Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/04/2021, a pag.24, con il titolo "Io la sopravvissuta di Charlie. 'Disegno ancora per superare quel trauma' ", l'intervista di Leonardo Martinelli a Corinne Rey.
Leonardo Martinelli
Corinne Rey, in arte Coco
Come sopravvivere? Coco, alias Corinne Rey, 38 anni (piccola e gracile, ne dimostra ancora meno), è una disegnatrice di Charlie Hebdo, il settimanale satirico. Quel 7 gennaio 2015, in piena riunione con i suoi colleghi (miti francesi della vignetta come Charb e Cabu), scese in strada a fumarsi una sigaretta. I fratelli Kouachi le piombarono addosso e la trascinarono su alla porta della sede di Charlie, l'obbligarono a comporre il codice elettronico per entrare. Dopo, la strage. Coco ne uscì indenne, neanche un graffio. Si, ma come sopravvivere? Per cinque anni è rimasta silente, ma ha continuato a lavorare come una pazza per la rivista (e da ieri è anche la vignettista ufficiale del quotidiano Libération). Quella storia lì, terribile e imprescendibile, la racconta ora in un album, Dessiner encore (Disegnare ancora, ed. Les Arènes): tenero e sincero, colorato all'acquarello, sospeso tra dolore e humor. Ed è proprio vero che nella vita si può superare tutto: il rimorso, la violenza, lo schifo, il buio assoluto. L'umorismo fa paura perché è il reale, che noi proviamo a superare. Si respira meglio quando si ride della vita, soprattutto quando è violenta.
Perché attendere cinque anni? «Per due-tre anni dopo l'attentato ero persa nel mio trauma. Dovevo estirparmelo, con l'aiuto di una psicoterapia. Ma a un certo punto è arrivato il processo contro i complici degli attentatori (iniziato nel settembre 2020). Dovevo prepararmi, almeno mentalmente, a quello che avrei detto in aula. Il libro è stato una maniera catartica di far passare delle cose e di parlare».
Nell'album racconta anche il giorno dell'attentato, ma al momento del massacro ci sono solo immagini nere. «Ho ritratto l'ascesa nella scala del palazzo di Charlie Hebdo con i fratelli Kouachi, che è stata una discesa agli inferi. La violenza di quel momento è sufficiente a supporre il resto, che tutti conoscono. Ho disegnato quelle pagine nere, pensando al silenzio fatto di morte che si è abbattuto in quel momento. Sono pagine l'una diversa dall'altra. Ci ho passato diversi giorni».
Filo conduttore dell'album è l'onda di Hokusai, che riempie pagine bellissime e trascina nell'acqua la protagonista, il suo alter ego. Perché questa scelta? «Avevo bisogno che il lettore potesse toccare con mano il mio viaggio interiore, quel tumulto e gli abissi dove vivevo. L'onda rende bene l'idea».
Grazie al suo libro è riuscita a superare un certo senso di colpa? «A lungo sono rimasta chiusa in un circolo vizioso. Mi chiedevo: "E se...", e se fosse andata diversamente? Mi sono colpevolizzata per aver aperto la porta ai terroristi. Mi ci è voluto molto tempo per andare oltre, anche se era evidente che loro fossero gli unici responsabili di quanto avvenuto e noi superstiti fossimo innocenti. In ogni caso, sono ancora a disagio con tutta questa storia».
Adesso è la nuova vignettista di Libération, la prima donna a svolgere un ruolo del genere per un grande quotidiano in Francia. «Sostituirò Willem, il loro disegnatore dal 1981: uno spirito incisivo, anche graficamente, in bianco e nero. Credo che questo lo conserverò, è un bel contrasto. E coi miei disegni voglio sorprendermi».
Voi di Charlie Hebdo siete sostenuti, ma anche molto criticati. C'è chi dice che avete esagerato con le vostre vignette. «Facciamo il lavoro di un giornale satirico e abbiamo il diritto di farlo. Penso a una frase di François Cavanna, che fu il fondatore di Charlie Hebdo: "L'umorismo fa male, fa paura perché è il reale". Ecco, a questo reale uno si confronta, cerca di superarlo, di renderlo più vivibile. Si respira meglio, quando si ride della vita, soprattutto quando è violenta».
Uno dei disegni mostrati in classe da Samuel Paty, il professore ucciso da un islamista, era suo. Ritrae Maometto nudo a quattro zampe e con una scritta sul sedere: «È nata una stella». Che effetto le ha fatto, quando l'ha saputo? «Quella vignetta cumula la caricatura del sacro e un lato osceno: volevo demistificare. Patylo aveva presentato ai suoi allievi come esempio del fatto che la libertà d'espressione può andare lontano. Con quel disegno sono arrivata quasi ai confini di ciò che è consentito fare. Ma sono rimasta nei limiti del diritto. In ogni caso, non sono io l'assassino di Paty e neanche la mia vignetta».
Charlie Hebdo ride spesso della morte. A questo riguardo, hanno scioccato molto in Italia certe vignette sul terremoto di Amatrice. Come si possono giustificare? «Ridere della morte vuol dire accettarla meglio e anche celebrare la vita. Penso a una vignetta che avevo fatto dopo l'attentato del 13 novembre 2015, con un ometto che beve champagne e ha il corpo forato dai proiettili, dai quali esce champagne. Continua a vivere al di là di tutto, come noi a Charlie Hebdo. Io stessa, disegnando quell'immagine, cerco di accettare meglio l'idea della morte. A un certo punto nell'album lei contempla un paesaggio meraviglioso e pensa: «C'è nella bellezza qualcosa di insostenibile».
Perché? «La morte ti è passata vicina e non ti senti legittimato a vivere una tale bellezza, così tanta felicità. Ti piace la vita, ma non puoi non pensare a chi non vive più e che hai avuto accanto a te. Vedi qualcosa di troppo bello o la tua figlia crescere e ti dici: non dovresti essere qui a viverlo».
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