Riportiamo, da AVVENIRE di oggi, 24/02/2021, a pag. 3, l'articolo di Riccardo Redaelli dal titolo "Iran, Biden e l'Ue. Ora ricostruire il tavolo spezzato".
A destra: Joe Biden
L'articolo di Redaelli è da trombettiere perché:
1. auspica il rovesciamento completo della politica americana di Donald Trump con il nuovo presidente, in particolare per il Medio Oriente e l'Iran;
2. accusa di falsità le denunce dei crimini iraniani e la corsa al nucleare degli ayatollah, che sono invece realtà documentate;
3. riconduce queste accuse alla destra americana, a Israele e all'Arabia Saudita, mentre si tratta di considerazioni che ogni persona che guardi alla realtà con buonsenso e senza paraocchi ideologici dovrebbe condividere;
4. parla di "attacchi feroci" da parte di questa presunta coalizione di destra contro gli accordi voluti nel 2015 da Obama;
5. definisce "ottimo" l'accordo del 2015;
6. definisce il governo di Rohani in Iran "aperto all'Occidente" e dimentica le minacce e i crimini quotidiani di cui è responsabile;
7. si contraddice, perché in conclusione all'articolo sostiene che oggi l'Iran è più vicino al nucleare che quattro anni fa, ma non spiega che così è perché il regime non ha rispettato gli accordi presi nel 2015, che sono stati al contrario violati fin dal primo giorno;
8. auspica un maggiore coinvolgimento dell'Europa e della diplomazia vaticana per il miglioramento delle relazioni Usa-Iran.
Conclusione: un articolo di totale sostegno al regime criminale e terrorista di Teheran, un pezzo ancora una volta di disinformazione sul quotidiano dei vescovi.
Ecco l'articolo:
Riccardo Redaelli
Il presidente Biden lo ripete come un mantra: «L'America è tornata», indicando la sua volontà di ribaltare la politica estera del controverso predecessore, che aveva allontanato gli Stati Uniti da una pluralità di accordi internazionali. Ma se ritornare al tavolo per la salvaguardia del clima è stata cosa facile, ben più complesso e faticoso si sta rivelando riattivare l'Accordo sul programma nucleare iraniano, firmato da Washington e Teheran nel 2015 (il cosiddetto Jcpoa). Un compromesso raggiunto dopo lunghissimi anni di negoziati, incontri, crisi, minacce, sanzioni e firmato con la formula del P5+1, ossia dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania e l'Unione Europea. Quell'accordo era stato ferocemente attaccato dalla destra americana, da Israele e dall'Arabia Saudita, con l’accusa falsa, va detto-di essere una capitolazione dinanzi aTeheran, tanto che Donald Trump lo aveva unilateralmente denunciato, imponendo una slavina di nuove pesanti sanzioni.
Al contrario, il Jcpoa era un ottimo risultato che aumentava i controlli sugli impianti nucleari di quel Paese, allontanando lo spettro di una possibile bomba iraniana. Da qui il desiderio del nuovo presidente di sedersi di nuovo anche a quel tavolo. Più facile a dirsi che a farsi, perché, come sempre, quando è in gioco la Repubblica islamica dell'Iran le cose si fanno molto complicate. Innanzitutto, smontare le sanzioni di Trump è meno facile di quanto sembri: occorre l'appoggio del Congresso americano, notoriamente ostile all'Iran e molto sensibile - per usare un eufemismo - ai desiderata di Israele e dell'Arabia Saudita. In questi giorni, Joe Biden ha cancellato alcune delle misure contro esponenti del sistema di potere iraniano, ma si tratta di mosse simboliche che non sembrano smuovere molto il tetro umore dei conservatori che dominano a Teheran.
In questi anni, infatti, sono cambiate molte cose: il governo aperto all'Occidente del presidente Rohani è stato di fatto commissariato proprio per il fallimento del Jcpoa. Teheran si aspettava grandi ritorni economici e diplomatici per aver firmato quel compromesso così faticoso e in cambio ha ricevuto solo la pugnalata delle sanzioni di Trump e di una politica che mirava neppure troppo velatamente a far crollare quel regime. Gli ultraconservatori, i pasdaran e tutti i gruppi ostili a una politica di apertura e moderazione hanno trovato l'occasione perfetta per spingere verso derive radicali. L'Iran oggi possiede molto più uranio arricchito di quanto dovrebbe e sta istallando centrifughe per l'arricchimento più avanzate e lo ha fatto giustificato dal voltafaccia americano e dalla vile inattività europea Insomma, Biden quando ha fatto per sedersi nuovamente al tavolo, si è accorto che di quel tavolo rimaneva ben poco.
La notizia positiva è che da Teheran filtra la disponibilità a riavviare i contatti anche con Washington sulla questione. Il capo dell'Agenzia atomica internazionale è stato ricevuto molto cortesemente, un segnale che - nonostante le roboanti dichiarazioni ufficiali - anche in Iran non si vuole la rottura. Certo ricostruire un minimo di fiducia reciproca sarà un processo lungo e faticoso, pieno di insidie e trappole create ad arte per far saltare ogni mediazione. Da soli, né gli iraniani disposti al dialogo né l'amministrazione Biden ce la possono fare. Per questo va ricreato quel tessuto di contatti discreti e di "sostegni informali" che facilitino le trattative. Gli svizzeri sono molto attivi per sbloccare l'impasse su alcuni cittadini statunitensi detenuti in Iran; anche alla diplomazia vaticana sembra essere stato chiesto un aiuto, e per la causa della pace e della comprensione tra i popoli questo non manca mai. Ma è pure fondamentale che la Ue, che del Jcpoa è stato un pilastro, riprenda ad avere un ruolo più attivo e incisivo. In questi anni noi europei siamo stati molto deludenti come attori geopolitici. Giocarci la reputazione su uno dei file più complicati e pericolosi di tutto il sistema internazionale sarà certo rischioso, ma è qui e ora che l'Europa può cercare di contare. Per evitare, ancora una volta, che i veti incrociati portino Washington e Teheran a dare il peggio di sé.
Per inviare la propria opinione a Avvenire, telefonare 02/6780510, oppure cliccare sulla e-mail sottostante