Attacco a Churchill, un esempio di cancel culture L'analisi di Mathieu Bock-Côté sul Figaro
Testata: Il Foglio Data: 22 febbraio 2021 Pagina: 3 Autore: la redazione del Foglio Titolo: «Tutti addosso a Churchill»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/02/2021 a pag.III, con il titolo 'Tutti addosso a Churchill', l'analisi tratta dal Figaro.
Mathieu Bock-Côté
La statua di Winston Churchill a Londra
Con grande stupore di tutti quelli che non hanno perso la ragione, una scuola britannica, cedendo alla richiesta di alcuni allievi, ha deciso di sbattezzare il suo edificio scolastico che portava il nome di Winston Churchill" scrive il sociologo e intellettuale canadese Mathieu Bock-Côté sul Figaro. "Aver tenuto testa a Hitler non basta più, a quanto pare, per aver il proprio posto nella storia della lotta contro il razzismo. Si rimprovera all'illustre uomo della battaglia d'Inghilterra di aver pronunciato alcune frasi nei confronti degli indiani influenzate dai pregiudizi dell'epoca coloniale. A proposito, J.K. Rowling, accusata di transfobia per aver ricordato che le donne hanno le mestruazioni e gli uomini non le hanno, ha subito la stessa sorte di Churchill. Con lo stesso spirito, una commissione scolastica californiana ha deciso recentemente di sbattezzare una scuola intitolata ad Abraham Lincoln, e questo in nome della lotta contro il razzismo. Il gesto può sembrare sorprendente. Lincoln, nella storia americana, non è forse il grande emancipatore degli schiavi neri? Come può l'antirazzismo rivoltarsi contro se stesso? Eravamo abituati ad abbattere i monumenti legati alle forze confederate della guerra di Secessione, ma da che momento in poi si è deciso di combattere colui che le aveva combattute? Gli viene rimproverato il suo comportamento con le popolazioni amerindiane. Un minimo di buon senso basterà per osservare che i cancellatori versano in uno sciocco anacronismo, che è correlato a una grave forma di incultura. Se Churchill e Lincoln appartengono al pantheon degli eroi dei loro rispettivi paesi, e sono ammirati ovunque in occidente, non è certo a causa dei pregiudizi che condividevano con la loro epoca, ma per le grandi gesta che permisero loro, in tempi tragici, di salvare la civiltà democratica. Ma a quanto pare bisognerebbe soltanto considerare i pregiudizi. La nostra epoca non vuole più eroi con le loro ombre, ma solo santi immacolati o martiri della causa della diversità. Ufficialmente, si tratta di decolonizzare la coscienza storica occidentale, di sbarazzarsi una volta per tutte dell'avventura inaugurata con l'espansione europea iniziata nel Quindicesimo secolo. L'occidente dovrebbe ormai guardarsi esclusivamente con gli occhi dei discendenti delle sue vittime. Ciò passa dal riconoscimento di un privilegio accordato alle "minoranze" nella narrazione della storia collettiva, riconoscendo in particolare le loro sofferenze. Razzismo, colonialismo, schiavismo: attraverso questi concetti, si farà il processo ai popoli occidentali che avrebbero come unica vocazione l'impegnarsi in una lunga espiazione senza redenzione. Penetriamo qui nel cuore dell'immaginario razzialista. Da Abraham Lincoln a Churchill, passando da tutti gli altri che non godono di buona reputazione, ovunque l'uomo bianco sarebbe lo stesso. A questi uomini, non si rimprovera più solamente quello che hanno fatto, ma anche ciò che sono stati: uomini che incarnano per il colore della loro pelle e per il loro sesso tutto il male di cui si sarebbe resa colpevole la civiltà occidentale. Pertanto, non è più a partire dal loro contesto storico che bisogna analizzare la storia dei paesi occidentali, ma attraverso una lente intimamente segnata dai traumatismi della storia americana. L'epurazione è iniziata e non si fermerà. E' arrivata l'ora della giustizia razziale, di partire alla caccia della "supremazia bianca", che non designerebbe solo i movimenti razzisti, ma la struttura stessa delle società occidentali. È questo il nuovo canovaccio a partire dal quale scrivere la storia. Nessuna esagerazione in questa analisi, ma una constatazione: Robin DiAngelo, probabilmente la teorica più importante dell'antirazzismo razzialista negli Stati Uniti, scrive che il bianco, per il semplice fatto di essere bianco, sarebbe razzista, perché sarebbe stato socializzato in un ambiente che lo ha condannato a diventare tale. I due termini sarebbero persino interscambiabili, il bianco è necessariamente razzista, il razzista è necessariamente bianco. La sua colpa sarebbe ontologica. Le nostre società si mostrerebbero fedeli agli ideali che professano soltanto se si "sbiancassero". La pasionaria della sinistra "woke" americana, Alexandria Ocasio Cortez, in occasione dell'abbattimento di una serie di statue nell'estate del 2020, affermava che al di là dei meriti degli uni e degli altri, c'erano molto semplicemente troppi uomini bianchi nello statuario del suo paese. La "cancel culture" non è solo il sintomo di un fanatismo terrificante, ma anche l'espressione di una nevrosi identitaria che si è impadronita di società dove il risentimento vittimista detta legge. La lista delle figure di cui si chiederà la messa al bando si estenderà sempre di più.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante