Turchia: Erdogan continua a calpestare i diritti Cronaca di Pietro Del Re
Testata: La Repubblica Data: 27 marzo 2021 Pagina: 14 Autore: Pietro Del Re Titolo: «Tra la crisi e i diritti ai turchi non basta più il potere di Erdogan»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/03/2021, a pag. 14, con il titolo "Tra la crisi e i diritti ai turchi non basta più il potere di Erdogan", la cronaca di Pietro Del Re.
Pietro Del Re
Recep Tayyip Erdogan
Sono spariti dal parco Gezi i ragazzi che suonavano la chitarra ma, tra i peschi ornamentali che quest’anno tardano a fiorire, ci sono adesso bambini che corrono in mezzo a mucchi di neve sporca e anziani che giocano a backgammon. La notte, intanto, sulle panchine del luogo simbolo delle proteste scoppiate nel 2013 in difesa della laicità dello Stato contro il partito filoislamico al potere, sono tornati a darsi appuntamento i gay della grande città sul Bosforo. Si dice che per questo motivo Recep Tayyip Erdogan, allora primo ministro, cercò di abbattere gli alberi del parco per costruirvi un supermercato che doveva somigliare a una caserma ottomana: non ci riuscì, ma fece brutalmente reprimere la rivolta che avevano scatenato i suoi progetti. «L’ossessione per gli omosessuali gli è rimasta, tanto da spingerlo con un decreto presidenziale pubblicato il 20 marzo scorso a ritirare la Turchia dalla Convenzione di Istanbul a tutela delle donne», dice Yildiz Tar, direttore di Kaos, organizzazione che difende i diritti della comunità Lgbt. «Il decreto recita che la Convenzione è stata "corrotta da chi tentava di normalizzare l’omosessualità, incompatibile con i valori sociali e familiari turchi". In altre parole, siamo diventati il capro espiatorio del governo turco che non esita a definirci "pervertiti" e che, alimentando l’odio contro di noi, ha provocato un’impennata nei casi di violenza omofoba in tutto il Paese». Se oggi il presidente Erdogan rilancia gli ideali tradizionali della famiglia anatolica lo fa anche per ingraziarsi la fetta più conservatrice e religiosa della società turca, perché il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) continua a perdere consensi. La crisi economica che ha raggiunto il suo apice con il crollo della lira di venerdì scorso impaurisce la media borghesia che l’ha finora sostenuto. E alle elezioni generali del 2023 potrebbe rivoltarglisi contro quell’elettorato che in cambio del benessere generato dall’ormai tramontato "miracolo turco" ha sempre chiuso gli occhi quando il regime calpestava i diritti civili. «In realtà, di quei diritti il presidente s’è sempre presentato come uno strenuo difensore. Ha tolto il potere ai militari, ai giudici e alla pubblica amministrazione per conferirlo a ciò che ha chiamato "l’autorità civile", e cioè a se stesso, mentre in molti pensavano che stesse lottando per creare uno Stato più democratico», spiega Ilayda Önal, avvocato e attivista di una onlus che opera per l’eguaglianza di genere. «Dietro lo slogan "Basta con la detenzione", Erdogan ha fatto credere a quella fascia di turchi benestanti che l’avrebbe liberata dall’incubo di un colpo di stato militare. Ha poi usato la stessa formula contro la magistratura per annullare la separazione dei poteri. La verità è che dei diritti civili non gliene è mai importato nulla».
Eppure, la Turchia è ancora uno Stato di Diritto, e Erdogan un leader che ha vinto due referendum e tre elezioni parlamentari. Senza contare che fu lui a liberalizzare il velo per le donne. Basti dire che fino a dieci anni fa, a chi portava il velo era perfino sbarrato l’ingresso all’università. «Ma la propaganda montata intorno a quella riforma ha innescato un fenomeno discriminatorio opposto nei confronti delle donne senza velo. La Turchia è uno Stato di Diritto, ma con sempre meno diritti. Del resto, un Paese dove ogni decisione è presa da un uomo soltanto non può definirsi democratico. Questo avviene dal 2017, da quando Erdogan ha vinto il referendum che ci ha reso una repubblica presidenziale, dove sono possibili abusi di potere come quello della settimana scorsa quando ha annullato il voto del Parlamento turco che aveva ratificato l’adesione alla Convenzione di Istanbul», aggiunge l’avvocato Önal. La grande formazione d’opposizione all’AKP è il Partito Popolare Repubblicano (CHP) fondato nel 1923 dal padre della Turchia moderna, Kemal Atatürk. Ma questa forza laica e socialdemocratica, a cui appartiene il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, non sposta più del 22% dei consensi. «Il che significa che al momento non c’è un’alternativa politica contro lo strapotere di Erdogan», spiega la professoressa Ceren Kcabalay, sociologa all’Università di Ankara e alla quale, per aver firmato una petizione in favore dei curdi, da tre anni la polizia ha ritirato il passaporto. «Il problema è che anche tra i turchi più "illuminati" serpeggia una forma di pericoloso nazionalismo, sul quale fa perno il presidente per rimodellare a suo piacimento la società turca smantellando ogni tutela dei diritti umani e ogni norma democratica». Quanto al parco Gezi, Erdogan ne ha appena tolto al comune l’autorità di gestione per trasferirla a una fondazione religiosa. Contro questa decisione il sindaco presenterà ricorso. Con poche possibilità di vincere.
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