Testata: Italia Oggi Data: 06 marzo 2021 Pagina: 14 Autore: Roberto Giardina Titolo: «Svizzera, referendum sul burqa»
Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi 06/03/2021, a pag.14 con il titolo "Svizzera, referendum sul burqa" il commento di Roberto Giardina.
Roberto Giardina
È un paradosso che mentre siamo tutti obbligati andare in giro con la mascherina anti Covid, domani in Svizzera si andrà a votare per il referendum sul «divieto di dissimulare il volto». In realtà si vuole vietare il burqa e il nikab, che lasciano intravedere appena gli occhi delle donne. Ma per, diciamo, dissimulazione democratica, il divieto riguarda ovviamente gli ultras allo stadio, e manifestanti. Giusto o sbagliato? Il burqa è già proibito dal 2011 in Francia e in Belgio, in Austria dal 2017, e in Danimarca dal 2018. E anche paesi islamici lo vietano: in Tunisia dal 2019, e in Marocco è vietato anche fabbricare e vendere nikab e burqa. In Svizzera, con un referendum sono vietati nel cantone di St. Gallen e in Tessino. E dal 2009 sono vietati i minareti. La legge approvata con referendum è entrata nella Costituzione federale. Nel 2013, il giornalista di Lugano, Giorgio Ghiringhelli, 69 anni, lanciò l'iniziativa «Guastafeste», e ottenne il 65% di «sì». «Oggi vogliamo che il divieto sia esteso a tutta la Confederazione», ha dichiarato. Secondo i sondaggi dovrebbe raggiungere almeno il 60%, ma non è sicuro. Gli oppositori sono forti, anche in parlamento, e come sempre, i liberali e i progressisti hanno lasciato campo libero ai conservatori e ai partiti di estrema destra: chi è contro il burqa è subito accusato di razzismo, e di islamofobia, una definizione in realtà priva di senso. Avere paura di qualcosa o di qualcuno, sia pure immotivata, non è un sintomo di razzismo. I musulmani in Svizzera sono circa 450 mila, e sono bene integrati. Le donne, meno della metà, sono 200 mila, e coloro che portano i burqa sarebbero tra venti e trenta mila. Una battaglia per un problema più che trascurabile? «E una protesta civile», risponde Ghiringhelli, «la Svizzera deve dare un segnale. Diciamo, una questione di principio».
Chi non è d'accordo sostiene che le donne in burqa sono in gran parte turiste, che ignorano il divieto, e a subire un danno sono gli hotel che perdono una clientela ricca. Ma a chi arriva già vengono distribuiti volantini in più lingue. «Siamo contro la strisciante islamizzazione della Svizzera», ha dichiarato Anian Liebrand, promotore dell'Égerkinger Komitee, a favore del «sì». «La nostra cultura è cristiana», ha aggiunto. In realtà, non è questo il problema. Nikab, burqa, e anche il velo islamico non vengono nemmeno nominati nel Corano, sono uno strumento di oppressione maschile, come sostiene l'Imam di Berna Mustafa Memeti. La moschea università al-Azhar al Cairo nega che il burqa sia un simbolo religioso. «E un chiaro segnale che la donna deve essere dominata», ha denunciato l'attivista per i diritti umani, Saika Keller Messahli, svizzera di origine tunisina, «il burqa è uno strumento del fascismo islamico». Non è d'accordo Stefan Manser, del movimento «Operation Libero», secondo cui lo Stato non si deve occupare dell'abbigliamento dei cittadini: «Se proibiamo il burqa non siamo meglio dei Paesi in cui è un obbligo». Siamo sicure che le donne musulmane siano libere di scegliere? «Non si velano perché lo ordina un uomo», Andreas Tunger Zanetti, studioso dell'Islam di Zurigo, non ha dubbi. D'accordo è la sociologa francese Ages De Feo: «Le donne lo fanno per libera scelta, per protesta contro lo sfruttamento del corpo femminile in Occidente». La signora Keller-Messahli, risponde: «Le europee, perfino le femministe, sostengono che deve essere una scelta delle donne, ma civettano con il diritto di scegliere la schiavitù perché sono al sicuro, e mettono in pericolo milioni di donne islamiche che rischiano la vita se si ribellano».
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