MBS o quando la moralità incontra la realpolitik
Analisi di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Mohammed Bin Salman
Ormai sono tutti d’accordo: Mohammed Ben Salman, chiamato famigliarmente MBS, è un personaggio poco raccomandabile. Getta delle donne in prigione per il solo motivo che hanno osato guidare una macchina prima che lui avesse concesso il permesso: sarebbero state soggette a umiliazioni, persino a torture. E poi imprigiona e ricatta i suoi rivali. L'affare Khashoggi ha ulteriormente offuscato la sua immagine. Secondo un rapporto della CIA del 2018, l'erede del regno saudita è responsabile della morte del giornalista dell'opposizione Jamal Khashoggi. L'amministrazione Trump aveva archiviato il rapporto; Il Presidente Biden si è affrettato a pubblicarlo. Per sottolineare il suo biasimo, il nuovo inquilino della Casa Bianca, che aveva già puntato il dito contro MBS durante la sua campagna elettorale, ha dichiarato che d’ora in poi non avrebbe più avuto contatti con lui e che avrebbe comunicato solo con re Salman. Questa decisione è stata un duro colpo per l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo, che la vedono come un'ingerenza inammissibile nella politica interna di uno Stato sovrano e persino, secondo alcuni, come un appello a una rivoluzione di palazzo per rovesciare MBS. La nuova religione dei diritti umani, che il Partito Democratico ora al potere sembra voler abbracciare, sceglie i suoi obiettivi in modo piuttosto strano. I "crimini" attribuiti al principe sono ben lontani dal raggiungere la gravità di quelli commessi impunemente da altri leader e non solo in Medio Oriente. Bisogna vedere con quale barbarie gli ayatollah trattano quelli che loro qualificano come oppositori, torturandoli e talvolta giustiziandoli senza processo. Lo scorso dicembre non hanno esitato a rapire Habib Chaab che, beneficiando dello status di rifugiato politico in Francia, aveva avuto l'imprudenza di lasciare questo Paese per incontrare un cosiddetto simpatizzante a Istanbul. Drogato e riportato di nascosto a Teheran, nessuno sa cosa gli sia successo.
Jamal Khashoggi
Da allora. Cosa differenzia il suo caso da quello di Khashoggi? Che dire della persecuzione della pacifica comunità dei Bahà’i, i cui membri vengono regolarmente defraudati, arrestati, imprigionati? Il Presidente Biden troncherà anche i contatti con il nordcoreano Kim Jong Un? Verranno interrotte le trattative con la Cina per protestare contro l'occupazione del Tibet e il trasferimento di popolazione volto a introdurvi una maggioranza di cinesi o ancora, per protestare contro le discriminazioni subite dai 35 milioni di Uiguri, che sono di religione musulmana? “Gli Stati non hanno amici, hanno solo interessi” diceva quell'uomo integro che era il Generale de Gaulle, parafrasando la riflessione fatta nel 1848 dal britannico Lord Palmerston: “L' Inghilterra non ha amici né nemici permanenti; ha solo interessi permanenti”. Certo, la moralizzazione della diplomazia e della vita internazionale in generale, sarebbe altamente auspicabile, ma non dobbiamo oltrepassare i limiti. Nel caso dell'Arabia Saudita ci sono due livelli di problemi, non solo Mohammed Bin Salman governa il regno de facto, ma anche che suo padre, che ora ha 85 anni, è in cattive condizioni di salute e si dice che soffra di problemi cognitivi. Nondimeno l'Arabia Saudita è un elemento centrale nella partita di scacchi che si gioca oggi in Medio Oriente. Mettendo in dubbio la legittimità della sua leadership, l'amministrazione statunitense la indebolisce e fa il gioco dell'Iran.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".