Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 30/03/2021, a pag.19, con il titolo "Dall’Iran alla Turchia le mani di Pechino sul Medio Oriente", il commento di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
Con una cerimonia trasmessa in diretta sulla tv nazionale, sabato scorso a Teheran l’Iran e la Cina hanno firmato un accordo di cooperazione strategica — economica e di sicurezza — per 25 anni, che ridà fiato alla Repubblica Islamica isolata dalle sanzioni internazionali e rafforza la già crescente influenza cinese in Medio Oriente, in un momento di stallo dei negoziati con gli Stati Uniti per il ritorno all’accordo sul nucleare. «A friend for hard times», un «amico per i tempi duri», ha detto il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif rivolgendosi al suo omologo cinese, Wang Yi, dopo la firma dell’intesa. Per l’Iran il patto con la Cina è ossigeno. Pechino sostiene l’economica iraniana gravata dalle sanzioni e dalla crisi economica, è il primo partner commerciale del Paese e il suo primo acquirente di petrolio: negli ultimi 14 mesi da Teheran sono partiti circa 300 mila barili al giorno alla volta dei porti cinesi, secondo Refinitiv Oil Research.
Hassan Rohani con l'emissario cinese Wang
Il 75% di queste forniture è arrivato in Cina come importazioni indirette, cioè greggio proveniente dall’Oman, dagli Emirati Arabi Uniti o dalla Malaysia in modo da aggirare le sanzioni americane. E sebbene a Teheran si siano levate voci critiche su un’intesa che rischia di rafforzare la dipendenza dalla Cina e di pesare su possibili, futuri negoziati con gli Stati Uniti, l’accordo è stato sostenuto dai conservatori e dalla guida suprema, Ali Khamenei, che nei mesi scorsi ha affidato il dialogo con Pechino ad Ali Larijani, potente ex speaker del Parlamento e uno dei possibili candidati alle elezioni presidenziali di giugno. I dettagli del memorandum non sono stati resi noti, resta da vedere quali progetti verranno effettivamente realizzati: in passato ci sono già stati ritardi e passi indietro. Ma l’accordo ha un indubbio valore politico. È in corso un «movimento tellurico nella regione e non riguarda solo l’Iran. Intese molto simili con la Cina sono state sottoscritte da diversi Paesi, il Golfo sta guardando a Est», dice Jacopo Scita, analista della School of Government and International Affairs della Durham University. Il parziale disimpegno americano ha aperto nuovi spazi che Pechino occupa con quella che lo studioso Degang Sun chiama la «diplomazia dei partenariati»: non alleanze sul modello della Nato, che implicano anche accordi di intervento militare in difesa di uno Stato amico, ma patti economici e politici che permettano di non essere coinvolti nelle dispute regionali. Wang Yi è arrivato a Teheran dopo aver fatto tappa in Arabia Saudita e in Turchia, e prima di volare negli Emirati Arabi Uniti, in Oman, nel Bahrein, una settimana dopo la decisione di Antony Blinken, il segretario di Stato Usa, di fare le sue prime visite all’estero in Giappone e in Corea del Sud. Se Washington guarda all’Asia per contenere le ambizioni cinesi, la Cina cerca profondità strategica in un’area di tradizionale influenza americana. Il petrolio è il grande vettore dell’interesse cinese in Medio Oriente, circa il 38% delle importazioni cinesi nel 2020 è arrivato dalla regione. Ma negli ultimi dieci anni, e con maggiore intensità dal 2015, la Cina ha aumentato anche il suo impegno economico, oggi è il primo investitore diretto estero: oltre 147 miliardi di dollari investiti in 10 anni.
Il Golfo, a lungo un bastione delle alleanze americane nella regione, è l’interlocutore privilegiato anche dei cinesi, emiratini e sauditi sono i primi partner commerciali della Cina. Non parliamo solo di energia o manifattura, di infrastrutture, porti, agroalimentare. La nuova via della seta è anche digitale, tecnologica. Gli Emirati sono l’hub regionale dei prodotti di Huawei con cui hanno stretto accordi per lo sviluppo del 5G, così come l’Arabia Saudita, e questo proprio mentre Europa e Stati Uniti cercavano di bloccare il colosso tecnologico cinese considerato una potenziale minaccia alla sicurezza. Il viaggio di Wang Yi è servito anche per chiudere un altro importante accordo con Abu Dhabi: gli Emirati produrranno il vaccino cinese anti-Covid, Sinopharm, con l’obiettivo di distribuirlo nella regione. L’espansionismo cinese sulle infrastrutture digitali nel Golfo preoccupa gli Stati Uniti. «Il modello di cooperazione della Cina è basato sugli interessi economici, ma l’approccio "supply and demand", della domanda e dell’offerta, scricchiola quando si parla di tecnologie 5G e cybersecurity che toccano questioni legate alla sicurezza, alla protezione dei dati in aree dove gli Stati Uniti hanno basi militari e presenza strategica», osserva Scita. «Sembra inevitabile che su questo terreno si creeranno delle frizioni con Washington».
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