Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/02/2021, a pag.27, con il titolo "I network della Fratellanza e l’ideologia islamista che preoccupa l’Europa" l'analisi di Lorenzo Vidino
Lorenzo Vidino
Il simbolo della Fratellanza musulmana
Separatismo, ecosistema islamista, frero-salafismo. Alieni al pubblico italiani, da mesi questi termini sono al centro di un fitto dibattito sulla minaccia dell’islam politico nella maggior parte dei paesi del centro-nord Europa. Se infatti fino a un paio di anni fa la maggior preoccupazione era il terrorismo jihadista, l’attenzione dei governi europei si è progressivamente focalizzata su forme non violente—ma secondo molti non meno insidiose — dell’ideologia islamista. In Francia, Macron ha identificato nel separatismo islamista un nemico mortale della République. Moschee e scuole coraniche, Ngo e organizzazioni pseudo-caritatevoli che, pur non essendo coinvolte in azioni terroriste, creano inevitabilmente l’humus nel quale si radicalizzano i terroristi. E anche quando ciò non avviene, diffondono tra la vasta popolazione musulmana francese posizioni omofobe, misogine e antisemite e un generale rifiuto della società francese. Mentre il parlamento francese decide in queste settimane su un ampio pacchetto di misure per combattere il fenomeno, in Austria il dibattito sul tema è iniziato da anni ed esistono leggi che vietano il finanziamento estero di moschee e sono stati chiusi enti che diffondevano messaggi estremisti. Le preoccupazioni per gli effetti a lungo termine dell’operato di network islamisti sulla coesione sociale sono condivise da governi di centro-destra (Olanda) e centro-sinistra (Danimarca), una novità importante. E sono supportate dalle valutazioni delle intelligence di mezza Europa. In Germania i servizi dicono apertamente che «nel lungo termine, la minaccia derivata dall’islamismo legalista (cioè quella forma che non si manifesta attraverso attività illecite o violente) è più grave di quella del jihadismo ». «Il jihadismo è una minaccia securitaria sul breve», condividono i servizi belgi, «l’islamismo invece sta operando su un progetto di ingegneria sociale che nel lungo può far traballare le fondamenta della società multiculturale belga». Come una democrazia possa contrastare gruppi che, pur avendo scopi problematici, agiscono perlopiù nei limiti della legge è il grande dilemma dei governi europei, ma pochi dubbi esistono sulla necessità di arginare il fenomeno. Nel mirino sono in particolare le varie organizzazioni emanazione della Fratellanza Musulmana.
Al contrario dei network salafiti, i Fratelli Musulmani d’Occidente pubblicamente parlano di integrazione, lodano la democrazia e si propongono come rappresentanti delle comunità islamiche — posizione che, grazie al proprio attivismo, ad ampli sovvenzionamenti da paesi del Golfo, e spesso all’ingenuità delle classi dirigenti europee, si sono spesso guadagnati. Ma in tutta Europa si sta capendo che questa piccola élite islamista non solo non rappresenta l’islam europeo, ma ha obiettivi e posizioni molto meno moderate di quanto professato. Un mondo oscuro quello della Fratellanza in Europa, anche perché nessuno tra gli attivisti e le organizzazioni che lo compongono ammette di farne parte. Uno dei pochi modi per capirlo è quello di ascoltare chi vi era dentro e questo ho cercato di fare nel mio ultimo libro ( Islamisti d’Occidente), basato sulle interviste con una dozzina di ex membri della Fratellanza in Europa e America. Tra loro Ahmed Akkari, Fratello danese che nel 2006 aveva orchestrato le proteste contro le vignette del profeta Maometto e che oggi, dopo aver lasciato la Fratellanza, racconta come «noi Fratelli avevamo capito che agli Occidentali bastano tre cose per farci fare quello che vogliamo: soldi, voti, e che non siamo come Bin Laden ». È questa la strategia: fingere moderazione e fornire quid pro quo per poter estendere la propria influenza. In netto contrasto col resto d’Europa, in Italia non si parla di islamismo, sebbene anche da noi operino network islamisti che fanno amplio proselitismo e che spesso sono visti dalle nostre autorità come interlocutori legittimi e moderati. Non a caso, si è formato a livello europeo una coalizione di paesi impegnati in una riflessione seria sul tema e il nostro paese ne è fuori per mancanza di interesse. Vero è che, per adesso, non soffriamo la problematica con la stessa intensità dei paesi d’Oltralpe, ma ignorare la questione pare poco saggio.
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