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La Stampa Rassegna Stampa
30.09.2002 Gli appoggi internazionali di Hamas e Jihad
Fiamma Nirenstein, La Stampa: documenti riservati provano che tutti i gruppi che attaccavano Israele hanno goduto di appoggi internazionali.

Testata: La Stampa
Data: 30 settembre 2002
Pagina: 7
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «A scuola di terrorismo, Iran, Siria e i palestinesi»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa di lunedì 30 settembre:
"La pace fra israeliani e palestinesi ha incontrato difficoltà molto più grandi dei loro confini: un grande «no» risuona lungo il fronte duro, quello iraniano-siriano-libanese degli Hezbollah. Infatti la rete terroristica che ha agito contro Israele durante questa guerra lunga due anni non chiude le sue maglie nella West Bank e a Gaza: essa, secondo un'alta fonte di security israeliana, è ben più vasta e imponente dal punto di vista geografico, politico, economico. Un ponderoso documento venuto in possesso esclusivo de «La Stampa» e del programma Sixty Minutes della CBS - basato sugli interrogatori di membri di tutte le organizzazioni palestinesi (Fatah, Tanzim, Brigate di Al Aqsa, Hamas, Jihad islamica, Fronte di Liberazione) catturati durante l'operazione Scudo di Difesa e sugli interrogatori dell'equipaggio della Karin A e di altri vascelli carichi d'armi dirette verso le coste dell'Autorità Palestinese - dà concreta evidenza dell'intimo rapporto tra le azioni terroriste di questi ultimi due anni compiute in Israele e nei Territori e il ruolo della Siria e dell'Iran. Dalle testimonianze si individuano nessi svariati: soldi, armi, supporto ideologico, training sul loro territorio. Hamas e la Jihad risultano le organizzazioni palestinesi più attive nel rapporto internazionale. Lo sfondo: mantenere un asse radicale in Medio Oriente, tenere Israele sotto sferza, mantenere aperta l'ipotesi della sua sparizione, rafforzare (secondo il desiderio dell'Iran, legato alla Siria tramite gli Hezbollah in Libano) il partito islamista. Queste strategie implicano la distruzione di ogni processo di pace attraverso la libanizzazione della zona. Il programma, oltre che da una quantità di interrogatori inediti, è anche testimoniato da numerosi documenti pubblici, statement, discorsi, articoli, che non fanno mistero del supporto al terrorismo descritto come lotta di liberazione. Ci limitiamo a due esempi, tra i molti collezionati dalle nostre fonti. «La Siria - dice per esempio Radio Damasco - nel marzo 2002, proprio quando gli attentati erano al picco, si è trasformata in un rifugio e un deposito di armi per i palestinesi rivoluzionari». «L'unica risoluzione della crisi - dichiara per parte sua il leader iraniano Ali Khamenei - è l'eliminazione della radice, il regime sionista imposto sulla regione». E, dunque, secondo i documenti che ci sono stati presentati, non si tratta di propaganda: l'impegno a fianco della parte più estrema della lotta palestinese è sostanziato dal passaggio di armi diretto e indiretto (tramite gli Hezbollah, o consegnate direttamente ai palestinesi), dal passaggio di ingenti somme di denaro tramite banche locali, dal training diretto di terroristi, persino con raddoppi per aggiornamento, da un aiuto strategico che talora si configura addirittura come indicazione diretta di «procedere» o «fermarsi» negli attentati. Jibril Rajub (ex capo della polizia palestinese) racconta - o forse, nelle sue intenzioni, denuncia - in un documento del 31 ottobre 2001 diretto ad Arafat che incontri intensivi fra Hamas, Jihad e Hezbollah hanno luogo a Damasco «per incrementare attività congiunte con l'aiuto di denaro iraniano», dopo che «un messaggio iraniano è stato passato ai leader delle organizzazioni, secondo il quale non si deve permettere il calmarsi della situazione al presente. Si richiede quindi di compiere attacchi suicidi contro obiettivi israeliani a Gaza, nei Territori e in Israele». Alcuni militanti trovano supporto terroristico diretto in Siria, presso le loro organizzazioni ospitate a Damasco. Ali Saffuri di Jenin, 40 anni, e Thabet Azmi Suleiman Mardawi di Arraba, vicino a Jenin, arrestati nel corso dell´operazione «Scudo di difesa» e coinvolti nell´attacco terrorista della stazione centrale di Haifa e in altri sei attacchi suicidi (alcuni riusciti, altri falliti), riferiscono di contatti costanti con il segretario generale della Jihad Islamica Palestinese, che risiede a Damasco, con cui hanno discusso abitudinariamente «la politica degli attacchi terroristici e delle rivendicazioni, le richieste di denaro, istruzioni e produzione di armi». I due raccontano che dopo l'11 settembre 2001 ricevettero istruzioni di non compiere attacchi per un certo periodo; e dopo l'assassinio del leader delle Brigate di Al Aqsa, Raed Karmi, arrivò invece l´ordine di riprendere gli attacchi dentro Israele. L'ipotesi dell'intelligence israeliana è che, facendo leva sulle necessità logistiche delle organizzazioni palestinesi basate in Siria e in Libano, la Siria abbia parte nelle decisioni. Anche Muhammad Mahmoud Isma'il Barawish, comandante dell'area di Hevron, ha raccontato di aver ricevuto la richiesta di diventare il comandante della Jihad Islamica della sua zona dall'emissario dell'organizzazione a Damasco. Per reclutare uomini e «riprendere attacchi di qualità» Barawish ha detto di aver ricevuto 7000 dollari e, successivamente, cinque o sei trasferimenti di denaro per un totale di più di 100 mila dollari. Dopo ogni attacco, Barawish chiamava al telefono i suoi contatti a Damasco. Alcuni terroristi hanno raccontato nell'istruttoria di aver ricevuto l'indicazione di perpetrare attacchi catastrofici: due membri del Fronte Popolare di Liberazione, Rami Fuzi Sa'id Katuni e Samah Mahmoud Salim Jibril - reclutati a Nablus e istruiti in Siria - prima di ripartire hanno ricevuto ordini precisi per attacchi suicidi, incluso uno in grande (dopo le Twin Towers negli Usa) ai grattacieli Azrieli a Tel Aviv. I due avrebbero conferito anche con ufficiali locali dei Servizi. Di là furono mandati nel campo di preparazione «17 settembre», a 45 minuti da Damasco. Lì hanno imparato (riportiamo ciò che Israele presenta come loro deposizioni) a preparare cariche esplosive, detonatori, esplosivi a scoppio ritardato, e hanno studiato la produzione e l'operatività delle cinture esplosive. Nell'ufficio della loro organizzazione hanno pianificato l'attacco di terrorismo catastrofico alle Torri Azrieli (non riuscito) con un'auto bomba. Hanno ricevuto la promessa di essere muniti di armi e di esplosivi, di essere aiutati nella logistica dell'attacco da arabi israeliani e attivisti di Nablus. Molti attivisti vengono reclutati nelle università in Siria, Yemen e Sudan, poi mandati per il training in Siria e in Libano, dove imparano anche tecniche di rapimento. Da questi interrogatori, secondo gli israeliani, si è potuto risalire anche ad alcune cellule coinvolte negli attacchi di Natanya a Pasqua, che fecero più di 30 morti e 100 feriti. Il denaro spesso è di origine iraniana, il più ricco fra i Paesi coinvolti nella vicenda: l'estremismo siriano e la bellicosità degli Hezbollah potrebbero poco o niente senza il coinvolgimento dell´Iran, che ha un carattere ideologico ed economico, oltre che di fornitura diretta e indiretta di armi. Punta sulle organizzazioni più religiose come Hamas e la Jihad Islamica, ma include anche Fatah - una novità, quest'ultima, che compare solo dopo i primi mesi di Intifada, quando l'Iran smette di accusare il rais di essere amico degli israeliani e degli americani. Utilizza canali diretti di trasferimento di armi (come nel caso della nave Karin A), passa attraverso organizzazioni come gli Hezbollah oppure sposta grandi fondi. Un rapporto della sicurezza palestinese del 10 dicembre 2000, poco dopo l'inizio dell'Intifada, indica (e di nuovo, probabilmente, denuncia, dato che i fondi vanno direttamente nelle mani dei gruppi antagonisti al Fatah di Arafat) che Az Al Din Al Qassam (il braccio terrorista di Hamas) ha ricevuto 400 mila dollari nei primi tre mesi di Intifada, e che gli iraniani avrebbero trasferito un assegno da 700 mila dollari alle fazioni di opposizione per incoraggiare gli attacchi contro obiettivi israeliani. Secondo i documenti forniti, in Siria ci sarebbero numerosi campi di addestramento. Prendiamo le storie di Muhammad Abd Al-Malk Abd Al-Qaed Al Hur di Surif, un attivista di Hamas, oppure di Nasser Mahmud Ahmed Aweis, un membro delle Brigate dei martiri di Al Aqsa del Fatah. I due uomini sono stati arrestati e interrogati durante l'Operazione Muro di Difesa di Fatah. Il primo, nel maggio del 2001, dice a un amico di voler entrare nel braccio militare di Hamas per compiere un attacco suicida. Ad agosto l´amico lo manda in Siria, dove con altre tre reclute viene avviato a un campo di preparazione del Fronte Popolare di Liberazione Palestinese. Qui gli insegnano a usare pistole e coltelli, ad attivare vari esplosivi, a costruire circuiti elettrici, a camuffarsi. Completato il training, Muhammad passa in Arabia Saudita, quindi in Siria e in Giordania, dove incontra il suo capo operativo, un attivista di Hamas. Un suo amico, Majdi Abd Al-Azim Sadeq Tabesh, ha compiuto addirittura uno stage in due parti, con esercitazioni pratiche nelle strade della capitale siriana. Oggetto delle lezioni: esplosivi, bombe a scoppio ritardato, l'attivazione di bombe tramite telefonini e produzione di congegni improvvisati. Aweis, del campo profughi di Balata, vicino a Nablus, ha già nel suo curriculum dozzine di israeliani uccisi(nella sala dei banchetti a Hedera (17 gennaio 2002), a Gerusalemme (22 gennaio 2002), a Natanya (9 marzo 2002). Nel giugno 2001 prende contato con Munir Al Maqda, un famoso organizzatore-terrorista palestinese di stanza in Libano. Ogni tre o quattro giorni i due si sentono per telefono o per Internet. Nasser riporta ogni volta dettagli di attacchi terroristi. Al Maqda gli chiede, secondo Aweis, di compiere attacchi simultanei. Ogni una o due settimane gli manda 7000 dollari, che vengono utilizzati per il gruppo terrorista di Nasser. Aweis dice di aver ricevuto in tutto fra i 40 e i 50 mila dollari. Al Maqda propose anche di mandare direttamente un terrorista suicida dal Libano, ma Aweis lo ritenne politicamente improduttivo. L'aiuto dell'Iran, meno capillare, risulta però dal documento strategico per l'escalation del conflitto. Omar Alawi, il comandante della Karin A (la nave intercettata mentre si dirigeva verso le coste palestinesi con un carico di armi a lunga gittata, per creare un modello libanese nell'Autorità Palestinese), inizialmente avrebbe dovuto essere in Iran nel luglio 2001 per organizzare la spedizione. Poi però fu deciso che fossero gli Hezbollah a occuparsi della prima fase: la nave arrivò sulle spiagge iraniane, all'Isola di Kish, il 9 dicembre 2001, e i contenitori furono caricati mentre un iraniano con una telecamera filmava il carico. Salam Mahmud Sankari, il capitano, ha ammesso di essere stato istruito in Libano dagli Hezbollah sulla gestione del carico tenuto in contenitori subacquei. La Karin A conteneva sistemi di armamento «force multiplier», inclusi proiettili e rampe da 107 e 122 millimetri, con 20 Km di gittata. Se fossero arrivati sul territorio palestinese, avrebbero cambiato le dinamiche dell'Intifada, permettendo di sparare a distanza nelle città israeliane, come fanno gli Hezbollah al Nord. Le armi, secondo gli israeliani, costarono due milioni di dollari: soldi che Hezbollah passarono ai palestinesi, dopo averli, secondo gli israeliani, ricevuti da una fonte iraniana. Altri quattro tentativi di introdurre armi su navi, tramite gli Hezbollah e il Fronte Popolare di Liberazione, furono bloccati. Fra questi, il più famoso è il caso Santorini: i marinai raccontarono che la nave, di origine siriana, era stata ribattezzata come nave libanese, e i segni dell'origine cancellati da ogni sedile. Jihad Jibril, il figlio, ora scomparso, del leader del Fronte, era incaricato dei rapporti con i palestinesi dentro l'Autorità Palestinese. Questa è solo una parte dei contenuti del rapporto: si evince che, anche se ci sono stati passaggi di armi e di aiuto alle organizzazioni dei Martiri di Al Aqsa - parte del Fatah - gli aiuti sono andati per lo più ai gruppi estremisti. In un rapporto della polizia trovato fra le carte - quello del 10 dicembre 2000 firmato dal Dipartimento Generale di polizia e dal distretto di Betlemme - si dice che i leader di Hamas in Libano, secondo una decisione dei «saggi religiosi musulmani», «riceveranno direttamente i fondi popolari raccolti», e l´Autorità palestinese non ne vedrà un centesimo. Un'altra curiosità: i prigionieri raccontano di centinaia di migliaia di dollari annunciati, che sono invece rimasti per strada, scomparsi."
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