Heidegger, nessuna difesa possibile
Commento di Diego Gabutti
La copertina (Bompiani ed.)
Nel suo studio su Heidegger e la cospirazione ebraica (Bompiani 2015, pp. 149, 13,00 euro, ebook 6,99 euro) il direttore del Martin-Heidegger-Institut, Peter Trawny, invita a non pensare che ogni forma d’antisemitismo – compresa quella «onto-storica» dell’autore di Essere e tempo, padre dell’esistenzialismo moderno – conduca direttamente ad Auschwitz e ne condivida per intero la responsabilità con Hitler e i suoi indemoniati. Giusta osservazione, se si aggiunge, però, che l’antisemitismo apocalittico dei forni, delle camere di tortura, dei campi di lavoro e della soluzione finale è stato reso possibile dalle forme più morbide e per così dire letterarie dell’antisemitismo. Sono stati i pregiudizi religiosi, le allucinazioni razziali e biologistiche, le vignette dei giornali, i libelli e i romanzi d’appendice, i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, La questione ebraica di Marx (un ebreo, o meglio «l’ebreo», tanto che «per Hitler l’ebreo è sempre anche il marxista», dice Trawny) e le Bagatelle per un massacro di Louis-Ferdinand Céline a rendere l’antisemitismo familiare agli europei del XX secolo, che hanno considerato ragionevole, e persino compassionevole, l’odio per gli ebrei, denunciati dalle intellighenzie di destra e di sinistra come usurai e cospiratori.
Martin Heidegger
Tra queste forme «innocue», letterarie e prenaziste, d’antisemitismo c’è stata anche la filosofia tedesca: Hegel, Nietzsche e, dopo la prima guerra mondiale, Martin Heidegger. Costoro non erano boia, ma intellettuali e pensatori, così come il guardiano dei campi, l’SS, il fucilatore d’ostaggi non era un assassino seriale, benché accoppasse i nemici della patria e dello stato senza mai prendere fiato, ma un operaio o uno studente di leva, un laureato, un bottegaio o un impiegato di banca, un padre di famiglia, un professore di liceo, un ingegnere, uno che scrive lettere d’amore alla morosa e che porta i bambini a vedere Biancaneve e i sette nani di Disney. All’autore di Sentieri interrotti, come agli altri antisemiti della cattedra, fu risparmiato l’orrore d’accendere il gas dopo aver chiuso la porta del forno dietro l’ultimo bambino ebreo, ma una relazione tra il loro antisemitismo e Auschwitz c’è, benché essi non l’abbiano mai ammesso (Heidegger neppure nei suoi appunti segreti, i cosiddetti Quaderni neri) e benché Trawny «problematizzi» questa relazione tra letteratura antisemita e Shoah. Heidegger, con «razza», intendeva qualcosa di diverso da ciò che intendeva il nazionalsocialismo con la stessa parola, scrive Trawny, e il suo oscuro concetto di «macchinazione» (insieme trionfo della tecnica e luogo di tutte le macchinazioni contro il popolo, la vita, il sangue e la filosofia) metteva contemporaneamente sotto accusa americanismo, ebraismo e lo stesso hitlerismo. Ma dubito che la «problematicità» della filosofia heideggeriana e le disarmonie dei suoi Quaderni neri consolino anche un solo «giudeo» (o un solo civilizzato, se è per questo) dei propri lutti. Ci sono «questioni filosofiche» che non è la filosofia a risolvere ma la storia a rendere evidenti.
Di queste evidenze Heidegger non parlò mai. Come dice Trawny: avrebbe potuto esserci «almeno il tentativo di lasciare che il pensiero fallisca di fronte a ciò che è accaduto, oppure, forse, un’espressione del coraggio di portare il lutto». Ma non ci fu nemmeno questo. Storia terribile della stagione più tenebrosa della filosofia tedesca, Trawny si sforza di raccontare l’heideggerismo senza ricorrere – almeno non più di quanto sia necessario – al gergo della filosofia heideggeriana, difficile e oscuro, a tratti inesplicabile: una lingua che ha sempre scoraggiato i divulgatori. Ci sono storie che non hanno una morale. «Con la pubblicazione dei Quaderni neri», scrive Trawny, «Heidegger s’è inserito nella dolorosa storia della Shoah», dopo aver fatto di tutto per evitarlo, e ne è stato travolto, perché «il lutto che piange ciò che è andato perduto si scontra con l’orrore del pensiero al quale questo lutto è rimasto sconosciuto. Questa “scia di lacrime” continuerà a esistere finché ci sono uomini sulla terra».
Diego Gabutti