La Cina alla conquista del Mediterraneo Cronaca di Gianluca Di Feo
Testata: La Repubblica Data: 13 marzo 2021 Pagina: 17 Autore: Gianluca Di Feo Titolo: «Le manovre italiane riescono a bloccare le mire della Cina nel Mediterraneo»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/03/2021, a pag.17, con il titolo "Le manovre italiane riescono a bloccare le mire della Cina nel Mediterraneo", il commento di Gianluca Di Feo.
Gianluca Di Feo
Il grande gioco nel Mediterraneo orientale è una sfida invisibile, una partita che può decidere il futuro di tre continenti. Ogni mossa condiziona il controllo di giacimenti petroliferi colossali, scoperti sotto il mare e ancora da sfruttare. Tutti i confini e i trattati vengono messi in discussione: per questo le pedine chiave sulla scacchiera sono le navi militari, che dimostrano la capacità di influire sull’area. Una situazione quasi ottocentesca, quando si parlava di “diplomazia delle cannoniere”, di cui anche il governo italiano, dopo anni di assenza, sta cominciando a diventare consapevole. Nella stagione in cui la presidenza Trump ha allontanato gli Usa dagli interventi in Medio Oriente, in queste acque turbolente si è aggressivamente fatta spazio la flotta turca. Israele, Egitto e Grecia hanno risposto con un’inedita alleanza rivolta alla Francia, mentre i russi sono sempre più attivi dalle basi siriane. Ma c’è un’altra potenza che da tempo cerca un pretesto per installarsi nel Mediterraneo: la Cina. E quale occasione migliore che presentarsi con la bandiera delle Nazioni Unite? A largo del Libano opera la task force navale della missione Unifil, i caschi blu che vigilano sul cessate il fuoco alla frontiera israeliana e contrastano i traffici d’armi diretti alle milizie libanesi. Attualmente ci sono navi tedesche, greche, turche, bangladesi e indonesiane ma alla fine dello scorso anno Giacarta ha comunicato di volersi ritirare. Inizialmente al Palazzo di Vetro hanno pensato di ridimensionare lo schieramento e non sostituire gli indonesiani. Poi è arrivata l’offerta cinese: «Mandiamo una nostra fregata per rimpiazzarli ».
La proposta ha subito allarmato i vertici della Nato e soprattutto Washington. La flotta cinese ormai è una presenza stabile nel Corno d’Africa, grazie anche a una base ottenuta da Gibuti, dove da oltre un decennio conduce pattugliamenti per proteggere i suoi mercantili dai pirati. Spesso queste spedizioni vengono concluse con una crociera nel Mediterraneo. Nel 2011 sono arrivati fino alla Libia; l’anno dopo si sono spinti nel Mar Nero; nel 2013 hanno toccato Malta e Marocco; nel 2015 hanno addirittura fatto una manovra congiunta con gli incrociatori russi e visitato il porto di Taranto, una delle installazioni europee che fa gola all’espansione commerciale di Pechino. Negli anni successivi ci sono state altre esercitazioni, con frequenti soste ad Alessandria d’Egitto. Insomma, l’interesse per il Mediterraneo è fin troppo chiaro ed è un capitolo chiave della grande espansione navale che il Pentagono considera la più importante minaccia cinese. La missione Onu avrebbe permesso alla Cina di occupare una casella strategica, gettando l’ancora in Libano e giustificando il supporto di altre unità per i rifornimenti e l’addestramento. Per sventare questo scenario, d’accordo con gli Usa, si è fatta avanti l’Italia. Il ministero della Difesa con il sostegno degli Esteri ha avanzato la candidatura a sostituire gli indonesiani con una fregata della Marina Militare: poiché abbiamo già il comando dell’intero contingente Unifil e schieriamo il maggior numero di caschi blu sul confine israeliano, difficilmente l’offerta potrà essere rifiutata. Poi, dopo il via libera delle Nazioni Unite, sarà il Parlamento ad approvare la spedizione. L’iniziativa, elaborata dal ministro Lorenzo Guerini con il governo Conte e portata avanti ora da quello Draghi, ha un duplice vantaggio. Consolida i nostri rapporti nella Nato, sventando il rischio di un inserimento strategico della Cina in quello che anticamente si chiamava “Mare Nostrum”. Allo stesso tempo concede all’Italia l’opportunità di tornare da protagonista nel Mediterraneo Orientale. Lì “l’interesse nazionale” non è teorico: i giacimenti contesi dalla Turchia a largo di Cipro sono in parte assegnati all’Eni e la società statale ha ottenuto l’esplorazione di altri campi di idrocarburi nella stessa area. Esserci, oltre a contribuire alla stabilità del Libano e quindi dell’intero Medio Oriente, permette di tutelare risorse importi per la nostra economia.
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