Iraq, le milizie sciite agli ordini dell'Iran all'attacco di Baghdad Analisi di Pietro Del Re
Testata: La Repubblica Data: 18 febbraio 2021 Pagina: 21 Autore: Pietro Del Re Titolo: «Violenza e segreti, così le milizie sciite minacciano Bagdad»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/02/2021, a pag. 21, con il titolo "Violenza e segreti, così le milizie sciite minacciano Bagdad", la cronaca di Pietro Del Re.
Pietro Del Re
È una guerra senza esclusione di colpi, quella che sta faticosamente combattendo il primo ministro iracheno Mustafa Al Kadhimi contro il potere e l’impunità delle milizie sciite nella valle del Tigri e dell’Eufrate, gruppi paramilitari quasi tutti al soldo di Teheran ben più ricchi e meglio armati dell’esercito federale. L’ultima battaglia l’ha vinta Al Kadhimi, 54 anni, ex giornalista a lungo in esilio perché perseguitato dal regime di Saddam Hussein, in carica dallo scorso maggio. «Usando come alibi l’attentato del 21 gennaio scorso, quando due kamikaze si sono fatti esplodere nella centralissima piazza Tayaran di Bagdad, uccidendo trentadue civili e ferendone altre centodieci, al premier è riuscito un colpo da maestro», spiega Yaser Abbas, politologo e uno dei leader delle rivolta studentesca del 2019. «Il giorno dopo l’attacco, accusando i suoi vertici di “lavorare per conto d’interessi stranieri”, ha decapito l’Iraqi Falcons Intelligence Cell, unità dei servizi segreti dell’antiterrorismo, con quasi 2mila agenti formati dalla Cia e dal MI6 britannico, che conduce operazioni sotto copertura per combattere gruppi ostili come Al Qaeda e l’Isis ». Ora, questa rispettata e temutissima agenzia di spionaggio, creata nel 2009, quando l’Iraq era quotidianamente funestato da rapimenti e attentati, non ha mai indagato sugli innumerevoli crimini compiuti dalle milizie sciite, soprattutto quelle foraggiate dall’iraniana Forza Quds, componente strategica del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. «Prendendone il controllo, Al Kadhimi ha finalmente accesso ai dati raccolti nell’ultimo decennio su quelle milizie pro-iraniane che fanno di tutto per scacciare gli americani dall’Iraq e rovesciare il suo governo, perché giudicato filo-statunitense, come dimostra l’attacco di lunedì sera contro la base militare delle forze della Coalizione a Erbil», dice ancora Abbas. «Par far cadere le teste di personaggi scomodi o addirittura pericolosi, gli basterà incriminarli per gli omicidi di attivisti, studenti e politici compiuti dalle milizie durante le proteste finite un anno fa, tutti reati sicuramente registrati e condonati dalla Falcon Cell».
Tra le numerose milizie sciite, si contano l’Organizzazione Badr, l’Esercito del Mahdi del leader Moqtada Al-Sadr che con milioni di sostenitori e 154 deputati al Parlamento di Bagdad è prima forza politica sciita del Paese, ma anche le Brigate di Hezbollah e la Lega dei Giusti, che si vanta di aver messo a segno seimila attacchi contro la presenza americana, tanto che Washington l’ha recentemente iscritta nella lista nera del terrorismo. Hanno tutte giurato vendetta all’America per il razzo che su ordine di Donald Trump il 3 gennaio 2020 ha dilaniato all’aeroporto di Bagdad il generale iraniano Qasem Soleimani assieme all’amatissimo comandante della Brigata Hezbollah, Abou Mahdi al-Mohandes. «Verrà il momento per la nostra rappresaglia contro Washington, e sarà spaventosa», dice Abu Hamad Salem, responsabile militare di questa milizia, che raggiungiamo sul suo cellulare a Bagdad. «Ol tre alle brigate note a tutti ce ne sono molte altre che operano in clandestinità e che non rispondono agli ordini di nessuno. È di quelle che gli americani dovrebbero preoccuparsi perché sono composte da teste calde, pronte a tutto pur di vendicare i nostri due martiri, a cominciare da Abou Mahdi al-Mohandes che era un padre per tutti gli iracheni. Presto riusciremo a punire i responsabili di questo odioso crimine ». Quando chiediamo ad Abu Hamad Salem che forma avrà la rivalsa, e soprattutto come contano d’intervenire contro gli Stati Uniti che sono adesso governati da un altro presidente, lui risponde soltanto che tutto è già stato organizzato. «Siamo impazienti di prendere la nostra rivincita, e agiremo con determinazione, con o senza l’accordo del governo iracheno». I tre missili sparati lunedì contro la base di Erbil segnano la rottura di un cessate il fuoco che le milizie avevano deciso di rispettare dall’ottobre 2020, quando Washington minacciò di evacuare la propria ambasciata, il che sarebbe stato il preludio al ripristino delle sanzioni contro Bagdad. Molti avevano promesso che avrebbero osservato la tregua fino alla fine dell’amministrazione Trump, in attesa che il suo successore esponesse la nuova politica americana in Iraq. «Sebbene la maggior parte delle milizie sciite siano apertamente votate alla causa iraniana, non tutte accettano ciecamente gli ordini impartiti da Teheran », spiega Mazen Fazwi, ex deputato del partito comunista iracheno. «Con il possibile ritorno di Washington nell’accordo sul nucleare, il regime iraniano cercherà di attenuare le tensioni con gli Stati Uniti. Il che renderà ancora più anti-americana la maggior parte dei miliziani sciiti».
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