Riprendiamo dal SOLE24ORE di oggi, 01/04/2021, a pag.10, la cronaca "Gli Usa accusano: 'Genocidio in Cina' " di Gianluca Di Donfrancesco.
Washington accusa formalmente Pechino di «genocidio» nello Xinjiang: dalla guerra dei dazi, lo scontro tra le due superpotenze, in pochi anni, si è esteso fino a investire il campo dei diritti umani e genera spinte polarizzanti, con ripercussioni su alleati e multinazionali. Le tensioni sono emerse con forza nel recente vertice in Alaska. Ora, il rapporto annuale del dipartimento di Stato Usa sul rispetto dei diritti umani nel mondo, presentato martedì dal ministro Antony Blinken, denuncia che «in Cina, autorità governative hanno commesso un genocidio contro gli uiguri e crimini contro l'umanità, compresi imprigionamento, tortura, sterilizzazione forzata e persecuzione contro uiguri e membri di altri gruppi religiosi ed etnici minoritari». Già in precedenza, Blinken aveva usato termini simili, in continuità con il suo predecessore Mike Pompeo.
Uiguri detenuti in un campo cinese
A gennaio, l'ex presidente Donald Trump aveva annunciato il blocco dell'import di cotone e pomodori dallo Xinjiang, denunciando violazioni dei diritti umani e lavoro forzato. Pechino nega le accuse, parla di menzogne e disinformazione e ribatte che le strutture denunciate come campi di internamento sono centri di formazione professionale, finalizzati anche a riabilitare soggetti convertiti all'estremismo jihadista: posizione ribadita ieri dal ministero degli Esteri in una nota. Come per Hong Kong e Taiwan, secondo il regime cinese, si tratta di questioni interne, nelle quali nessuno Stato può intromettersi. Attristi, report indipendenti e inchieste giornalistiche della Bbc sostengono che oltre un milione di uiguri e altri musulmani sarebbero detenuti in campi di lavoro forzato e rieducazione nello Xinjiang. Fanno eco a denunce che si susseguono da anni. Ieri, la Bbc ha riferito che uno dei suoi corrispondenti a Pechino, John Sudworth, si è trasferito a Taiwan per le pressioni subite a causa dei report su Xinjiang e pandemia. Nella sua offensiva, la Casa Bianca è riuscita a coinvolgere l'Unione Europea, che ha varato sanzioni contro alcuni funzionari cinesi per il ruolo nel trattamento degli uiguri (lo stesso hanno fatto Regno Unito e Canada). Pechino ha reagito con contro-sanzioni. A pochi mesi dalla sigla del trattato sugli investimenti con la Cina, Bruxelles e le cancellerie europee sono costrette a riorientarsi in uno scacchiere sempre più polarizzato. Lo stesso sono costrette a fare le multinazionali, strette tra le pressioni delle opinioni pubbliche interne e il rischio di boicottaggio in Cina, la seconda economia al mondo e l'unica, tra le grandi, ad aver evitato la recessione nell'anno della pandemia. Colossi dell'abbigliamento come HeM, Burberry, Nike e Adidas sono stati attaccati da consumatori e autorità per aver preso posizione sullo Xinjiang. Ieri, HeM è corsa ai ripari, dichiarando di «essere determinata a riconquistare la fiducia dei nostri clienti, colleghi e partner commerciali in Cina». All'inizio di marzo, il Governo di Berlino ha adottato una proposta di legge che impone ai grandi gruppi tedeschi di vigilare sul rispetto dei diritti umani e dell'ambiente lungo tutta la catena dei fornitori.
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