Fiammetta Martegani
Anshel Pfeffer
Israele torna alle urne per la quarta volta consecutiva in meno di due anni. Sei milioni e mezzo gli israeliani chiamati a votare, durante un giorno feriale, in cui uffici sono chiusi, così come le scuole, che vengono adibite a postazioni elettorali. Sono stati predisposti 409 seggi speciali per persone positive al Covid e 342 per chi è in quarantena. Per loro è stato organizzato uno speciale sistema di taxi che li accompagna singolarmente. Sono inoltre previsti dei drive-through elettorali: si vota direttamente dalla macchina. Ci sono poi 38 seggi speciali nei reparti anti-covid degli ospedali. Il piano di vaccinazione sta dando i suoi frutti. Ed è proprio questa campagna, più che quella elettorale, che sta portando consensi al premier uscente Benjamin Netanyahu. Secondo gli ultimi sondaggi, ha una potenziale coalizione di 53 seggi, inclusi i partiti religiosi e il neo-partito islamico. Sul fronte opposto, guidato da Yair Lapid, i seggi in totale si aggirano attorno ai 50. Per formare un governo ne servono 61. Naftali Bennett, con gli 11 seggi di Yamina, si conferma ago della bilancia.
Benjamin Netanyahu
Netanyahu è sempre riuscito ad adattarsi a tutti i cambiamenti interni alla società israeliana, e i suoi 30 anni di carnera politica ne sono una conferma. Lo farà anche ora». Anshel Pfeffer, editorialista e autore di Bibi - The Turbulent Life and Times of Benjamin Netanyahu, ritiene che anche questa volta il premier potrebbe cavarsela.
II Covid aiuta? Diciamo che Bibi si è aiutato da solo. Ha fatto fuori Benny Gantz, l'unico vero rivale degli ultimi dodici anni, dopo averlo forzato a entrare nella sua coalizione proprio per fronteggiare l'emergenza sanitaria. Poi ha tirato fuori dal cilindro il vaccino per tutti.
La sconfitta di Donald Trump può avere riflessi e influenzare il destino di Netanyahu? Sicuramente. Bibi per quattro anni si è presentato agli occhi del mondo come il migliore amico del presidente degli Stati Uniti. Joe Biden, invece, nonostante sia un amico di Israele, non oserà mai spingere l'acceleratore come ha fatto il suo predecessore. Trump ha messo letteralmente in pratica quel che Netanyahu aveva in mente già dal 1993, quando nel suo libro A place among the Nation esplicitava la sua visione antitetica rispetto agli Accordi di Oslo. Secondo Bibi l'unico modo per promuovere una pacificazione del Medio Oriente è stringere rapporti diplomatici con gli alleati del Golfo, come è avvenuto con gli Accordi di Abramo, siglati con gli Emirati Arabi Uniti e con altri tre Paesi. Che hanno però lasciato fuori del tutto la controparte palestinese.
Che ne sarà dunque dei palestinesi? La promessa delle annessioni è stata usata da Netanyahu solo per vincere le precedenti elezioni. Non c'è mai stato un piano concreto, sia perché sarebbe estremamente complesso a livello di sicurezza, sia perché Bibi è convinto che, con il passare del tempo, i palestinesi non saranno più una delle priorità dell'agenda internazionale. Quindi, fragili e delegittimati, si troveranno costretti ad accettare lo status quo di semi-autonomia.
Cosa succederà in queste elezioni? Anche solo un seggio può fare una differenza enorme per far tornare i numeri necessari a creare un governo. Fino ad oggi Netanyahu è sempre stato in grado di mettere insieme una coalizione, ma quest'anno potrebbe essere più complicato. Soprattutto sarà più difficile portare dalla sua parte Naftali Bennett, il vero kingmaker di queste elezioni.
Finora Bibi se l'è sempre cavata. Quale è il segreto del suo successo? La sua energia, che gli permette di combattere fino all'ultimo, tirando fuori l'asso dalla manica al momento giusto. Pur provenendo dalla vecchia élite israeliana, ha sempre dimostrato uno straordinario talento nel capire cosa vuole il suo elettorato. E il modello populista che spiega il successo, analogo, di Trump e Berlusconi. Ma ciò che fa di Netanyahu un leader indiscusso nella storia, non solo di Israele, è la sua capacità di tenere insieme l'impossibile. Per questa sua partita di poker, farà sedere allo stesso tavolo arabi ed ultraortodossi, in un casinó collocato nel bel mezzo del Medio Oriente.
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