François Rastier: 'Il nuovo razzismo dei nemici dell'Occidente' Lo intervista Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 13 marzo 2021 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Razza e caos»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/03/2021, a pag.II, con il titolo "Razza e caos", l'intervista di Giulio Meotti a François Rastier.
Giulio Meotti
François Rastier
Due scrittori bianchi in Olanda e in Spagna che devono rinunciare alla traduzione dei versi della poetessa di colore Amanda Gorman perché bianchi, la tomba di Adam Smith inserita in una lista antirazzista dal Consiglio comunale di Edimburgo, due opere di Claude Debussy eliminate da una scuola di musica di New York perché parlano di schiavitù, doppiatori bianchi sostituiti da quelli di colore nel dare la voce a personaggi di colore nei cartoni animati... Ogni giorno la sua pena antirazzista, si direbbe. François Rastier, direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, autore di "Ulisse ad Auschwitz. Primo Levi, il superstite", studia questo fenomeno da anni ed è allarmato. "Negli ultimi vent'anni, la nozione di razza è tornata nelle scienze sociali. E' considerata un `costrutto sociale', ma negli studi culturali è combinata con altre identità. La concezione identitaria della cultura ha una base scientifica o si limita a un postulato ideologico? Può la razza diventare un quadro per la lettura del mondo sociale? Come e perché le teorie del dominio hanno sostituito le teorie dello sfruttamento?". Queste domande stanno diventando cruciali. "Per tutto il XIX secolo, l'antropologia fisica si era sforzata di classificare le razze in base a tutti i tipi di misure, in particolare la craniometria. La razza si è spiritualizzata, è diventata politica e corrisponde a una visione del mondo. Spesso dimenticato, Leo Frobenius, eminente rappresentante della Völkerkunde vicino alla `rivoluzione conservatrice', volle senza successo convincere le autorità del Reich che la prima civiltà, quella di Atlantide, prima di quella dei Greci, era africana. Il suo culturalismo empatico e intuitivo postulava che la cultura, concepita come una `visione del mondo', determina la razza. Quindi, lungi dall'opporsi al razzismo biologico, il razzismo ideologico può diventarne un complemento, quando "La criminalizzazione del `pensiero bianco' e di quello `daltonico' rende impossibile a priori qualsiasi dibattito filosofico" "Il postmodernismo è molto pericoloso, da lì vengono molte nuove ideologie, dalla post-verità al decolonialismo" non il coronamento ideale. A ogni identità razziale corrisponderebbe una mentalità che prevale su ogni criterio biologico, divenuto secondario. Sarà sufficiente per gli ideologi decoloniali riaffermare l'esistenza di razze mentali (non biologiche) per affermare che non sono razzisti, poiché ribaltano esplicitamente le antiche gerarchie coloniali. Così scrive il sociologo Eric Fassin: `Dire delle persone che sono `bianche' (o `non bianche') non significa tornare alla razza biologica. Al contrario, è caratterizzarle, non dal colore della pelle, ma dalla loro posizione sociale"'.
La razza così intesa resta uno pseudoconcetto che ha una doppia funzione: "Un discorso militante sotto una patina scientifica, purtroppo con il supporto delle autorità; dividere le popolazioni e fomentare l'odio razziale, con il pretesto di un antirazzismo che va di pari passo con il razzismo anti-bianco e l'antisemitismo. Ricordo che negli Stati Uniti come in Francia, manifestazioni in difesa dei neri (da Black Lives Matter al comitato Adama Traoré) sono state punteggiate di slogan antisemiti". Una ideologia che risente dell'influenza della "teoria francese". "Terrorizzati dalla Rivoluzione francese, gli ideologi reazionari decisero di distruggere il concetto di umanità attraverso teorie razziali (Gobineau), irrazionaliste (da Schopenhauer a Nietzsche) e l'estetica del pathos (Burke). L'etica dell'autonomia e della liberazione sociale è stata contestata da un certo satanismo romantico che ha fatto dell'inversione dei valori una virtù suprema, da Sade a Lautréamont. Mentre le correnti marxiste affermavano di essere l'eredità dell'Illuminismo, il crollo del marxismo lasciò il posto al loro odio. Insomma, l'ostilità alla base del pensiero reazionario per più di due secoli è ormai condivisa da tutti i radicalismi, dall'estrema destra all'estrema sinistra. La Teoria francese' e anche la `Teoria italiana', con autori come Gianni Vattimo e Giorgio Agamben, hanno cercato di distruggere l'impresa scientifica: si tratta dell'heideggeriano Abbau, la `decostruzione'. La corrente decostruzionista iniziò ad affermarsi per delegittimare la nozione stessa di conoscenza razionale. Questo irrazionalismo della tradizione nietzschiana raccomandava le filosofie di vita, Heidegger in primis. Tuttavia, la legalità specifica dei beni culturali e la legittimità delle scienze sociali sono state eluse, messe in discussione. La nozione di postmodernismo fu sviluppata da Rudolf Pannwitz, un filosofo vicino alla cerchia di Stefan George e ai circoli della `Germania segreta', per approfondire la critica nietzschiana della modernità. Ripreso a partire dagli anni Cinquanta dai teorici dell'arte, in particolare dell'architettura, il termine postmodernismo si è diffuso nel mondo culturale per designare una forma di eclettismo aggressivo, mentre la decostruzione è nata dalla corrente filosofica heideggeriana; ma queste due tendenze si sono sovrapposte abbastanza rapidamente, tra filosofi come Jean-François Lyotard". La democrazia è uno dei primi obiettivi di questi radicalismi interessati a porre fine all'eredità dell'Illuminismo. "Anche i diritti umani, i cosiddetti diritti (presunti diritti) secondo Agamben, sono contestati da Badiou come una pericolosa illusione. Così, sotto un aspetto rivoluzionario, il postmodernismo, declinato in mille modi, dalla post-disciplinarietà alla post-verità, si oppone ai principi positivi della modernità e dell'Illuminismo, alle leggi razionali e morali, per promuovere una forma sofisticata di oscurantismo. Per questo il pensiero postmoderno estende e riprende posture messianiche, evocando il Messia degli ultimi giorni". Rastier parla dell'insostenibile paradosso del razzismo antirazzista. "Per i razzisti, la cultura si riduce a una visione del mondo e, in ultima analisi, a un destino. Qualsiasi arabo sarebbe musulmano di nascita, e quindi la critica all'islamismo sarebbe razzismo - il che consente alla direzione dell'Università Al Azhar del Cairo di denunciare come razzismo le misure prese dal governo francese dopo la decapitazione di Samuel Paty". Ovunque si tratta di "decolonizzare". "Più di mezzo secolo dopo la fine della colonizzazione, almeno la colonizzazione occidentale, il decolonialismo, un'ideologia sviluppata nel secolo successivo, sta vivendo un notevole boom. Stranamente, non menziona quasi mai la parte delle correnti anticoloniali e internazionaliste e riscrive la storia `in bianco e nero'. Si legge così che il XIX secolo sarebbe stato quello della schiavitù, mentre era quello dell'abolizione, spesso da parte degli stessi colonizzatori. Ma la realtà storica non ha importanza, purché si tratti di `decolonizzare gli immaginari' secondo la formula adottata ovunque da Achille Mbembe, autore de 'La postcolonie'. Dall'indipendenza, il passato coloniale è stato spesso denunciato dai regimi in vigore; ma dopo tre generazioni, i popoli liberati hanno il diritto di ritenerli responsabili, o almeno di non accontentarsi più dell'invocazione del passato. Tuttavia, il decolonialismo postula che la colonizzazione non sia mai cessata, almeno nella mente delle persone, e che, incarnata nel razzismo sistemico, continui ovunque, anche nelle antiche metropoli. Così il decolonialismo può soddisfare gli interessi delle tirannie". Un esempio recente, a settembre, Nicolas Maduro ha aperto con grande pompa a Caracas un "Istituto nazionale per la decolonizzazione", con una conferenza inaugurale che ha avuto come ospite principale Ramón Grosfoguel. "Opportunamente presentato come `caraibico', perché di padre portoricano, pur essendo di nazionalità americana e insegni all'Università di Berkeley), e Houria Bouteldja, portavoce di lunga data del Partito dei Popoli indigeni della Repubblica. Mentre il Venezuela è indipendente dal 1811, la decolonizzazione resta ovviamente il programma per il futuro. Il decolonialismo si presenta come antirazzista, poiché equipara il colonialismo al razzismo. Tuttavia, denuncia solo il colonialismo occidentale, dimenticando in particolare il colonialismo ottomano, poi quello turco, il colonialismo giapponese e cinese. Allo stesso modo, menziona solo la tratta degli schiavi occidentale, mai le tratte arabe e africane". Il linguaggio è massacrato e manipolato. "Mi ero assicurato la codirezione scientifica di un progetto europeo per l'individuazione di siti razzisti, e ho poi ritrovato nei discorsi decoloniali alcune delle loro svolte caratteristiche, e un misto di pathos, kitsch, violenza e sentimentalismo, che legittima l'aggressione attraverso la vittimizzazione fantasticata. E' sempre commovente assistere alla nascita di una lingua di legno. Tra gli innumerevoli articoli indignati in risposta a un Manifesto degli intellettuali a seguito degli attentati dell'autunno 2020 durante il processo sulle stragi di Charlie Hebdo e Hyper Cacher, il testo pubblicato il 7 novembre su Mediapart e dal titolo `La minaccia dell'autoritarismo accademico' è firmato dai principali promotori del decolonialismo internazionale: preoccupati per le decisioni del governo americano di non finanziare più la 'Critical Race Theory', attribuiscono ai firmatari del Manifesto una forma di `maccartismo' (diversi firmatari si sono distinti nel sostenere Tariq Ramadan in particolare)". In Francia l'islamismo beneficia dell'immunità antirazzista. "Riguardo a questi pensatori, lo scrittore algerino Boualem Sansal ha parlato di `utili idioti', ma, per quanto fondata possa sembrare, questa formula della tradizione leninista trascura che le loro parole siano perfettamente concertate. In effetti, i nostri pensatori radicali condividono con gli islamisti gli stessi nemici, l'occidente, la democrazia, i diritti umani, la giustizia, la razionalità. Tutti temono che lo stato di diritto disarmerà e dissiperà le loro teologie politiche, sia che si affidino a Sayyid Qutb o Hassan al Banna, che a Martin Heidegger o Carl Schmitt. Un buon numero di filosofi radicali, da Nancy a Vattimo, Agamben,Lizek, Badiou sfidano lo stato di diritto invocando Heidegger, che ottiene anche il sostegno di vari islamisti, da Abdul Rahman Al Badawi a Ibrahim Vadillo. Ahmad Fardid in Iran ha creato una scuola di pensiero da cui proveniva Mahmoud Ahmadinejad. Inoltre, i teorici dell'Isis hanno una perfetta padronanza della retorica postcoloniale e la usano per reclutare". In che modo, tuttavia, i nostri pensatori radicali sarebbero utili agli islamisti oggi? "Lo scopo degli attacchi non è solo quello di attaccare simboli come Charlie Hebdo, Hyper Cacher, il Museo Ebraico di Bruxelles, la festa del 14 luglio a Nizza. Al di là dello stupore della violenza, spetta agli islamisti disorientare l'opinione pubblica, impedire la riflessione, ribaltare i ruoli delle vittime e dei torturatori. Aggravando la confusione, approfondendola strategicamente, continuando la violenza con altri mezzi, i nostri ideologi possono così rivendicare la missione storica dei collaborazionisti". Questa ideologia persegue diversi obiettivi. "Con le divisioni di razza, genere o sesso, indebolisce la coesione sociale e prepara la lotta di tutti contro tutti. Divisioni crescenti rendono impossibile l'esercizio della democrazia e persino l'idea di un elettorato. Lo abbiamo visto di recente con l'attacco senza precedenti a Capitol Hill. Le istituzioni stesse sono in gioco: non è solo questo o quel governo, ma lo stato di diritto che è in discussione, quando si riassume in un razzismo sistemico, un colonialismo eterno, un patriarcato inconscio e bianco (a quanto pare non esiste un patriarcato non bianco). In campo culturale, ciò si traduce in ostacoli alla creazione e alla censura delle opere. La criminalizzazione del `pensiero bianco' e di quello `daltonico' rende impossibile a priori qualsiasi dibattito filosofico e più in generale teorico, perché un dibattito è in linea di principio aperto a qualsiasi persona competente". Rastier ne ha anche per la cancel culture, "una forma `democratica' di totalitarismo, che mira allo sradicamento della cultura. Non si tratta di bruciare libri ebraici o marxisti, ma di escludere tutto dalla creazione culturale e dalla sua trasmissione. Si estende dall'eradicazione di tutte le opere principali, da Omero a Chaucer: l'Università di Sheffield ha deciso di rimuovere dai programmi tutte le opere precedenti il 1500. Conosciamo da tempo l'alleanza della sinistra con l'islamismo, apprezzata per il suo radicalismo `decoloniale' e la sua guerra contro l'occidente, e paradossalmente vittimizzata mentre sviluppa una politica del terrore che include la decapitazione di Samuel Paty. Ma è una situazione nuova e di vasta portata quella in cui le istituzioni culturali ed educative si lasciano intimidire, favorendo anche l'oscurantismo aggressivo. Pertanto, la cancel culture si prepara a soddisfare il desiderio supremo dell'industria culturale: sostituire la cultura con il culturale, calibrato per comunità che sono segmenti di una clientela".
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