IC7 - Il commento di Diego Gabutti
Dal 15 al 20 marzo 2021
Informazione paparazza
Mario Draghi
Mario Draghi non parla, o parla poco: se ne lamentano i conduttori di talk show e telegiornali, e anche un po’ i gazzettieri della carta stampata. Un uomo politico, nell’era delle «maratone» e dei «social», deve mostrarsi in pubblico, convocato dallo schiocco di dita delle autorità morali che governano l’informazione, ogni volta che queste lo ritengono opportuno. Morto il giornalismo tradizionale, che non si sovrapponeva ai fatti della politica né li generava ma li registrava e basta, ciò che oggi passa per informazione (non soltanto politica ma soprattutto politica, da qualche tempo anche pseudomedica) è un’idea da paparazzi della vita pubblica: le star populiste, sovraniste, virologiche, post comuniste eccetera in diretta Skype con libreria dietro le spalle, sorprese per strada da un allungatore di microfoni che un giorno è aggressivo e un altro lecchino, oppure in studio con cravatta intonata.
Draghi ha i suoi difetti, a cominciare dal fatto che il suo governo, per ingerenza debita e indebita dei partiti, sembra quasi un Conte ter, e personalmente mi piace sempre meno. Però ha senz’altro una virtù. Non risponde allo schiocco di dita dei paparazzi dell’informazione, a differenza di quasi tutti gli uomini pubblici, né scodinzola come fanno loro quando il giornalista li sgrida (succede sempre più spesso, dei politici come dei «tecnici» non si ha più rispetto) oppure toglie loro bruscamente la parola per passarla alla pubblicità. Draghi no. È di un’altra scuola. Diversamente dagli esibizionisti (esibizionisti senza nulla da esibire) che affollano la scena italiana il neopresidente del consiglio non si mette sull’attenti davanti a Massimo Giletti o all’invasato di Fuori dal coro. Non riusciranno a farne un eroe «peplum»: l’Ursus contro Maciste della rissa televisiva non stop che è ormai la sostanza stessa dell’informazione politica in Italia. Tra lui e i politici della terza repubblica c’è una distanza abissale, come (per capirci) tra Charlie Chaplin e Beppe Grillo, o tra Alessandro Manzoni e un libretto sentimentaloide-progressista di Valter Veltroni.
Lilli Gruber
Se «non parla», se anzi «si sottrae al pubblico dibattito», è perché non parla a comando, a differenza di tutti gli altri pappagalli e merli addestrati del circo mediatico. Ciò desta l’indignazione di Lilli Gruber, che infatti torna spesso a dolersene mostrando un’espressione severa (e il profilo migliore) alle telecamere. Piace, in compenso, o almeno spero, a tutti gl’italiani che non campano d’infotainment, d’intrattenimento travestito da informazione, ma che si guadagnano onestamente da vivere (o che lo farebbero, Covid permettendo). Draghi parla quando è istituzionalmente tenuto a farlo, come l’altro giorno in conferenza stampa, quando ha risposto con divertita abilità a tutte le domande, comprese le più scomode (non sarà, signor presidente, che la nostra politica delle vaccinazioni la decidono Merkel e Macron in base ai loro calcoli elettorali?) Speriamo cominci a segnalarsi per sobrietà anche il suo governo.
Diego Gabutti