La guerra dei nazisti contro i gatti Commento di Francesco Merlo
Testata: La Repubblica Data: 12 aprile 2021 Pagina: 24 Autore: Francesco Merlo Titolo: «La nera fattoria degli animali del Terzo Reich»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/04/2021, a pag. 24 il commento di Francesco Merlo dal titolo "La nera fattoria degli animali del Terzo Reich".
Francesco Merlo
La copertina (Bollati Boringhieri ed.)
A smontare la leggenda dei nazisti “animalisti”, precursori di una sensibilità moderna verso gli animali, ci pensa il gatto che i nazisti disprezzavano perché «perfido, falso, asociale», prodotto finale di un razza straniera e imprevedibile che, secondo le loro teorie, veniva dall’Oriente: «gli ebrei tra gli animali». La definizione è di Will Vesper, lo scrittore che componeva per Hitler fiabe sugli animali e, secondo Thomas Mann, era «uno dei peggiori buffoni nazionalisti» anche perché andava in giro puntando i gatti randagi con lo schioppo. La legge tedesca proteggeva, è vero, gli animali, ma solo quelli “padroni” e “predatori”, che avevano cioè le virtù del soldato nazista: «fedeltà, coraggio, resistenza, diligenza, obbedienza». Insomma «il cane germanico primigenio», il pastore tedesco, di cui Hitler fu per tutta la vita innamorato, fin da quando, caporale in trincea, incontro Wolf, il suo solo compagno britannico, che gli fu poi rubato rendendolo pazzo di furore. Hitler ne ebbe sei: tre maschi, tutti di nome Wolf,e tre femmine, tutte di nome Blondi: «più conosco gli uomini e più amo i cani» ripeteva. L’ultima Blondi fu avvelenata dal suo padrone il giorno prima del suo suicidio insieme a Eva Braun a Berlino nel bunker sotterraneo il 30 aprile 1945. Vegetariano, Hitler disprezzava la caccia («la cosa più decorosa della caccia è la selvaggina»), che invece eccitava Hermann Göring , il quale collezionava teste di cervo e allevava in casa almeno un paio di leoni. Il lupo, totemico, e i leoni erano gli animali “padroni”. Ma i nazisti amavano anche “i camerati cavalli”, purosangue alti, nobili e veloci ai quali il ministero della guerra eresse un monumento e la Wermacht dedicava poesie. Speciale era il culto per i maiali. L’allevatore Richard Walther Darré, il teorico di “sangue e suolo”, che vedeva nel suino «la razza guida dei popoli nordici», «l’animale odiato dai semiti nomadi e parassitari», insegnò a Himmler ad applicare agli uomini le conoscenze che aveva appreso sui polli e sui maiali. Dunque Himmler, seduto alla sua scrivania e armato di lente d’ingrandimento, esaminava le foto tessere delle aspiranti SS scartando tutti i candidati con i peli-setole troppo scuri e ovviamente con il naso aquilino e con gli zigomi marcati: «sono un selezionatore di sementi» diceva di sé. È dunque chiaro che non un precoce animalismo ma una follia razziale dominava i rapporti tra i nazisti e le bestie. E Bestiario nazista si chiama il libro (Bollati Boringhieri) che lo storico Jan Mohnhaupt ha dedicato agli animali del Terzo Reich, ai famosi zoo che mimetizzavano i campi di concentramento, al disprezzo per le pecore e all’odio per i gatti. Nel marzo del 1936 un decreto straordinario di tutela ambientale incitò a catturare i gatti randagi e consegnarli alla polizia che, dopo tre giorni, li sopprimeva. E ai cacciatori fu permesso di sparare a ogni gatto che si trovasse a 200 metri da una casa abitata, come in una prova generale di sterminio.