Joe Biden tra l’incudine e il martello
Analisi di Antonio Donno
Joe Biden
Intervistato per “Arutz Sheva 7”, il 26 marzo scorso, Michael Oren, importante storico, poi ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e membro della Knesset, ha definito Joe Biden un politico che sa parlare alla gente, che è sempre stato dalla parte di Israele, che fa parte di quella generazione che ricorda la guerra dei sei giorni. “Detto questo – ha concluso Oren nell’intervista rilasciata a Joshua Pacht – vi sono differenze politiche a proposito dei palestinesi e specialmente dell’Iran”. Questo è il punto. Al di là dei personaggi che compongono il suo team e che propongono, per ragioni ideologico-politiche, una profonda revisione della politica americana di Trump sulle due questioni citate, è lo stesso Biden, secondo Oren, a ritenere che si debbano compiere dei passi decisivi per riprendere le trattative con Teheran e per rimettere al centro della politica americana per il Medio Oriente la questione palestinese. Per questo motivo, è molto probabile che si stia dando seguito a incontri riservati tra le diplomazie iraniana e americana e a contatti con l’Autorità Palestinese.
Michael Oren
Ma nulla è dato sapere. Lo stesso Israele e i paesi arabi sunniti, che hanno firmato gli Accordi di Abramo, sono in attesa di avere notizie precise sulle mosse del governo Biden sul Medio Oriente. Biden ha sempre dichiarato chiaramente di essere amico di Israele, fin dal suo primo viaggio in quel paese nel 1973, ma ora, dopo la sua elezione, sembra difficile che lo Stato ebraico resti al centro delle sue scelte politiche, in considerazione delle questioni che sono rimaste sul tappeto dopo l’uscita di scena di Trump. Biden dovrà conciliare la sua simpatia per lo Stato ebraico con gli impegni che, durante la campagna elettorale, egli stesso e il suo staff hanno preso per portare a soluzione le due questioni citate in apertura. Fatto sta che, al momento di compiere la sua prima visita al Dipartimento di Stato, Biden ha citato i sui “amici più stretti” – Canada, Giappone, Germania, Australia, Gran Bretagna, Francia, Corea del Sud, la Nato –, evitando di far riferimento a Israele. Ciò sta a significare che Biden, al momento attuale, non intende sbilanciarsi a favore di Gerusalemme prima che i suoi collaboratori – Anthony Blinken e Jacob Sullivan, in primo luogo – abbiano sondato opportunamente le vie negoziali con Teheran e Ramallah. Altri elementi non devono sfuggire nell’analisi della nuova situazione. Biden ha affermato che non intende revocare la decisione di Trump di spostare l’Ambasciata americana da Gerusalemme; insieme a Blinken e altri, ha approvato senza indugio gli Accordi di Abramo, ritenendoli un passo decisivo per la normalizzazione dei rapporti tra gli Stati arabi e Israele; non ha contestato la decisione di Trump di sostenere l’allargamento della sovranità del Marocco al Sahara Occidentale.
Questi atteggiamenti favorevoli a Israele e ad alcune iniziative di Trump, tuttavia, devono essere considerati con la massima cautela. Essi devono essere inseriti in un quadro più generale, nel quale le decisioni della Casa Bianca sul Medio Oriente, oltre che sul Grande Medio Oriente (comprensivo della crisi in Afghanistan e il Pakistan), saranno all’ordine del giorno. Perciò, il quadro mediorientale si presenta più complesso rispetto alle posizioni individuali dei singoli componenti lo staff presidenziale, compreso il Presidente medesimo.
Le decisioni saranno prese sulla base di valutazioni di scenario, nelle quali più elementi concorreranno a definire le scelte del nuovo governo americano. Benché le posizioni presidenziali siano, di norma, prevalenti su quelle dei suoi collaboratori, è molto probabile che Biden presti ascolto a coloro che intendono accelerare il processo negoziale con Teheran e con Ramallah. L’esito è tutto da verificare. Intanto, le elezioni israeliane hanno dato, come nelle precedenti tre tornate, un esito negativo, perché il quadro politico resta scisso su molte posizioni e l’obiettivo di un’alleanza tra formazioni di diversa ispirazione politica sembra di difficile attuazione. Al contrario, è opportuno che Israele si dia comunque un governo, perché le eventuali decisioni americane sulle questioni più scottanti (Iran e problema palestinese) hanno bisogno di essere soppesate attentamente da parte di un esecutivo israeliano pronto a intervenire nel merito.
Antonio Donno