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La Repubblica Rassegna Stampa
26.04.2021 Sarah Halimi: nessun colpevole dell'assassinio
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 26 aprile 2021
Pagina: 17
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Sarah, la maestra ebrea uccisa senza un colpevole»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/04/2021, a pag. 17, con il titolo "Sarah, la maestra ebrea uccisa senza un colpevole", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy


Sarah Halimi

Tutto, in questa vicenda, stringe il cuore. Il destino di questa donna, direttrice d'asilo in pensione, massacrata di botte prima di essere defenestrata. La debole palinodia intorno alla caratterizzazione antisemita o meno di questo omicidio perpetrato al grido di «ho ucciso un demone». Il silenzio delle associazioni femministe che fanno un lavoro straordinario a sostegno delle donne maltrattate, vittime di violenze domestiche e che stavolta non si sono fatte sentire. Il verdetto, in dicembre, della Corte d'Appello, poi della Corte di Cassazione, in cui si stabilisce che Kobili Traoré, l'assassino, con una ventina di condanne a carico sulla fedina penale, ha agito, in quella circostanza, in uno stato di bouffée delirante [psicosi delirante acuta] e deve quindi essere ritenuto penalmente irresponsabile. Per non parlare delle anime buone che, vedendo che il diritto si è espresso ma non è stata fatta giustizia, continuano a ripetere che «comprendono l'emozione della comunità ebraica»: come se fosse solo la comunità ebraica e non l'intera comunità nazionale, ad avere motivo di sentirsi offesa da questo processo sottratto e da questo lutto ormai impossibile! Così, di fronte a questa sconfitta giudiziaria e morale, voglio fare tre osservazioni.

1. Essendo i giudici dei semplici mortali, soggetti al pregiudizio, all'errore di giudizio e anche alla passione, non è vietato, contrariamente a quanto si sente dire ovunque, «commentare una decisione giudiziaria». Sì, questa sentenza è scandalosa. Sì, siamo un Paese in cui un uomo che getta il suo cane dal quarto piano viene condannato a un anno di prigione, ma se massacra una vecchia signora ebrea non può essere processato. Sì, è preoccupante sapere che l'assassino, che non aveva precedenti di disturbi psichiatrici, che non soffriva e non soffre di nessuna patologia e che non è, del resto, oggetto di alcun trattamento farmacologico dal momento del suo ricovero, riacquisterà presto la sua libertà. E no, non è vietato preoccuparsi dello stato di un diritto positivo che è troppo frequentemente prigioniero anch'esso della cultura imperante della scusa: appena il mese scorso, a Sarcelles, sono stati incapaci di caratterizzare il gesto di un individuo che, armato di coltello, ha aggredito tre persone che uscivano da una sinagoga con una kippah sulla testa...

2. È vero che la Corte di Cassazione è chiamata a giudicare non sul merito, ma sulla forma delle cause che le vengono sottoposte. Ma non è vero che debba per questo essere composta da dei robot. Non è vero, come si ripete con un masochismo sorprendente, che il suo ruolo debba ridursi a verificare la conformità di una decisione giudiziaria con lo stato del diritto. E la Corte di Cassazione avrebbe potuto benissimo, come fa tutto l'anno, andare oltre un'interpretazione restrittiva dei testi; aveva il diritto di commentare il silenzio di una legge che si astiene dal distinguere tra "bouffée delirante" e "follia"; avrebbe potuto benissimo, in altre parole, sollevare la questione di questa incertezza giuridica e, preoccupata di vedere confisse irresponsabilità penale e immunità morale, decidere: «Non giudichiamo certo i malati mentali e si capisce che un uomo il cui giudizio è compromesso dalla pazzia è penalmente irresponsabile; ma che dire della persona che non è pazza? Che dire del jihadista che ingerisce del Captagon per portare a termine il suo attacco? E che dire del soggetto che, assorbendo una sostanza disinibente, ha egli stesso contribuito al suo disordine neuropsichico». La Corte, così facendo, avrebbe rinviato l'imputato a un'altra camera istruttoria che lo avrebbe senza dubbio portato davanti a una corte d'assise. E avrebbe fatto, ripeto, quello che fa sempre e che si chiama "giurisprudenza": lo fa quando interviene, attraverso i suoi pareri, nel diritto del lavoro; lo fa quando propone la riqualificazione dei contratti di Uber o Deliveroo; è fonte creativa di diritto quando esamina i grandi reati finanziari come il riciclaggio di denaro; perché dovrebbe esimersi dal prendere qualsiasi iniziativa di fronte a un rischio di confusione e, dunque, di ingiustizia così manifesta?

3. Quando una legge è lacunosa, o inadatta, o non permette più di giudicare con saggezza, il bello di una democrazia è che può rimetterla in questione. Ed è per questo che, di fronte al moltiplicarsi di attacchi antisemiti che spesso non sono altro, per definizione, che "deliri", frutto di "bouffée delirante" che "alterano il giudizio", su questo siamo tutti d'accordo, spetta al legislatore entrare nel dibattito e dare al giudice o, meglio, al popolo sovrano i mezzi per non dover più scaricare il problema sugli psichiatri. Questo è ciò che propone il presidente della Repubblica. Questo è quanto suggerisce il portavoce del governo quando dichiara che il consumo di droga non può essere considerato una licenza di uccidere. Ed è questo che hanno in mente i deputati e le senatrici quando propongono di chiarire l'articolo 122-1 del Codice Penale distinguendo le cause dell'offuscamento della ragione che hanno portato al crimine. È necessaria per questo una modifica della legge voluta dal ministro della Giustizia per «ristabilire la fiducia nell'istituzione giudiziaria»? O la gravità della questione, l'urgenza, la necessità imperativa di obbligare un assassino antisemita o razzista, anche se intossicato da un eccesso di cannabis, un guru identitario o un imam salafita, a rispondere del suo atto, merita una legge specifica? Io propendo per la seconda strada. E questa nuova legge — anche se non permetterà, ahimè, di rendere retroattivamente giustizia alla vittima... — suggerisco di chiamarla "legge Sarah Halimi".
Traduzione di Luis E. Moriones

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