Ma esiste un vaccino oltre la cultura contro l'antisemitismo in tutte le sue forme? «Crediamo nella legge, nella disponibilità e nella volontà dell'Italia di varare una norma in grado di punire l'antisemitismo in tutte le sue espressioni».
E oggi il rapporto con l'Italia? «Noi, come Israele, abbiamo molto da condividere. In termini di innovazione, tecnologia, ricerca. In questi giorni abbiamo avviato una collaborazione con l'ospedale di Careggi a Firenze. Stiamo studiando gli effetti di un vaccino e siamo arrivati alla terza fase, studiano l'impatto sulle donne incinta, sui malati oncologici. Un vaccino che potremmo arrivare a produrre insieme, anche con uno stabilimento da realizzare in Italia».
Scambi reciproci in vista quindi... «Dobbiamo superare questo momento terribile della pandemia. Credo molto anche in una collaborazione per arrivare ad un "green pass" che consenta a decine di migliaia di israeliani di tornare presto a visitare il vostro meraviglioso Paese».
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