IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Dal 15 al 20 febbraio 2021
Emergenza Covid, Shahar: come combatte Israele
Arnon Shahar
Partiamo dalla fine. Come si spiega il successo israeliano nell'emergenza Covid? La risposta non può essere che filosofico-politica: "E' che noi siamo abituati a vivere in uno stato di crisi e di emergenza permanenti". A parlare è Arnon Shahar, capo della task force che guida uno dei nemici più insidiosi e invisibili che abbia dovuto affrontare lo Stato ebraico (e dire che ne ha conosciuti molti) ma anche il mondo intero. Shahar racconta un metodo e descrive una mentalità, precisa una pratica di politica sanitaria ma rivela anche il sentimento che anima il suo popolo. La combinazione di questi elementi ha dato i suoi frutti, li sta ancora dando: in un paio di mesi metà degli israeliani si sono vaccinati. Ospite del webinar di Ricostruire - il think tank promosso da Stefano Parisi che raduna manager, intellettuali, amministratori locali, politici, accademici, imprenditori e cittadini di varia estrazione e tendenza impegnati nel superamento dell'emergenza e nel rilancio dell'economia italiana - Shahar spiega ciò che è necessario fare e quali sono gli errori madornali da evitare. Partiamo da questi ultimi: prima di tutto niente uso di supporti cartacei ("i documenti di carta creano confusione e duplicazioni e per di più sono facilmente falsificabili"); in secondo luogo, è sconsigliato impegnare il personale medico nei centri di vaccinazione ("i medici devono curare i malati, per fare un'iniezione è sufficiente il personale infermieristico e paramedico"). Vagli a spiegare che da noi vige una legge che sembra sia stata scritta nella pietra e che prevede come obbligatoria la presenza di un medico in ogni presidio sanitario.
"Anche Israele, come tutti i paesi del mondo, è stato colto alla sprovvista dalla pandemia ma almeno noi abbiamo imparato presto tanto che siamo stati per esempio tra i primi a chiudere gli aeroporti", ha esordito Dror Eydar, ambasciatore in Italia. "Bibi ha pagato caro i vaccini? Oggi nessuno può negare che ne valeva la pena". Sollecitato da Giancarlo Loquenzi, Shahar ha tracciato le linee della campagna israeliana per combattere il Coronavirus: "In Israele si è fatto un gran discutere e polemizzare sulle quattro casse mutue che reggono la struttura della sanità ma che oggi si sono rivelate un gran vantaggio. La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di allontanarci dagli ospedali tanto che il 98% dei malati non ci mettono piede e vengono curati o a casa o in altre strutture come per esempio gli alberghi". Un hub governativo invia a 400 postazioni distribuite su tutto il territorio le dosi previste di vaccino a un ritmo di 250mila al giorno. Non tutto è andato liscio. "Abbiamo risentito del forte pressing della stampa", ammette Shahar, "e abbiamo pagato - e stiamo ancora pagando - il prezzo dovuto alla stanchezza degli operatori che lavorano incessantemente ogni giorno". Altro elemento su chi Shahar insiste è la digitalizzazione: "In tutta la campagna di vaccinazione non si è visto né si vedrà mai un pezzo di carta per il semplice motivo che i pezzi di carta non servono a niente! Sono facilissimi da falsificare e rendono inutilmente complicata la centralizzazione dei dati che è fondamentale per l'efficacia di tutta la campagna evitando duplicazioni, contraddizioni, dimenticanze".
A chi ha sollevato obiezioni sulla possibilità che le ditte farmaceutiche facciano un uso improprio dei dati, Shahar è chiaro: "Sono dati che sono utili per la popolazione mondiale. In nessuno di essi viene rivelato il nome della persona vaccinata mentre averli a disposizione permette di monitorare il sistema, prevederne le tendenze, garantire anche nel prossimo futuro una strategia efficace anche per gli altri paesi. Negli ultimi anni non si è fatto che criticare la globalizzazione. Beh, almeno in questo caso, possiamo considerarla un vantaggio". Uno degli elementi più interessanti del sistema costruito a tutta velocità è la versatilità: "Abbiamo anche previsto e messo in atto la vaccinazione a domicilio radunando in una abitazione fino a sei persone che vengono raggiunte e avvisate proprio grazie alle nuove tecnologie". Vaccini a pagamento? Shahar non ha dubbi: "La vaccinazione non è un privilegio e noi abbiamo scoraggiato e scoraggiamo la possibilità che qualche furbo, magari avvalendosi della propria celebrità o della propria posizione di potere, provi a saltare la fila". Che non si tratti di una case-history basata solo su buoni propositi è conclamato. I problemi a cui Israele deve far fronte sono tanti, alcuni dei quali specifici di quella realtà come nel caso delle comunità Hassidim, altri condivisi con il resto del globo, come nel caso delle varianti che ci stanno facendo ammattire. Shahar insiste: "Il vaccino funziona, accidenti se funziona e la variante inglese ci risulta essere coperta da quello di Pfizer. Abbiamo anche deciso che se c'è qualcuno che non viene da noi, siamo noi ad andare da lui tanto che stiamo attivando centri di vaccinazione nelle grandi aziende per i dipendenti". E' previsto un patentino per i vaccinati? "Certo, e anche quello sarà telematico, sul cellulare e collegato al sistema sanitario centrale per impedire imbrogli o fraintendimenti".
Daniele Scalise