Washington-Gerusalemme: la telefonata che non arriva
Analisi di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Joe Biden
Sulla scrivania del Primo Ministro israeliano il telefono resta muto. In carica dal 20 gennaio, Joe Biden, il nuovo Presidente americano non sembra avere fretta di contattare il suo vecchio amico Binyamin Netanyahu. Si conoscono da molto tempo. Biden, allora vice presidente, non dichiarò durante un dibattito nel 2012 “Ora, riguardo a Bibi, lui è mio amico da 39 anni”-? Solo che da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Potomac. Un leggero gelo sembra essersi stabilito tra queste vecchie conoscenze. Un Presidente non può permettersi di tenere conto delle vecchie amicizie; tanto più che rimprovera a quello che non molto tempo fa chiamava “Bibi”, di aver sostenuto apertamente il suo predecessore repubblicano Donald Trump.
Joe Biden con Benjamin Netanyahu
Tuttavia, dopo quasi mezzo secolo di presenza sulla scena politica americana, dovrebbe pur sapere come trovare il giusto equilibrio. Solamente deve tener conto dell’ala sinistra, ma soprattutto l'estrema sinistra, del suo partito. Ci sono uomini, e soprattutto donne, per i quali il nome stesso di Netanyahu è un anatema. Ci sono persone che sostengono apertamente il boicottaggio di Israele e altre che vorrebbero vedere volentieri lo Stato ebraico scomparire per far posto a una Palestina che si estende dal fiume Giordano al Mediterraneo. E poi c'è l'Iran. Un argomento su cui lui vorrebbe arrivare a una soluzione negoziata, per non dire a un compromesso, mentre il premier israeliano si mostra intransigente. Quindi esita, rivendicando preoccupazioni più urgenti. Nel frattempo sta prendendo pericolose mezze misure. Condanna l'intervento dell'Arabia Saudita contro gli Houthi nello Yemen, mentre ribadisce il suo fermo sostegno a Riad. Lungi dall'essergli grati, gli Houthi - armati, finanziati e addestrati dall'Iran - stanno intensificando i loro attacchi contro il regno. Sospende sine die la vendita di F35 e di altre attrezzature avanzate destinate ad aiutare l'Arabia a difendersi dall'Iran, dando una battuta d’arresto agli Accordi di Abramo, uno dei maggiori successi dell'amministrazione Trump.
Un messaggio molto poco compreso dai suoi fedeli alleati del Golfo ma accolto molto bene dagli ayatollah che continuano la loro corsa alle armi nucleari moltiplicando le dichiarazioni bellicose. Teheran è indubbiamente deliziata da quello che assomiglia molto a un raffreddamento dei legami tra il piccolo e il grande Satana. Ci sono forse considerazioni meno confessabili. Telefonare rappresenta un doppio pericolo. Il primo, suscitare l'ira dell’ala sinistra del suo partito, mentre sta cercando di affermare la propria autorità e di posizionare i suoi uomini. Il secondo, conosce troppo bene “il suo amico Bibi”, senza dubbio uno dei politici più affermati della sua generazione. Uno che non mancherebbe di sbandierare il tanto atteso colloquio con il nuovo inquilino della Casa Bianca per trarne profitto nel bel mezzo della propria campagna elettorale. Il Presidente pertanto non si chiede in che cosa l'attesa cambierebbe questa equazione.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".