Finalmente un libro sulla realtà del conflitto israelo-palestinese
Analisi di Antonio Donno
La copertina
Immediatamente dopo la fondazione di Israele, il ministro degli Esteri egiziano, Muhammad Salah al-Din, così affermò in modo inequivocabile: “Gli arabi, nel richiedere il ritorno dei rifugiati in Palestina, alludono al loro ritorno come padroni della loro Terra Madre, non come schiavi. Con la massima chiarezza, essi alludono alla liquidazione dello Stato di Israele”. Questa affermazione è stata per decenni il caposaldo dell’ideologia palestinese nella sua lotta contro Israele, sino ad oggi. Tale caposaldo è stato nel tempo rinforzato dalle organizzazioni internazionali, in particolare dalla Un Relief and Works Agency (Unrwa), un’agenzia che non ha un corrispettivo nelle vicende dei milioni dei rifugiati che hanno vagato per tutta l’Europa dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Greci, turchi, indiani, pachistani, polacchi, ucraini, coreani ed altre minoranze si sono trasferite da un punto all’altro dello scenario internazionale senza che le organizzazioni internazionali se ne prendessero cura, instituendo comitati di aiuto per quei rifugiati.
Il libro di Adi Schwartz e Einat Lilf, The War of Return: How Western Indulgence of the Palestinian Dream Has Obstructed the Path to Peace (New York, All Points Books, 2020), ripercorre criticamente la vicenda dei rifugiati palestinesi, mettendo nel giusto risalto che essi, oltre che puntare al ritorno soppiantando gli ebrei, furono manipolati dai regimi arabi a questo scopo. Questo è risaputo, ma è importante che un nuovo libro riproponga un’esatta visione dei fatti, dopo anni di menzogne e distorsioni. Un aspetto cruciale dell’intera vicenda è che essa si colloca – scrivono Schwartz e Lilf – nel contesto della guerra fredda, assumendo una valenza che va ben al di là di una crisi regionale, per quanto il Medio Oriente abbia rivestito un ruolo fondamentale nel sistema politico internazionale dopo la fine della Grande Guerra. Lo disse chiaramente Harry Truman nel 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele: abbiamo assolto il compito di aiutare il popolo ebraico a far ritorno nella sua terra, ma d’ora in poi gli arabi saranno risucchiati nell’orbita sovietica, pur di raggiungere il loro scopo: la distruzione della patria ebraica. Tuttavia, come è noto, prima la missione del conte Folke Bernadotte, voluta dalle Nazioni Unite, poi l’istituzione dell’Unrwa puntarono a modificare la realtà dei fatti. In particolare, scrivono i due autori, con la missione del “mediatore” svedese, “piuttosto che mettere in moto un processo che infine avrebbe portato alla pace, Bernadotte aprì la porta a una guerra continua sotto il mantello della legittimazione internazionale”. Una verità indiscutibile, che fu in seguito confermata dalla creazione dell’Unrwa, un’organizzazione di aiuto ai rifugiati palestinesi, che, unica nel suo caso, divenne un’organizzazione permanente che finì per alimentare e consolidare, di generazione in generazione, l’odio palestinese e la sua convinzione di far ritorno nella terra natia per mezzo della lotta armata e l’eliminazione dello Stato ebraico. Nei libri scolastici palestinesi, stampati con il denaro dell’Unrwa, cioè dei contribuenti occidentali, gli ebrei erano definiti, di volta in volta, “bugiardi”, “truffatori”, “usurai”. Queste menzogne si sono radicate nella mentalità palestinese, nonostante gli accordi che nel tempo hanno contrassegnato gli incontri israelo-palestinesi, come quelli di Oslo del 1993, che in realtà sono stati abilmente utilizzati da Arafat per incrementare il terrorismo anti-israeliano.
In definitiva, l’Unrwa ha svolto il ruolo di incubatore dell’odio palestinese e, cosa ancora più importante, di diffusore a livello internazionale di un atteggiamento di condanna di Israele, tale da convincere gli stessi palestinesi che il loro ruolo di rifugiati fosse esclusivamente quello di lottare per la demolizione di Israele: “Essi subordinarono le loro stesse condizioni di vita alla lotta ad oltranza contro lo Stato di Israele. Essi considerarono le condizioni di vita di centinaia di migliaia, e più tardi di milioni, di persone del loro popolo meno importanti di questo obiettivo politico”. I risultati sono ora sotto gli occhi di tutti.
Antonio Donno