IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Dal 5 al 10 aprile 2021
La storia di Pacifica di Castro, ebrea del ghetto di Roma nel Seicento
La copertina
Nella Roma della fine Seicento Pacifica Di Castro, ebrea del Ghetto, si oppone con tutte le forze al tentativo del marito Samuel di associarsi a lui nella conversione al cattolicesimo. La resistenza tenace e disperata della donna scatena la furia del coniuge e della Chiesa tanto da essere più volte rinchiusa nell'infame Casa dei Catecumeni del rione Monti, lo stesso edificio dove un secolo e mezzo dopo verrà tenuto prigioniero il piccolo Edgardo Mortara. Non riuscendo ad averla vinta i carnefici si incrudeliscono. Samuel Di Castro - che nello sforzo di raschiare ogni traccia della propria ebraicità ha preso il nome di Carlo Antonio Fadulfi - violenta la donna e, per aggiungere tormento a tormento, le mostra i figli - che intanto ha fatto battezzare - e la minaccia: se non ti converti anche tu non li vedrai mai più. Pacifica non cede disposta a sacrificare tutto ma la propria identità e la propria fede. Cosa ne sia stato poi di lei non è dato sapere.
Questo frammento di storia è riemersa grazie al lavoro sapiente e minuzioso di Susanna Limentani che, laureatasi in Studi Ebraici presso l'Unione delle Comunità Ebraiche di Roma, ha a lungo lavorato su un memoriale custodito nell'Archivio Storico della Comunità romana, deposito di inimmaginabili preziosità guidato da Silvia Haia Antonucci. Acquistabile su Amazon, 'Opporsi alla conversione' è un testo denso e sconvolgente per la forza del ritrovamento e per l'impeccabile misura narrativa e scientifica. A merito dell'autrice va non solo aver sottratto al buio della smemoratezza plurisecolare Pacifica Citoni ma essere anche riuscita a contestualizzare uno dei tanti episodi di ferocia antigiudaica che hanno segnato la storia della Chiesa. (Detto per inciso: il paragrafo 1 dell'art. 868 del Codice canonico - tuttora vigente - ritiene lecito il battesimo di un bambino qualora "i genitori o almeno uno di essi o chi tiene legittimamente il loro posto, vi consentano"). Siamo di fronte a un chiaro quanto spietato delitto generato dalla convinzione di chi si vanta di rappresentare una fede superiore e legittimata a travolgere e inghiottire chiunque non vi appartenga. Ed è stato proprio l'antigiudaismo cristiano ha formare e informare l'antisemitismo moderno che oggi si presenta nella sua variante antisionista.
Un recente e penoso esempio ci è stato offerto da Massimo Recalcati su La Repubblica si è intestato una fantasiosa interpretazione teologico-psicoanalitica dove si rivendica la superiorità del verbo del Cristo nei confronti della visione ebraica. Quello di Recalcati è un testo dove l'insidia metodologica ripropone la vecchia quanto diffusa convinzione che la religione cristiana incarni un approdo superiore. E' questa cultura comune e diffusa, spesso inconsapevole ma non meno nociva. Ancora oggi la parola fariseo è spesso utilizzata come insulto e sinonimo di ipocrisia formalista e poco serve suggerire la lettura del prezioso testo di Leo Beck 'I Farisei - un capitolo di storia ebraica' del 1934 e pubblicato da Giuntina nel 2013. A suo tempo il rabbino capo di Roma, in una misurata quanto ferma polemica con papa Francesco ebbe da ridire contro l'idea "che, con l’arrivo di Gesù, il Dio dell’Antico Testamento è cambiato: prima era severo e vendicativo, poi è diventato il Dio dell’amore. Quindi gli ebrei sono giustizialisti e i cristiani buoni e misericordiosi. È un’aberrazione teologica molto antica, che è rimasta una sorta di malattia infantile del cristianesimo».
Daniele Scalise