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La Repubblica Rassegna Stampa
25.03.2021 Israele dopo le elezioni 2: il peso del partito islamista
Cronaca e intervista di Sharon Nizza a Faiz Abu Sahiban (della lista islamista Ra'am)

Testata: La Repubblica
Data: 25 marzo 2021
Pagina: 16
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Tra ultradestra e arabi le acrobazie di Netanyahu per formare un governo - 'Islamici determinanti. Siamo pronti a sostenere chiunque ci ascolterà'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/03/2021, a pag. 16, il commento di Sharon Nizza dal titolo "Tra ultradestra e arabi le acrobazie di Netanyahu per formare un governo"; l'intervista a Faiz Abu Sahiban (della lista islamista Ra'am) con il titolo 'Islamici determinanti. Siamo pronti a sostenere chiunque ci ascolterà'.

Ecco gli articoli:

"Tra ultradestra e arabi le acrobazie di Netanyahu per formare un governo"

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Sharon Nizza

Con il 97% delle schede scrutinate, lo stallo della politica israeliana si delinea con maggiore chiarezza: un nuovo governo Netanyahu con il sostegno di Naftali Bennett non arriva a ottenere i 61 seggi necessari per comporre una maggioranza. Si fermano a 59, includendo anche la destra religiosa- nazionalista di Betzalel Smotrich (6 seggi), che porta per la prima volta nella Knesset anche Itamar Ben Gvir, “l’avvocato dei coloni”, considerato estremista anche da molti settori del Likud. Con 30 seggi e un distacco di ben 13 dal secondo partito (Yesh Atid di Yair Lapid, 17 seggi), Netanyahu è il vincitore di queste elezioni, ma, come nelle tre precedenti tornate elettorali degli ultimi due anni, se non riesce a mettere in piedi una coalizione, nel regno del proporzionale anche 30 seggi non sono la salvezza. E mettere su una coalizione dopo che negli anni si è fatto terra bruciata degli alleati, sembra un’impresa più ardua che mai. Mentre le quarte elezioni cadevano con un tempismo perfetto, con la campagna elettorale che coincideva con quella vaccinale, un eventuale ritorno alle urne in estate non è propizio: nel pieno della fase dibattimentale del processo al primo ministro che riprende il 5 aprile, e con l’effetto vaccini attenuato. Se poi, nonostante il successo riconosciuto in tutto il mondo della campagna inoculazioni, ha ottenuto 30 seggi - perdendone 6 a favore degli avversari di destra – non c’è nessuna garanzia di incassare una vittoria più netta. Quindi è critico trovare i 61. Lo scenario più discusso riguarda il sostegno a un governo Netanyahu da parte di Ra’am, il partito di Mansour Abbas, parlamentare arabo fuoriuscito dalla Lista Araba Unita proprio per sostenere una linea pragmatica che non precluda l’appoggio a un governo di destra. Gli exit poll non li avevano rilevati, mentre i dati reali li danno a 4 o 5 seggi. Qui resta difficile pensare alla convivenza tra il partito che raccoglie il voto islamico e la destra nazionalista che si oppone a qualsiasi dialogo con i palestinesi. Anche se la posizione pragmatica di Ra’am potrebbe sorprendere e al momento Abbas, che fa di tutto per essere l’ago della bilancia, dichiara che «non esclude chiunque non lo escluda». Su un’altra opzione lavorano ora gli emissari di Netanyahu, cercando disertori tra le opposizioni – per assurdo anche tra Blu e Bianco di Benny Gantz (8 seggi), con cui ha appena rotto l’alleanza di governo. Gli “anti Bibi” possono raggiungere una maggioranza mettendo insieme una coalizione dalla tenuta improbabile con partiti arabi, sinistra, nazionalisti laici e religiosi, in cui l’unico collante sarebbe la volontà di mandare a casa Netanyahu. Altra opzione: 15 seggi degli ultraortodossi si uniscono alla compagine avversaria a Netanyahu, senza arabi e senza Lieberman (l’unico che non siederebbe con i haredim). Un precedente c’è, quando Rabin nel ’92 fece convivere i laicissimi di Meretz con i religiosi di Shas. Ma la vera speranza di Netanyahu è che venerdì, ultimato il conteggio di mezzo milione di schede di chi ha votato fuori dal proprio seggio, i due agognati seggi arrivino da lì.

'Islamici determinanti. Siamo pronti a sostenere chiunque ci ascolterà'

«È un passo drammatico che si fonda su un principio: se vogliamo un cambiamento nella società araba, dobbiamo essere parte della soluzione e non del problema». Faiz Abu Sahiban, sindaco di Rahat, la più grande città beduina d’Israele e membro dell’esecutivo di Ra’am, racconta alcuni retroscena della scelta del partito islamista, che potrebbe decidere le sorti del prossimo governo dello Stato ebraico. «Dobbiamo essere parte integrante del processo decisionale, mettere sul tavolo la nostra agenda e trattare sulle questioni importanti per noi, in cambio del sostegno politico a qualsiasi coalizione».

Cosa chiedete? «Abbattimento della criminalità, riconoscimento degli insediamenti beduini considerati illegali, piani regolatori, investimenti in educazione e infrastrutture».

Perché avete deciso di staccarvi dalla Muskhtaraka, la Lista Araba Unita? «Non dipendiamo dalla destra né dalla sinistra, rispondiamo solo al pubblico arabo. Se la maggioranza del Paese vuole Netanyahu, non abbiamo problemi a cooperare anche con lui. Idem con Lapid. Non mettiamo veti. Volete il nostro sostegno? Perfetto, queste sono le nostre richieste».

Il sostegno alla destra era una linea rossa? «Balad (uno dei quattro partiti della Mushtaraka) si oppone a qualsiasi trattativa. Che cosa ci state a fare nella Knesset? Siamo lì per portare un cambiamento da dentro, non per urlare da fuori. Per questo ora tutta la Mushtaraka ha preso solo 6 seggi».

Non era iniziato tutto con la diatriba interna sulla votazione della legge contro le terapie di conversione degli omosessuali? «Ra’am rappresenta una società conservatrice, non possiamo sostenere quella legge. Era la nostra linea rossa. La loro linea rossa era il sostegno a Netanyahu. Due linee rosse hanno portato alla rottura».

Potete considerare di unirvi ad un’alleanza che includa Ben Gvir? «Ben Gvir è un’estremista. Se non accetta le nostre richieste, vorrà dire che quella coalizione non farà per noi. Netanyahu deve decidere con chi stare».

Raccomanderete Netanyahu alle consultazioni con il presidente? «Raccomanderemo chi ci darà le garanzie di occuparsi dei nostri problemi. Con i nostri seggi possiamo stabilire chi sarà il prossimo premier d’Israele, la decisione spetta a loro».

C’è chi vi ha chiamato collaborazionisti, traditori della causa palestinese. «Siamo un unico popolo e siamo per la soluzione dei due Stati. Ma dobbiamo occuparci dei problemi della nostra gente qui. Non rinuncio al diritto di difendere i palestinesi per le vie consentite dalla legge, offriamo molto aiuto umanitario con la nostra rete di associazioni islamiche».

Avete ricevuto condanne da parte della leadership palestinese? «No. Non intervengono nelle nostre questioni interne, come noi non interveniamo nelle loro. Rispettiamo la legge israeliana secondo la fatwa che stabilisce che una minoranza islamica in un Paese non musulmano deve rispettare la legge del luogo. Fa parte del principio della wasatia , la ricerca della via di mezzo. Come sta facendo Abbas alla Knesset».

Siete i protagonisti di una svolta? «Non vogliamo altre elezioni, ma essere parte di un governo in cui possiamo fare la differenza. È l’inizio di una nuova epoca di accettazione e cooperazione».

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