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La Stampa Rassegna Stampa
29.04.2021 Kuwait: le donne dicono basta alle violenze
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 29 aprile 2021
Pagina: 23
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Farah, assassinata per un no, la rivolta delle donne in Kuwait»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/04/2021, a pag.23, con il titolo "Farah, assassinata per un no, la rivolta delle donne in Kuwait" la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

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Il profilo Twitter Lan asket

Ha fermato la sua auto per strada. L'ha costretta a scendere e l'ha portata in un posto isolato. E poi l'ha massacrata a coltellate. Un colpo al cuore le è stato fatale. E morta così Farah Hamza Akbar, una giovane kuwaitiana che aveva avuto l'ardire di respingere una protesta di matrimonio. Un omicidio annunciato. Con minacce sempre più esplicite a lei e alla sua famiglia, che l'appoggiava in quella scelta e l'aveva spinta a denunciare tutto alla polizia, più volte. Non è bastato. Farah non è stata protetta, è finita inerme fra le mani del suo assassino. Ma questa volta il Kuwait non ci sta, migliaia di donne scendono in strada ogni giorno, riempiono la centrale piazza Irada nella capitale, davanti al Parlamento, e urlano la loro rabbia. «Vi avevamo detto che l'avrebbe uccisa, nostra sorella. E lo ha fatto. Dov'è il governo, dov'è la polizia?». Farah può essere ciascuna di loro, in un Paese dove «il delitto d'onore» è ancora pratica comune e dove le molestie cominciano a essere denunciate soltanto adesso, in un Metoo che si è allargato a tutto il mondo arabo. All'inizio dell'anno è nato il movimento Lan_asket, «non starò zitta», spopola sui social media e le giovani hanno trovato il coraggio di denunciare, le famiglie le appoggiano. Anche quella di Farah, che aveva segnalato al commissariato l'uomo che continuava a insistere, a importunarla, a minacciare. Non ha cambiato la sua sorte ma forse quella di altre sì. Non è più tempo di impunità. Le autorità questa volta si sono date da fare. L'uomo, non identificato, è stato arrestato.

MeToo movement emerges in Kuwait - The Frontier Post

Ha confessato l'assassinio, anche se ha cercato attenuanti, ha raccontato di aver portato Farah all'ospedale, agonizzante. I medici l'hanno trovata già morta. È stato incriminato per omicidio di primo grado, rischia comunque la pena di morte. Una condanna che potrebbe segnare una svolta. Fino a oggi i delitti «d'onore» hanno portato a sentenze lievi, viste le «attenuanti», molti assassini non finiscono neppure in cella. Come nel caso di Fatima al-Ajami, guardia al Parlamento, uccisa dal fratello per una storia d'amore che non accettava. Le pressioni internazionali, e l'indignazione delle kuwaitiane, cominciano però a farsi sentire. Lo scorso settembre l'Assemblea, una delle poche liberamente elette nei Paesi del Golfo, ha approvato una legge contro le violenze in famiglia. Prevede anche la costituzione di case sicure per donne perseguitate da mariti o parenti stretti e misure restrittive per impedire loro di avvicinarsi alle vittime. Un primo passo positivo. Ne serviranno molti altri, soprattutto sul fronte culturale, per trasformare i «delitti d'onore» in qualche cosa di inaccettabile anche per gli uomini. I social media, in questo caso, giocano un ruolo positivo. La tragedia di Farah, e la rabbia che ne è seguita, è stata enfatizzata nei dibattiti in rete. Il movimento Lan asket, «non starò zitta», lanciato da Shayma Shamo, una dottoressa 27enne appena tornata in patria dopo aver studiato all'estero, ha sempre più seguito, specie da quando hanno aderito celebrità come la fashion blogger Ascia al-Faraj, con i suoi 2,5 milioni di seguaci. Puntano il dito contro l'enorme numero di molestie e violenze che non vengono denunciate per via della «cultura della vergogna», nel timore che la colpa finisca per essere rovesciata sulle vittime. “Appena ho aperto l'account — ha raccontato Shayma — sono stata sommersa da messaggi: il silenzio non è più un'opzione, dobbiamo parlare, unirci e difenderci una con l'altra». Per Farah è troppo tardi, per le altre no.

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