Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 14/02/2021, a pag. 22, con il titolo "Emdin, l'amore e le domande sull'ebraismo", la recensione di Lorenzo Fazzini.
La copertina (Astoria ed.)
Dialoghi serrati, narrazione a flash back intrecciata a eventi "in presa diretta", lo sfondo politico e le domande sull'appartenenza religiosa. Il nuovo romanzo di Annick Emdin, giovanissima autrice pisana (classe 1991), già affermatasi con testi narrativi, teatrali e sceneggiature (il suo primo romanzo, lividi, uscì per Anordest quando aveva solo 21 anni) è uno spaccato del mondo israeliano, in particolare di quello ortodosso dei charedi di Mea Shearim, il quartiere di Gerusalemme dove si sono insediati questi ultraortodossi fedeli alla Torah. lo sono del mio amato, edito da Astoria (pagine 240, euro 17) è un testo in cui una storia d'amore s'interseca con le domande sulla religione ebraica oggi: appartenenza o fluidità? O una terza via?
Grazie a una superba capacità di scrivere dialoghi, Emdin costruisce un romanzo famigliare intorno alla figura di Chaim Kogan, il nonno di una famiglia charedi che - il lettore lo intuisce pian piano che la narrazione procede - è sopravvissuto sia alle stragi ebraiche nella natia Ucraina sia alla prigionia di Auschwitz. Arrivato in Palestina con l'ondata di sopravvissuti al nazismo, Chaim sposa la bella Noemi dalla quale non riesce però ad avere un figlio. Fino a quando l'Altissimo gli concede Aaron, l'unico discendente, mentre in seguito Noemi passa a miglior vita. Aaron sceglie di restare charedi e sposa Shanah, donna emancipata che decide, per amore del marito, di entrare nella comunità ultraortodossa. Un gruppo religioso che, per esempio, non riconosce lo Stato di Israele né tanto meno manda i suoi membri tra le fila dell'esercito nazionale. Il figlio di Aaron, Levi, fa invece il percorso inverso: sopravvissuto miracolosamente a un attentato suicida su un autobus grazie all'avvertimento di una soldatesca, l'avvenente Yael, ragazza "laica" e con tutta una sua visione "panteistica" di Dio, Levi matura, nella scelta di unirsi sentimentalmente con Yael, il passo decisivo per uscire dalla comunità charedi.
Annick Emdin
Fino a diventare parte di Tshal, l'esercito israeliano. E proprio qui si consuma uno dei momenti nevralgici del romanzo, nei quali Emdin dà prova di una notevole capacità drammaturgica: sembra quasi di vederla, cinematograficamente, quella pattuglia di soldati che entra in una baracca di palestinesi alla ricerca di uno dei mandanti dell'attentato terroristico sull'autobus dal quale Levi era stato risparmiato. Lì il giovane ex-charedi si trova faccia a faccia con un commilitone che vuole colpire dei civili, in nome di una vendetta personale: Levi è costretto a sparare contro un suo compagno d'armi. E per questo finisce in prigione. Sarà il vecchio Chaim Kogan a brogliare la matassa con un intervento nelle "alte sfere" dell'esercito e a suggellare l'happy end, con il matrimonio tra Yael e Levi (prossimi genitori) ai quali l'anziano ortodosso offre la sua benedizione in nome di una libertà non scontata e pagata a caro prezzo. Al di là della strutturazione arguta e avvincente del romanzo, Emdin fa balenare alcune grandi questioni sull'identità e l'appartenenza, domande che paiono rimandare ai grandi romanzi di Chaim Potok. Sembra suggerire Edmin, che l'appartenenza non appaga automaticamente il desiderio e la sete interiore di ogni io inquieto.
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