Nemo propheta in patria: il caso di Netanyahu
Analisi di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Benjamin Netanyahu
Dopo dieci anni al potere, il Primo Ministro israeliano vede vacillare il suo trono. Vede schierarsi contro di lui una coalizione eterogenea, che va dalla “Nuova speranza” di Gideon Saar, un ramo staccato dal Likud e riposizionato alla sua destra, al rinvigorito Partito Laburista, al partito Meretz di estrema sinistra e persino al partito Lista Araba Unita. Al di là delle profonde differenze ideologiche tra loro, tutti reclamano in termini più o meno virulenti il ritiro di “Re Bibi”, come lo chiamano i suoi sostenitori. La cosa incredibile è che il suo “regno” è stato contrassegnato da una serie di successi così eccezionali che all’estero non si risparmiano lodi su di lui. Così una vignetta mostra un Macron disperato, che non sa più come cavarsela e dice: “Se gli israeliani non lo vogliono più, forse potremmo assumere noi Netanyahu.” Si riferiva senza dubbio alla pandemia che non si attenua e alla crisi dei vaccini introvabili. Si sa che in Israele cinque milioni di persone hanno già ricevuto le due dosi di vaccino e che il Paese dispone delle scorte necessarie per portare a termine l'operazione, grazie alla lungimiranza del Primo Ministro che ha saputo firmare i contratti necessari in tempo e pagare un prezzo elevato pur di garantirsi una rapida consegna. Oggi il Covid19 è sotto controllo e le restrizioni stanno cadendo una dopo l'altra. Ciò non impedisce ai suoi detrattori di accusarlo di essere “responsabile” delle seimila vittime del virus. Avrebbe potuto fare di meglio? Ne dubitiamo. A livello internazionale, è riuscito a convincere Donald Trump, che allora occupava la Casa Bianca, a riconoscere la sovranità israeliana sulle alture del Golan; e, cosa ancora più importante, l'America ha dichiarato che Gerusalemme è la capitale di Israele e ha finalmente attuato la decisione, presa più di due decenni fa da entrambe le camere del Congresso, di spostare l'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Per quanto riguarda il Segretario di Stato Mike Pompeo, ha semplicemente affermato che gli insediamenti non erano necessariamente illegali.
Gli accordi di Abramo hanno coronato questa serie di risultati straordinari. La normalizzazione con i Paesi del Golfo, che non ha ancora compiuto un anno, si è concretizzata attraverso una serie di accordi e in particolare attraverso l'apertura di collegamenti aerei regolari: decine di migliaia di israeliani hanno già visitato Dubai, Abu Dhabi e il Bahrein. Sul piano interno, chi percorre il Paese da Nord a Sud e viceversa non può che rimanere impressionato dai progetti faraonici in corso. L'economia ha resistito alla crisi meglio dei Paesi dell’OCSE, con un PIL nel 2020 in calo solo del 2,4%. (Un) Altro fenomeno nuovo, Netanyahu ha saputo raggiungere una parte della popolazione araba e convincerla a fidarsi di lui. Di fatto lui è ancora il capo del più grande partito. Ma ciò non è bastato. Accusato di corruzione in diversi casi, per i quali è in corso il suo processo, il Primo Ministro non beneficia della presunzione di innocenza. Per la coalizione che gli si oppone, deve andarsene senza attendere il verdetto. Accada quel che accada.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".