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La Repubblica Rassegna Stampa
13.02.2021 Chagall a Rovigo: 'Anche la mia Russia mi amerà'
Commento di Lara Crinò

Testata: La Repubblica
Data: 13 febbraio 2021
Pagina: 26
Autore: Lara Crinò
Titolo: «Marc Chagall, tutti i colori di un esilio»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA - Robinson di oggi, 13/02/2021, a pag.26 con il titolo "Marc Chagall, tutti i colori di un esilio" il commento di Lara Crinò.

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Lara Crinò 

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Alcuni critici e curatori considerano Chagall un sognatore, un pittore decorativo; non lo amano perché non riescono a classificarlo, né a legarlo ai grandi movimenti artistici del ventesimo secolo, ed è indubbiamente vero che lui ha seguito un suo cammino. Ma proprio per questo nel XXI secolo le sue opere continuano a offrire risposte alle grandi domande: il tema delle migrazioni, la realtà dell'esclusione, il rapporto con le radici e il paesaggio natale, l'indagine sulla natura umana. Se mio nonno è stato un sognatore, è stato un sognatore molto consapevole». Insieme alla curatrice Claudia Beltramo Ceppi Zevi, che già si era occupata della retrospettiva al Palazzo Reale di Milano nel 2014, Meret Meyer ha collaborato alla realizzazione di Anche la mia Russia mi amerà. Dopo l'apertura autunnale e lo stop dovuto alla pandemia, la mostra dedicata al pittore presso il Palazzo Roverella di Rovigo è ora prorogata fino al 14 marzo, ed è proprio in queste parole della nipote ed erede di Chagall che si pub rintracciare una delle chiavi di questa selezione chagalliana. Nonostante la mole di opere - oltre un centinaio, arrivate dal musei russi, dalla Thyssen Bornemisza di Madrid ma anche da collezioni private, in primis quella della figlia Ida Meyer, oggi rimasta alla famiglia - non si tratta infatti di un percorso cronologico, ma di un viaggio iconografico e tematico. Anzi, di un'indagine sull'identità multipla dell'artista, sul suo rapporto con l'ebraismo e la cultura popolare russa e sul suo talento nell'assorbire - lui, formatosi all'interno di una tradizione quasi aniconica - l'influenza dei movimenti artistici della modernità per piegarli al racconto del suo destino. In tutte le sue peregrinazioni geografiche ed esistenziali, il Moishe Segal nato in una pia e povera famiglia di chassidim di Vitebsk, il Mark Zacharoviè gagal che "russifica" il nome ebraico per frequentare la scuola di Léon Bakst a San Pietroburgo, il Marc Chagall che lascia la Russia di Lenin per Parigi, poi scappa a New York per evitare le persecuzioni naziste, e finisce la sua esistenza, sazio di giorni, a Saint-Paul-de-Vence (nel 1985, a 98 anni) resta fino alla fine un figlio della Russia e l'emblema di ogni esilio. Il percorso di Palazzo Roverella, ideato da Zevi con il Museo delle Culture di Lugano, è quindi diviso in due parti.

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Nella sezione iniziale, le opere giovanili e della prima maturità sono accostate ai lubki, le stampe popolari russe già così importanti per artisti coevi come Gonèarova, Larionov, Malevfè. Diffuso fin dai tempi di Pietro il Grande, il ludko si presta al racconto storico ma anche satirico o sacro, e mescola testo e Immagine: dei suoi codici Chagall si impossessa per raccontare il suo mondo di ebreo cresciuto nella Zona dl residenza, ma subito li mescola ad altro. Basta fermarsi davanti a Il macello (1911), dove la memoria dell'infanzia e del mestiere del nonno si muta in una festa espressionista di rossi e di verdi, o all'Autoritratto davanti a casa (1914) realizzato dopo il primo soggiorno in Francia. Il pittore visi ritrae come un bohémien, sembra alludere a Modigliani e agli altri artisti della Ruche, l'atelier dove ha abitato a Parigi. Ma sullo sfondo, a sovrastarlo, dipinge la casa di legno in cui è cresciuto. Alla finestra riconosciamo la sagoma di Feige-Ite, la madre che portandolo a lezione di disegno dall'unico pittore di Vitebsk ha segnato il suo destino. In altri quadri di quegli anni, L'orologio (1914) della Terjaokov di Mosca e Lo specchio (1915), conservato a San Pietroburgo, due oggetti ordinari dell'arredo domestico assurgono a simbolo esistenziale: la presenza umana, in entrambi, è ridotta a un piccolo personaggio laterale, sproporzionato ed enigmatico come in un quadro surrealista. Nel celebratissimo La passeggiata (1917) la lezione cubista è nei piani sovrapposti della città verde e del prato dove la moglie Bella, prima di fluttuare in cielo, ha steso lo scialle multicolore delle babe russe. Ne II matrimonio, dipinto l'anno successivo, è un angelo rosso, nello stile dell'uccello del paradiso dei lubki, a vegliare su una coppia di sposi dall'aria inquieta.

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A fare da cerniera tra la prima e la seconda sezione, una selezione di bozzetti e maquette (provenienti dalla collezione Meyer) per le scenografie e i costumi degli spettacoli di Sholem Aleichem al Teatro yiddish da camera di Mosca, risalenti al 1920: una galleria straordinaria di maschere popolari - Beyle la cuoca, Uomo con capra - dove nuovamente il folklore russo e quello ebraico si fondono. La seconda sezione della mostra è infine una sorta di ricognizione dei motivi che, individuati da Chagall fin dagli esordi, diventeranno ricorrenti della sua produzione. Gli animali - la capra, il gallo, l'asino, la mucca - che porta al centro della scena, come messaggeri dell'inconscio; la coppia di innamorati; gli abitanti del villaggio; la maternità; l'ebreo in viaggio. Gli stilemi chagalliani sono riletti non solo alla luce dei significati di cui il pittore li riveste, ma nel confronto con le icone russe, per secoli unica forma d'arte accessibile a ogni classe sociale. L'accostamento con alcuni degli esempi esposti a Palazzo Roverella, provenienti dalla collezione Intesa Sanpaolo, è rivelatore. E aiuta a leggere con altri occhi la struttura e l'impianto coloristico delle varie crocifissioni, di opere centrali del primo periodo come L'ebreo in rosso (1915) e di quelle del dopoguerra come Villaggio con sole oscuro (1950). Sono gli anni del ritorno dall'America, quando, racconta ancora Meyer «è la figlia Ida a spendersi affinché Chagall possa rimettere piede artisticamente in Europa: è grazie al suo impegno, alla sua mediazione se vengono organizzate le prime grandi mostre, a partire da quella del 1947 al Musée d'Art Moderne di Parigi». La moglie Bella Rosenfeld, l'amore della gioventù che lo ha seguito lontano dalla patria, è morta nel 1944 in New Jersey, a nemmeno cinquant'anni. Da allora, tutto l'alfabeto dell'artista servirà a questo: a permettere al luftmensch, all'uomo d'aria di Vitebsk, di portare con sé quadro dopo quadro ciò che ha perduto di più caro: Bella, e la sua Russia.

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