La vita e le maschere di Romain Gary Analisi di Francesca D'Aloja
Testata: Il Foglio Data: 03 aprile 2021 Pagina: 6 Autore: Francesca D'Aloja Titolo: «Romain Gary, il genio che voleva sempre essere qualcun altro»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/04/2021, a pag.VI l'analisi di Francesca D'Aloja dal titolo "Romain Gary, il genio che voleva sempre essere qualcun altro".
Romain Gary
Premessa: la storia che mi accingo a raccontare è talmente vertiginosa che più di una volta, raccogliendo il materiale necessario, mi sono dovuta fermare, vittima di giramenti di testa. Faccenda di intrighi, menzogne e genio, adatta agli enigmisti o ai giocatori di scacchi, ma anche appassionante testimonianza di come sia possibile fare della propria vita un romanzo. Se si aggiunge che il protagonista è egli stesso romanziere, la questione si fa davvero complicata, e allora vi chiedo di seguirmi in questo fantastico giro sulle montagne russe. E' appunto in Russia che tutto comincia, in una città che come l'eroe di questa vicenda, cambia più volte faccia. Vilnius è infatti prima russa, poi polacca e infine lituana. Nel 1914 Mina Owczynska, attrice di scarso successo, dà alla luce Roman, il suo unico figlio. Suo marito, Arieh-Leib Kacew ben presto li abbandona per formare una nuova famiglia. E' questo il nucleo da cui si sviluppa tutto il resto: l'assenza del padre e la relativa, asfissiante, presenza materna. Nel piccolo Roman fa breccia l'idea che il suo vero padre sia un famoso attore del cinema muto con il quale la madre avrebbe avuto una fugace relazione. Lei non smentisce e lui si modella una mitica figura paterna. Rimasta sola, Mina rovescia sul figlio le proprie ambizioni frustrate. II loro rapporto, morboso ed esclusivo, si fonda sul desiderio di riscatto: "Diventerai un grande ambasciatore... oppure il nuovo Victor Hugo". I riferimenti materni sono infatti francesi, è la Francia il paese dei sogni, il francese la lingua ideale (che Mina insegna al figlio insieme alle altre materie scolastiche, Roman non andrà mai a scuola). Si può ben dire che, sin dall'inizio, dai primi vagiti fino all'ultimo respiro (all'ultimo respiro...), la biografia di Roman (poi Romain, poi Fosco, Shatan, Emile...) offrirà infiniti spunti per un trattato di psicanalisi. Dopo varie peripezie, madre e figlio raggiungono la terra promessa e si stabiliscono a Nizza. II primo, fondamentale passaggio, è compiuto. II giovane ebreo Roman Kacew diventa Romain Gary, cittadino naturalizzato francese (la scelta del nome è oggetto di varie interpretazioni, si dice che insieme alla madre abbiano scritto una lista di possibili "nomi da scrittore", ma l'elemento più interessante, lo capirete in seguito, è che Gary in russo vuol dire "brucia", imperativo di "bruciare"). L'imperativo non è solo un modo verbale ma sembra l'essenza della vita di Gary che impone a se stesso molti compiti, primo fra tutti la realizzazione dei sogni materni. Raggiunta l'età adulta si arruola come aviatore nell'esercito francese e si distingue per il coraggio dimostrato in guerra: durante una missione il suo aereo viene colpito, Gary prende il comando del velivolo sostituendo il primo pilota accecato dall'esplosione, e nonostante una ferita al ventre, riesce ad atterrare. Sarà insignito di diverse onorificenze fra cui la prestigiosa Légion d'honneur. Con la benedizione del Generale De Gaulle, finita la guerra darà inizio a una brillante carriera diplomatica ("diventerai un grande ambasciatore..."). Le profezie materne stanno prendendo corpo anche se Mina non farà in tempo a rallegrarsene. La morte della madre non spegne il fuoco ("brucia!") ma anzi lo attizza. II console Gary rappresenta la Francia in giro per il mondo, e intanto, en cachette, scrive. In realtà Romain ha già pubblicato dei racconti firmandoli con il suo vero nome, Roman Kacew, ma sono passati inosservati. II primo titolo firmato Romain Gary è Educazione Europea, scritto nel '45, che Sartre definisce "il miglior romanzo sulla Resistenza", ma sarà il 1956 l'anno della svolta, con la pubblicazione di Le radici del cielo, il romanzo "ecologista" contro lo sterminio degli elefanti in Africa che otterrà il premio Goncourt. E' fatta. Mina può riposare in pace. Gli onori vanno al di là di ogni aspettativa: il pluridecorato eroe di guerra acclamato anche dagli accademici di Francia, cos'altro si può desiderare? Il desiderio inappagato è forse il meccanismo diabolico che condanna Gary a spingersi oltre, nel tentativo di placare un'infelicità divorante. Una vita non basta, nulla sembra soddisfarlo malgrado l'abbondanza di tributi, riconoscimenti, amori, e allora tanto vale sdoppiarsi, moltiplicarsi. Pubblica altri libri, e conquista molti cuori. Si sposa prima con una bellissima scrittrice inglese di dieci anni più grande, Lesley Blank, poi con una bellissima attrice americana di venticinque anni più giovane, Jean Seberg. La prima era stata moglie del diplomatico, la seconda lo sarà dello scrittore. Produce una quantità impressionante di libri, alcuni scritti in inglese (sempre per il gusto dell'accumulo, Gary parla cinque lingue), gli altri in francese, nessuno nella sua lingua madre. Molte sue opere diventeranno film diretti da grandi registi (John Houston fra gli altri) o da lui stesso, perché uno cosa certo non poteva farsi mancare il cinema. E però mi sono sempre chiesta come mai, fra le tante attività intraprese, non abbia considerato quella di attore, vista la straordinaria intensità del volto, perfetto per i primi piani: magnetici occhi verdi da illusionista (se immagino il ruolo di un mago penso a lui), pizzetto mefistofelico e lucida chioma da tartaro. Ma addentrandomi nei meandri della sua vita da camaleonte ho capito che lo spazio limitato di un'inquadratura, o il ristretto perimetro di un teatro, per lui sarebbero stati sprecati, avendo a disposizione un palcoscenico infinitamente più vasto. L'arte della recitazione poteva esercitarla nella vita di tutti i giorni, e lui di quel copione sarebbe stato regista, interprete e sceneggiatore. Romain ha un bisogno spasmodico di riconoscimenti: "Scrivo per vanità, per essere ammirato. E' la mia debolezza e insieme la mia forza." La brama del proiettore puntato addosso deve fare i conti con la fama della giovane moglie Jean Seberg, che durante il decennio del loro matrimonio raggiunge il suo apice e provoca gelosie, incomprensioni, lacrime. L'unione naufraga malgrado la nascita del figlio Diego, la stella della Nouvelle Vague avrà una parabola tragica che merita di essere raccontata, e lo farò in un'altra occasione. Per adesso dedico lo spazio che mi resta al clamoroso colpo di teatro architettato dal marito a metà degli anni Settanta, senza dubbio la più grande truffa letteraria mai compiuta. L'ormai famosissimo sessantenne Romain Gary non deve più combattere per affermarsi, il Goncourt gli ha garantito un posto d'onore fra i letterati di Francia, e da allora ha continuato a sfornare titoli (alcuni sotto lo pseudonimo di Fosco Sinibaldi o Shatan Bogat). La promessa dell'alba (pubblico tributo alla madre e anche occasione per liberarsi del suo fantasma), uscito nel 1960, è un grande successo, ne verranno tratti due film, il primo con Melina Mercouri nel ruolo della madre. Tuttavia i libri che seguono sono destinati a una doverosa ma tiepida considerazione da parte della critica, che ormai cerca altrove un talento da incensare o distruggere. Da autore rivelazione Gary è diventato (secondo la lapidaria definizione di Arbasino) il "solito stronzo". Prima di acquisire la definitiva etichetta di "venerato maestro", Romain Gary prepara il colpaccio e gioca di nuovo la carta dello pseudonimo, senza immaginare dove questo lo porterà. "Ero stufo di essere me stesso, stufo dell'immagine di Romain Gary che mi avevano cucito addosso... Ricominciavo daccapo, avevo l'illusione perfetta di una nuova creazione: un nuovo me fatto da me". Il nuovo sé si chiamerà Emile Ajar (raffinata la scelta del cognome, che in russo significa brace, come a sottolineare il carattere incendiario nato con Gary-brucia!). Il titolo del "primo" romanzo: Gros Câlin, letteralmente "Coccolone", surreale storia di un omino disperatamente solo che pur di colmare il suo bisogno d'amore si lascia avvolgere dalla stretta di un pitone che diventerà il suo unico amico. Con la complicità di un letterato che sostiene di aver incontrato Ajar a Rio de Janeiro, "dove si era rifugiato per problemi con la giustizia francese", il manoscritto viene presentato alla casa editrice Gallimard, che però dirotta l'esordio del misterioso autore alla filiale Mercure, dove raccoglie l'entusiasmo dell'editor Michel Cournot. La pubblicazione di Gros câlin suscita interesse per la stravaganza del racconto, ma soprattutto per il mistero legato all'identità dell'autore. Dal suo salotto in rue du Bac, Gary si diverte a leggere le varie congetture ordite dai giornali secondo i quali dietro Ajar si nasconderebbero Raymond Queneau, Louis Aragon, o, addirittura, un terrorista libanese dal nome sorprendentemente simile: Hamil Raja (a me sorprende più che altro la coincidenza con il cognome, più volte accostato alla misteriosa identità di Elena Ferrante - tanto per rimbalzare ancora un po' nel gioco di specchi...). In ultima analisi fu suggerita l'ipotesi di un "collettivo" (anche qui, impressionante analogia...). Nessuno fa il nome di Romain Gary (nonostante i precedenti) grazie all'astuzia del nostro, che si crea un alibi dando alle stampe una sua opera, uscita in contemporanea con quella di Ajar. Il vecchio scrittore ci prende gusto e decide di continuare l'inganno. Si sottopone a una schizofrenica routine scrivendo la mattina, nelle vesti di Emile Ajar, e il pomeriggio in quelle di Romain Gary, e in capo a un anno di folle lavoro, ha pronti due nuovi ouvrages: Biglietto scaduto e La vita davanti a sé. Il primo, firmato Gary, racconta il declino sessuale (e dunque esistenziale) di un uomo anziano, l'altro, quello di Ajar, l'incanto di un ragazzino che si affaccia alla vita (non è geniale tutto questo?). La seconda mossa riserva però delle incredibili sorprese: se da una parte le critiche rivolte a Biglietto scaduto sono temperate, quelle tributate a La vita davanti a sé si sperticano in elogi. I recensori applaudono la freschezza dello stile, la modernità del linguaggio, e la curiosità nei confronti di Ajar si fa spasmodica. (Se mai ci fosse bisogno dell'aggiunta di un dettaglio in questa spassosa pochade, ricorderei che l'editore mandò il manoscritto di Ajar a Gary per conoscerne il parere...). Per placare le dicerie sul "grande autore" nascosto nell'ombra, Gary prepara la sua mossa: decide che Ajar deve avere un corpo (mi seguite? qui la faccenda si fa complicata, prestate attenzione...). L'interprete individuato rasenta la perfezione: 33 anni, faccia da guascone, lo sguardo torvo e sensuale, le mani da operaio. E' intelligente, ma soprattutto fidato poiché ha un debito di riconoscenza ventennale verso Gary, cugino di sua madre, che si è sempre dimostrato generoso nei suoi confronti. "Ti va di giocare a fare lo scrittore?" Paul Pavlowitch accetta. La proposta è divertente e non troppo impegnativa, si tratta solo di concedere un'intervista per placare gli appetiti della stampa e poi tornare nel cono d'ombra rivendicando il proprio diritto alla riservatezza. Inoltre lo zio sa come prepararlo alla parte: gli fa imparare a memoria la breve biografia ("pochi dettagli!"), suggerisce le risposte prefigurando le domande, decide l'abbigliamento, consiglia la postura adatta. Proprio come si crea il personaggio di un romanzo, e Emile Ajar sarà il più memorabile. Prima di rilasciare l'intervista a una giornalista del Monde, Michel Cournot, direttore editoriale di Mercure, esige un colloquio con l'autore di La vita davanti a sé. Gary accetta la sfida e prepara il nipote alla sua prima interpretazione di Emile Ajar. L'incontro avviene in Svizzera, di notte, in un piccolo appartamento allestito per l'occasione. La prova è difficile perché Cournot si mette a fare domande tecniche sulla scrittura, parla di verbi, di tempi, stile. Forte dei suggerimenti dello zio, Pavlowitch se la cava, e Cournot ci casca. Vuole prendere accordi per l'intervista esclusiva e sapendo dei problemi legali del suo autore gli chiede se sia intenzionato a tornare in Brasile. "No, vado a Copenaghen", risponde Ajar/Pavlowitch ("non so perché dissi così" rivelerà anni dopo). "Bene, l'intervista si farà lì, allora". A Copenaghen, oltre alla giornalista, si presenta a sorpresa madame Simone Gallimard, editore di Mercure, con una valigia di copie da firmare. Lusingato dalla presenza di due donne che pendono dalle sue labbra, Pavlowitch prende gusto alla recita, e come succede agli attori di teatro che una volta liberi dalla sorveglianza del regista si lasciano andare, perde il controllo del personaggio, lanciando frasi a effetto che seducono le interlocutrici ("Mi capita spesso di sentirmi di troppo come capita a chi non si crede abbastanza...") e fornendo dettagli pericolosamente rivelatori sulla sua (vera) infanzia. Ma ciò che farà infuriare lo zio Romain è la concessione di una fotografia (effettivamente molto efficace come ritratto dello scrittore irregolare...) che mostra Ajar in maglietta, capelli lunghi spettinati dal vento, sguardo farouche di chi viene colto a tradimento dall'obiettivo... La beffa della beffa, Pavlowitch si dimostra più diabolico dello zio, e io non posso fare a meno di ammirarlo. Simone Gallimard, la signora dell'editoria, è al settimo cielo, divisa fra l'istinto di protezione e l'eccitazione per il suo giovane autore maudit, che dopo l'intervista finisce sulla bocca di tutti. La vita davanti a sé è il romanzo dell'anno, si annuncia la candidatura al Goncourt. Gary è preoccupato, il regolamento vieta una seconda partecipazione al premio, e le rivelazioni di Pavlowitch hanno stretto il cerchio attorno alla sua persona. Paradossalmente si augura che il libro non vinca, ma non sarà cosa: La vita davanti a sé sbaraglia i concorrenti e trionfa. L'intento provocatorio e sovversivo della beffa si rivela un boomerang, Gary ha paura di essere scoperto, rischia di perdere il prestigio per aver ingannato un'istituzione che tanto generosamente lo aveva accolto, e allora, su consiglio del suo avvocato compiacente, sotto le mentite spoglie di Ajar dichiara di rinunciare al premio. La deflagrazione è ancora più potente: tutti si chiedono chi sia davvero il misterioso Ajar che ha avuto la faccia tosta di rinunciare al Goncourt. Parte la caccia, e finalmente, dopo giorni di ricerca, un giornalista ottiene lo scoop, e scopre dove si nasconde e chi sia veramente Émile Ajar, che da quel momento verrà identificato ufficialmente come Paul Pavlowitch. La cortina di riserbo è crollata, pochi giorni ancora e il legame di parentela verrà svelato. Ma il genio di Gary non soccombe e prepara una contromossa: assediato dai giornalisti conferma di essere lo zio di Pavlowitch ma nega strenuamente la paternità dell'opera prendendo pubblicamente le difese del nipote "dotato di un grande talento ma totalmente refrattario alla notorietà" e riesce a convincere l'opinione pubblica che alle sue spalle commisera il vecchio scrittore démodé superato in talento dal giovane nipote. L'onore è salvo. Per il momento. L'editore, felice del pericolo scampato, fa firmare a Pavlowitch/Ajar un contratto per altri cinque libri. Romain Gary, divorato da Émile Ajar, a sua volta divorato da Paul Pavlowitch è stritolato nelle maglie di una macchina infernale, la paranoia lo assale, malgrado le convincenti dichiarazioni è persuaso che prima o poi verrà smascherato, e allora si chiude in casa pronto a sfoderare l'ultimo, grandioso, colpo di genio. In dodici giorni scrive Pseudo, una delirante autobiografia di Ajar alias Pavlowitch nella quale inventa un passato da paziente psichiatrico e confessa il suo rancore nei confronti di uno zio malvagio e prevaricatore che vorrebbe appropriarsi del suo successo facendo credere di essere l'autore dei libri firmati Ajar... Dicendo peste e corna di se stesso Gary spazza via i dubbi e restituisce a Pavlowitch la paternità delle opere firmate Ajar (il dettaglio stupendamente perfido di questa stoccata finale consiste nell'aver chiesto al nipote di trascrivere la sua folle autobiografia da consegnare alle stampe, mentre quello struggente è riservato a Simone Gallimard, il personaggio più turlupinato di tutta la vicenda, che una volta ricevuto il manoscritto, si preoccupa della reazione di Gary e gli chiede se sia opportuno pubblicarlo...). Il rapporto zio/nipote è definitivamente compromesso, li lega ormai solo l'impegno per i successivi quattro libri, ma in questa sequela di colpi bassi tutto è possibile, e per tutelarsi Gary compra il silenzio di Paul garantendogli il 40 per cento dei diritti. Intanto Paul Pavlowitch si gode la fama di scrittore prodigio nel suo ufficio alla Mercure dove l'ingenua Simone, colmo dei colmi, gli ha affidato l'incarico di editor (a detta di molti scrittori pare fosse molto bravo malgrado la sua effettiva e totale inesperienza letteraria...). Mentre Gary si affanna a mantenere in vita gli scrittori da lui creati, sottoponendosi a tour de force spaventosi (scriverà 8 libri in 4 anni), la vita dell'uomo va in pezzi. L'ex moglie Jean Seberg entra ed esce dalle cliniche psichiatriche, il 30 agosto 1979 il suo corpo viene ritrovato senza vita all'interno della sua auto, accanto a bottiglie d'alcool e barbiturici. Poco più di un anno dopo, il 2 dicembre 1980, Romain Gary spedisce una lunga lettera che ha conservato per mesi in un cassetto. Dopo aver trascorso la mattinata con il figlio, va a pranzo con l'amico Claude Gallimard, e prima di rincasare compra una vestaglia di seta rossa. Rientrato a casa, prende la pistola, si avvolge la vestaglia intorno alla testa, si sdraia sul letto e si spara un colpo in bocca. Il sangue si confonde con il rosso della stoffa, un pensiero delicato rivolto a chi lo ritroverà. "Nessun rapporto con Jean Seberg. I ferventi dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove" dice il suo biglietto d'addio (in questa triste vicenda il cuore, per sempre infranto, è quello di Diego che ha dovuto sopravvivere al suicidio di entrambi i genitori). La lunga lettera, destinata al suo editore, è l'uscita di scena di un grande protagonista: in cima al manoscritto sono indicate le istruzioni riguardo alla sua pubblicazione poiché la lettera non è privata, ma pubblica, e, come dice, "indirizzata alla posterità". Titolo: Vie et mort d'Émile Ajar. La confessione di Romain Gary, o forse del lituano Roman Kacew, finalmente senza maschera: "Ho creato Emile Ajar per nostalgia della giovinezza, degli inizi, per riprovare l'emozione del primo libro. Ricominciare, rivivere, essere un altro è stata la grande tentazione della mia esistenza...". In una decina di pagine Gary fornisce la sua versione dei fatti, "la seule, la vraie", affinché si sappia la verità, il suo "Emile Ajar, c'est moi". Fa impressione la data, 21 marzo 1979, che rivela lunghi mesi di dolore e commuove l'ultima frase: "Mi sono divertito parecchio, arrivederci e grazie". Fine della storia? No. Un mese dopo la morte di Gary, il noto conduttore televisivo Bernard Pivot riceve una telefonata da Paul Pavlowitch: "Le andrebbe di prendere un caffè? Vorrei raccontarle una storia...". La lettera confessione di Romain Gary, che ancora non è stata resa pubblica, sarà bruciata sul tempo dalla sua malvagia creatura Pavlowitch alias Ajar, che decide di vuotare il sacco di fronte a milioni di telespettatori, ospite di Apostrophes, il famoso programma di Pivot. In un confronto con lo scrittore Michel Tournier, lo psicanalista Gérard Mendel (l'interlocutore più azzeccato...) e l'amico d'infanzia di Gary, François Bondy, l'emozionatissimo Pivot conduce una delle puntate più appassionanti della sua carriera. Al centro della scena un sorprendente Paul Pavlowitch racconta, con imprevedibile aplomb e sagacia, la genesi della beffa che lo ha visto protagonista. Una posizione difficilissima la sua, sulla quale pesa la pistola ancora fumante di Gary, il marchio d'infamia del truffatore e il so Il titolo del "primo" romanzo è "Gros Câlin", letteralmente "Coccolone", surreale storia di un omino disperatamente solo spetto di cinico approfittatore. Eppure... eppure Pavlowitch, col suo aspetto proletario in contrasto col cliché dell'ospite di un salotto letterario, si rivela all'altezza della prova, e in poche battute distrugge l'immagine del fantoccio nelle mani del demiurgo Gary. E' intelligente, furbo, non alza mai il tono della voce, riesce a mantenere il controllo e insieme il distacco difendendosi egregiamente dal fuoco di fila di domande insidiose preparate da Pivot. Dopo più di un'ora di gogna il meschino nipote esce assolto. Il personaggio più romanzesco di questa storia non è Emile Ajar, è Paul Pavlowitch.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/ 5890901, oppure ciccare sulla e-mail sottostante