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La Repubblica Rassegna Stampa
27.03.2021 Israele dopo le elezioni tra conferme e paradossi
L'opinione di Abraham B. Yehoshua

Testata: La Repubblica
Data: 27 marzo 2021
Pagina: 17
Autore: Abraham B. Yehoshua
Titolo: «Netanyahu e gli arabi l’ultima svolta del paradosso israeliano»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 27/03/2021, a pag. 17 con il titolo "Netanyahu e gli arabi l’ultima svolta del paradosso israeliano" il commento di Abraham B. Yehoshua.

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Abraham B. Yehoshua

At anti-Netanyahu protests, no clear leaders -- and that's how ...
Proteste contro Netanyahu in Israele

Molti al mondo si interrogano sul paradosso israeliano. Da un lato, da più di due anni, Israele è alle prese con crisi politiche interne. Ogni tot mesi si tengono elezioni che non portano stabilità ma, al contrario, creano nuove difficoltà. Partiti di vecchia data si sgretolano e si dissolvono, nuove formazioni si costituiscono, ma non passa molto tempo prima che anch’esse deludano. D’altro canto, invece, l’apparato governativo guidato da Benjamin Netanyahu, da lunghi anni primo ministro, opera in maniera accettabile ed efficace. Israele ha organizzato una campagna vaccinale molto rapida, più di due terzi della popolazione è già stata vaccinata, le restrizioni sono state allentate, i negozi hanno riaperto e, alla vigilia della Pasqua ebraica, la vita sembra essere tornata alla normalità. Non solo, anche durante i mesi della pandemia sono state fatte importanti mosse politiche come gli accordi di pace con gli Emirati Arabi Uniti e altri Stati musulmani e un ulteriore rafforzamento dei legami con gli Stati Uniti mediante il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. E, sul fronte palestinese, sia in Cisgiordania che a Gaza, si registra una relativa calma. Come spiegare dunque l’esistenza parallela di una situazione di caos politico e di crisi della democrazia a fronte di una gestione efficiente e creativa della lotta contro il coronavirus e, in una certa misura, della profonda crisi economica provocata dalla pandemia? È vero che, a causa dei problemi legati alla sicurezza, Israele ha forze dell’ordine preparate ed è in grado di bloccare i confini a quei turisti portatori di malattie e di mutazioni che hanno peggiorato la situazione sanitaria in Europa. A mio vedere, però, la spiegazione del successo del primo ministro israeliano nella lotta contro il coronavirus, della sua impressionante capacità di lavoro, della sua ingegnosa creatività in campo governativo e della sua sopravvivenza nel caos politico che lo circonda è dovuta principalmente ai guai giudiziari che lo minacciano: un rischio reale che lui cerca in ogni modo di allontanare o di respingere. Al punto che si potrebbe ironicamente affermare che, se in Europa, o altrove, i cittadini volessero migliorare la gestione esitante e fallimentare dei governi nella lotta contro questa ostinata pandemia e spronare i premier a mostrarsi più creativi e intraprendenti, si dovrebbe "inventare" per loro una minaccia giudiziaria, vera o presunta, che li attenda dietro l’angolo, costringendoli a ottimizzare il loro lavoro e a dare prova di maggiore efficienza e di immaginazione. Per dimostrare che non sto solo scherzando vorrei portare l’esempio dell’ultima mossa politica di Netanyahu. Malgrado infatti io mi opponga fermamente alla sua ideologia, al modo in cui sobilla e fomenta divisioni e contrasti tra le parti, cerco di esaminare, per quanto possibile, le sue azioni in maniera obiettiva. Nella fattispecie mi riferisco al suo appello ufficiale a Ra’am, un partito estremista arabo-israeliano, perché si unisca alla coalizione che sta cercando di formare in modo da poter c ontinuare a essere primo ministro e sfuggire così al processo che lo attende. Con questo suo appello Netanyahu ha infranto la ritrosia di tutti i partiti ebraici alla Knesset a collaborare a livello governativo con le fazioni arabe presenti in parlamento, a causa dell’opposizione di queste ultime al carattere ebraico dello Stato, del loro appoggio al diritto di ritorno in Israele dei profughi palestinesi della guerra del 1948 e agli atti di resistenza dei palestinesi nei territori occupati contro Israele. Sebbene i rappresentanti di Ra’am siano membri alla pari del parlamento israeliano, fino a poco tempo fa venivano definiti, soprattutto da Netanyahu, «sostenitori del terrorismo» e con questa provocatoria affermazione il premier escludeva ogni possibile collaborazione con loro. Ma ora che Netanyahu si trova in grande difficoltà ha infranto la regola da lui stesso religiosamente rispettata e ha proposto a Ra’am di sostenere la coalizione che sta cercando di formare in cambio della promessa di benefici reali o immaginari. Così facendo Netanyahu intende eludere, da primo ministro, il processo che lo attende ma, in maniera assurda, ha anche legittimato una possibile collaborazione tra partiti arabi ed ebraici. Un’eventualità dalla quale questi ultimi si erano finora astenuti. Questo è solo uno dei tanti esempi dei trucchi di Netanyahu, della sua audacia, del modo con cui calpesta, nel bene e nel male, i valori della politica israeliana. A mio parere Netanyahu non può più essere primo ministro. La sua caduta è definitiva. Ma il segno che ha lasciato e il suo modo di agire, in negativo e in positivo, riecheggeranno nell’arena pubblica israeliana ancora per molti anni a venire.

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