Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/04/2021, a pag. 17, con il titolo "Saad Hariri: 'La mia vita in pericolo per un Libano più moderno'", l'intervista del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Saad Hariri
“Metto in conto la possibilità di essere assassinato». Saad Hariri, 51 anni, primo ministro designato in un Libano senza governo, vede il suo Paese in bilico fra i conflitti feroci del Medio Oriente e le prospettive di una nuova stagione di modernità e prosperità. Lo incontriamo dopo i suoi colloqui romani con il Papa e Draghi. Parla a braccio, non ha appunti e non abbassa mai gli occhi. Ha ben chiaro il messaggio che vuole consegnare all'Italia. Pronuncia frasi sulla pace in Medio Oriente, l'Iran e gli Hezbollah che possono costargli la vita, come avvenne nel 2005 al padre Rafiq, assassinato da una gigantesca esplosione nel cuore di Beirut. Ma Saad, come il padre, è il leader sunnita più popolare nel Paese dei Cedri, dispone dei voti in Parlamento per formare un «governo delle riforme» - anche se non può farlo per l'opposizione di Michel Aoun, il presidente cristiano alleato di ferro di Hezbollah - e soprattutto è consapevole di far parte di una nuova generazione di leader arabi sunniti del Medio Oriente che condivide con Sheik Mohammed bin Zayed degli Emirati la volontà di «porre fine alla stagione delle guerre per pensare alla prosperità dei cittadini». Da qui la scelta di guardare ai «nostri amici nel mondo», a cominciare dal Papa.
Perché ha invitato Papa Francesco In Libano? «Il Libano è in una situazione difficile, i libanesi hanno bisogno di sperare, di ogni amico su cui possiamo contare e il Papa rappresenta un simbolo di moderazione e dialogo fra cristiani e musulmani».
Che cosa la colpisce del Papa? «L'incontro con il Mufti di Al-Azhar, il viaggio ad Abu Dhabi, il dialogo con Sheik Mohammed bin Zayed, principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, hanno portato grandi speranze in Medio Oriente. Perché non abbiamo dispute fra cristianesimo, islam ed ebraismo ma solo crisi non religiose, dovute a interessi politici. C'è chi tenta di sfruttare la religione peri propri interessi, cullando le ambizioni. Ma a me, Saad Hariri, non importa chi è cristiano o musulmano in Libano. Siamo tutti cittadini della stessa nazione. Per questo quando il Papa verrà in Libano, dopo la formazione del governo, darà a tutti grande forza e speranza».
Le minoranze cristiane hanno sofferto molto a causa delle brutalità dello Stato Islamico (Isis) in Siria e Iraq: sono state perseguitate, oppresse, decimate, espulse. Potranno mai tornare nelle loro case? «Spero di si perché l'Isis non rappresenta l'Islam. È un'organizzazione terroristica che sfrutta l'Islam ai propri terribili fini. Se in Siria ed Iraq vi sarà stabilità, i cristiani potranno tornare perché sono fuggiti dalla guerra. Ma questi conflitti in Medio Oriente devono finire. L'unico motivo per battersi è il bene dei popoli che abitano questa regione, perla prosperità, per costruire le economie».
Al centro di questi conflitti c'è la sfida strategica fra l'Iran e molti dei Paesi della regione... «Si tratta di una perdita di tempo perché il Medio Oriente ha così tanta energia, potenziale, che invece di concentrarsi su chi deve prevalere è meglio impegnarsi perla prosperità, per migliorare la vita di tutti. Tutta questa discussione sul voler essere nucleari per me è una perdita di tempo perché l'energia atomica non contribuirà a sfamare la gente».
Vede dunque la possibilità di innescare in Medio Oriente una diversa dinamica fra gli Stati? «Dobbiamo fare il modo che ci sia. Dobbiamo promuoverla perché ciò che è avvenuto negli ultimi 20030 anni, con tante guerre piccole e grandi, non ha funzionato. Se non per chi ha portato via petrolio e energia».
II suo approccio al Medio Oriente ricorda da vicino il linguaggio di Sheik Mohammed bin Zayed, il leader degli Emirati protagonista degli accordi di Abramo con Israele. Che cosa pensa dl queste intese di pace? «Gli Emirati Arabi Uniti sono una nazione sovrana, hanno il diritto di fare ciò che vogliono e se questi accordi possono portare prosperità a loro ed alla regione, devono farli. Credo nella prosperità e credo nella pace».
II sottosegretario di Stato Usa, David Hale, è stato di recente a Beirut per sbloccare il negoziato fra il Libano e Israele sulla definizione del confine marittimo. Si può arrivare ad un'intesa? «Bisogna risolvere la questione. Gli israeliani in passato hanno più volte aggredito in Libano, oggi questa disputa deve essere risolta per il bene nostro come di Israele. Entrambi abbiamo da guadagnarci perché abbiamo davanti alle coste un mare pieno di energia. Più ci dividiamo sulla definizione del confine meno prosperità avranno i nostri popoli. Il Libano ha avanzato le sue proposte, dobbiamo finalizzare i negoziati».
I cittadini libanesi da oltre un anno manifestano per chiedere riforme. Quali sono le più urgenti da realizzare? «Siamo in una tempesta perfetta: il collasso finanziario, la pandemia, l'isolamento causato da Hezbollah e dalle sue azioni verso i vicini. Sono le premesse per il collasso ma in ogni situazione di crisi ci sono delle opportunità. E la nostra è formare un governo, composto di professionisti seri, per ricostruire la nazione. Le proposte del Fmi e l'iniziativa francese ci spingono nella giusta direzione. Per questo insisto sulla necessità di avere un governo di persone molto preparate. È importante che le fondamenta siano salde. Le piramidi non sono state costruite dai faraoni in un solo giorno».
Quale è il maggiore ostacolo alla formazione del governo? «È la differenza di mentalità sull'economia: da una parte c'è chi ritiene che lo Stato debba gestire tutto, dall'elettricità alle telecomunicazioni, dall'altra chi invece pensa che il mondo è diventato una realtà aperta e dobbiamo quindi portare dall'estero il meglio che c'è. Per questo crediamo nelle privatizzazioni, nel settore bancario, nelle partnership internazionali mentre gli altri hanno per modello l'Iran o la Siria. Sono scuole di pensiero assai diverse e spesso confliggono in Medio Oriente».
Che cosa serve al Libano? «Posso stare qui a parlare per ore delle armi degli Hezbollah ma ciò che più serve al Libano è la discussione sul modello economico, sul futuro che vogliamo costruire. Credo in un Libano moderno e giovane dove l'impresa, la Sanità e l'educazione siano prioritari. Che abbia al centro i suoi cittadini».
Gli Hezbollah sono parte del problema o della soluzione? «Possono essere parte della soluzione. Ora ho un grande scontro con il presidente Michel Aoun, sull'inchiesta sull'esplosione che in agosto ha devastato porto di Beirut. Sono pronto a trattare con tutti».
Se siete così distanti, perché gli Hezbollah dovrebbero seguirla? «Perché non hanno altre scelte. Non lascerò il Libano e non consentirò al Libano di avere un'economia non libera».
Sente che la maggioranza dei cittadini è con lei? «Si, è quello che sento. Paesi ex comunisti, come la Russia e la Cina, che sono oramai capitalisti. Perché mai il Libano deve essere imprigionato nel passato?».
Non teme di finire stritolato dalle contese fra partiti opposti? «No, perché ho la maggioranza dei voti Parlamento e l'ostacolo è che il presidente Aoun non vuole firmare la ratifica del mio governo. Se i miei avversari vogliono le elezioni, avranno più problemi di adesso».
Che aiuti si aspetta dai Paesi dell'Unione europea? «Soffriamo per covid e crisi quindi dai nostri amici, nel mondo arabo come Europa, abbiamo bisogno che vengano ad investire. Quando i palazzi crollano, crescono le opportunità per ricostruire».
Sarà l'Italia a ricostruire il porto di Beirut devastato dall'Imponente esplosione del 4 agosto? «Il porto di Beirut è un progetto imponente, possiamo creare un'area di libero scambio. Il collasso ci può consentire di fare cose a cui nessuno avrebbe immaginato».
Perché l'esplosione fu così devastante, secondo lei cosa avvenne? «Lo fu perché l'intero Medio Oriente è a soqquadro, perché le alleanze divise da linee rosse sulla sabbia creano instabilità, caos e guerrieri. Quando a Washington si parla di Iran, è qui che trema la terra».
Lei è stato di recente a Mosca. Anche la Russia è in Medio Oriente, ha truppe in Siria praticamente al vostro confine. Come si trova con Mosca? «Non male, lavorano con noi per stabilizzare il Libano. Ci hanno protetto da incursioni di altri Paesi».
Perché si è vaccinato con una dose cinese? «Lo avrei fatto con qualsiasi altro. Per me sono tutti uguali».
Di che cosa ha parlato con Draghi? «Dei migranti siriani, ne abbiamo 4,2 milioni e restano ancora da noi. È un terzo della nostra popolazione. E non riceviamo praticamente alcun fondo».
Suo padre Rafiq Hariri fu ucciso un anno dopo avere lasciato la guida del Libano. Ci dica qualcosa di lui che non sappiamo. «Amava alla stessa maniera, intensamente, l'Italia e la Francia».
Lei parla di pace in Medio Oriente in un Paese epicentro di conflitti sanguinosi. Non teme di essere assassinato? «Questo timore fa parte al mio lavoro. Prendo le mie precauzioni: ho imparato dagli errori di mio padre, mi occupo della mia sicurezza, adotto precauzioni in ogni occasione».
Il patriarca del Libano Bechara Boutros Rai dice di voler tornare a una vita normale mentre «ora siamo all'inferno». Vi riuscirete? «Non abbiamo alternative».
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante