Gentilissima Signora Fait,
da anni penso a quanto sarebbe preziosa un’agenzia governativa israeliana contro la diffusione di notizie false o tendenziose nei confronti di Israele. Non ho ben capito quale esatto compito vorrebbe assegnarle Manfred Gerstenfeld nel suo articolo di ieri, 7 febbraio, il cui contenuto, con il suo dire e non dire su punti cruciali, mi ha lasciata alquanto perplessa (non sono incline a pensar male, ma mi è perfino venuto il dubbio che suggerisse di utilizzare i servizi segreti per trovare notizie compromettenti con le quali ‘dissuadere’ determinare persone dal pubblicare certi contenuti o finanziare certe associazioni). Per parte mia, invece, sarei molto felice se Israele si dotasse di un’organizzazione per controbattere con informazioni e dati precisi a certe affermazioni sulle quali è difficile replicare senza apparire degli acritici difensori di Israele, qualunque cosa faccia. Propongo solo qualche esempio di notizie suscettibili di ‘accendere gli animi’ e di cui non sono in grado di verificare veridicità o completezza, scusandomi della lunghezza della lettera (sintesi di riflessioni ed interrogativi scaturiti da quasi vent’anni di letture, anche in lingua inglese, ma, purtroppo, non in ebraico).
1. Varie organizzazioni non governative israeliane da anni denunciano che i palestinesi residenti nella zona C non ottengono quasi mai concessioni o autorizzazioni edilizie e sono quindi costretti a costruire abusivamente, perché l’alternativa sarebbe abbandonare il proprio villaggio per le zone A o B della Cisgiordania o per l’estero. Quesiti, cui non ho trovato risposta: le percentuali (bassissime) di accoglimento delle domande edilizie indicate da tali fonti corrispondono al vero? In caso affermativo, quali sono le ragioni? Chi deve occuparsi, nella zona C, della pianificazione urbanistica? e come se ne occupa? Quali possibilità di sviluppo urbanistico ed economico hanno i residenti palestinesi della zona C, che dipendono da Israele per l’amministrazione civile e, quindi, per ogni concreto aspetto della loro vita?
2. Varie organizzazioni israeliane per i diritti umani denunciano da anni il sistema processuale penale applicato ai palestinesi, che non darebbe le stesse garanzie agli imputati sottoposti agli ordinari tribunali penali israeliani. Impossibile valutare le denunce senza informazioni adeguate sulla procedura penale seguita e sugli organi che la applicano (corti penali militari, se ho ben capito, nel caso di palestinesi residenti ‘oltre la linea verde’).
3. Residenti israeliani e palestinesi della zona C si rinfacciano da anni cospicui danneggiamenti alle rispettive colture (taglio di alberi, soprattutto) e furto di bestiame. Periodicamente si leggono articoli in cui determinate persone, indicate con nome e cognome, testimoniano di aver assistito a specifici episodi. Prevalentemente si tratta di denunce da parte di palestinesi, pubblicate da ong sia in inglese che in italiano e, probabilmente, in altre lingue. I casi inversi li ho trovati più raramente e credo solo su Arutz Sheva, sito legato al sionismo religioso e propugnatore del più massiccio popolamento possibile di Giudea e Samaria da parte degli ebrei.
4. Analoga disputa su risorse idriche e smaltimento dei rifiuti.
5. Nella famosa disputa sulla tassazione delle proprietà delle chiese in Israele, mi è stato impossibile scoprire alcuni dati essenziali per farsi un’opinione non partigiana: aliquote e base imponibile, esatta individuazione delle categorie di edifici tassati e di quelli esenti (non ci sono solo chiese da un lato e alberghi o ristoranti condotti a fini di lucro dall’altro, ma anche scuole e case di riposo il cui fine è di fornire un servizio alla comunità cristiana, per rafforzarne la fede ed identità religiosa in un Paese in cui i cristiani sono una minuscola minoranza, ed alberghi per pellegrini finalizzati ad incentivare i pellegrinaggi nel luogo centrale per la fede cristiana). Soprattutto, non si può valutare l’equità di una singola imposta senza considerare l’intero sistema fiscale: non è la stessa cosa tassare gli immobili suscettibili di fornire un reddito in uno Stato in cui una confessione religiosa riceve una parte delle entrate fiscali ed in uno in cui deve provvedere da sola alla manutenzione dei suoi beni ed al finanziamento di tutta l’attività di culto, di educazione, di assistenza; e non è la stessa cosa se in uno Stato i cristiani sono la maggioranza o se, invece, sono pochissimi e le loro offerte, quindi, molto più limitate.
6. Da anni le scuole cristiane (non solo cattoliche) in Israele (quasi una cinquantina) lamentano una riduzione dei fondi statali (mentre le scuole ebraiche ortodosse, pur godendo della medesima autonomia, continuano a percepire sovvenzioni statali molto più generose) e, al contempo, una limitazione legale degli importi che possono chiedere ai genitori degli allievi, con conseguenti problemi finanziari sempre più gravi. Quanto sin qui sintetizzato deriva da fonti cristiane, in particolare del Patriarcato Latino di Gerusalemme, perché sulla stampa israeliana in inglese ho trovato solo qualche articolo sugli scioperi indetti da tali scuole nel 2015 e sull’accordo raggiunto con il Governo, dopo alcune settimane, per uno stanziamento aggiuntivo: accordo che, secondo un articolo del 2020 sul sito dello stesso Patriarcato, non era ancora stato onorato. Anche in questo caso, per capire se vi è stata una discriminazione (finanziamento pubblico in misura notevolmente diversa di scuole aventi il medesimo status giuridico o che dovrebbero averlo secondo i parametri stabiliti in via generale dalla legislazione israeliana), è indispensabile un riassunto decente della normativa israeliana in materia e degli atti amministrativi intervenuti.
Potrei continuare con altri esempi, ma il punto è che solo un organismo con accesso a tutta la documentazione pertinente e con adeguata cognizione dell’ordinamento giuridico israeliano, sia in Israele che nei territori ‘oltre la linea verde’, potrebbe rispondere a domande come quelle sopra elencate. Potrebbe pubblicare via via sul proprio sito tali informazioni, in modo organico e con adeguati indici di ricerca per risposte rapide, partendo da un censimento delle più frequenti ed annose accuse e dispute ed aggiornandole costantemente. Potrebbe rispondere a specifiche domande dei lettori o, quantomeno, dei giornalisti. Perché è vero che a chi accusa Israele di opprimere i palestinesi (o, nel caso degli esempi 5 e 6, di essere prodighi di buone parole verso i cristiani cittadini israeliani o residenti in Israele, ma danneggiarli in concreto) non si può rispondere elencando le meraviglie tecnologiche israeliane (e neppure basta menzionare i diritti dei cittadini arabi di Israele per tacitare chi solleva il problema della condizione dei palestinesi e, in particolare, di quelli residenti nella zona C, amministrata da Israele), ma non ci può neanche limitare ad evidenziare lo ‘sproporzionato’ interesse del mondo per ciò che fa Israele rispetto ad altri Stati: per ragioni religiose, quanto avviene fra il Mediterraneo ed il Giordano è più importante, per centinaia di milioni di cristiani (o forse per la maggioranza dei circa due miliardi di essi), di quanto avviene in altre parti della Terra; Gerusalemme è più vicina al mio cuore di Erevan, possano perdonarmi i fratelli armeni. Forse IC potrebbe sollevare l’argomento e suscitare un dibattito fra persone competenti in materia? Non so se lo Stato di Israele possa essere interessato a creare una siffatta organizzazione, né quanto sia concretamente fattibile, ma, magari, potrebbe almeno suggerire argomenti di ricerca su qualcuno dei temi sopra accennati a chi si occupa, a vario titolo, di informare correttamente su Israele. Con i più cordiali saluti,
Annalisa Ferramosca
Gentile Annalisa,
scherzando mi verrebbe da dire che lei chiede a Israele cose che nessuna nazione "in pace" è in grado di fare. Parlando seriamente posso darle parzialmente ragione ma sono consapevole della difficoltà di Israele, con i tanti problemi di sicurezza, di poter raggiungere la perfezione da lei auspicata. E' vero che per anni abbiamo lamentato l'assenza di una contro informazione veloce, della mancata prontezza di chiarire menzogne e propaganda che alcuni media e gruppi pro palestinesi diffondono quasi quotidianamente. Alla Knesset esiste un ufficio dell'Hasbarah, letteralmente significa spiegazione, che spesso smentisce alcune disinformazioni, purtroppo quasi sempre del tutto inutilmente. Le notizie contro Israele arrivano alla velocità di una mitragliatrice, gli addetti all'hasbarah tardano a rettificare per un motivo molto semplice e onesto: prima di smentire, grazie alla serietà e democrazia delle istituzioni, devono appurare la verità di quanto accaduto, nel frattempo il resto del mondo sta già sbraitando contro di noi e quando arriva la rettifica nessuno vi fa caso. Le do un esempio. Nel 2011 una famiglia israeliana di Itamar fu sterminata da due ragazzi palestinesi di nemmeno vent'anni. Tutti furono uccisi a coltellate, anche la bambina più piccola di soli tre mesi. Fu una strage barbara e disumana. I media internazionali diedero la notizia, centellinandola, ma si scatenarono letteralmente nel momento in cui il governo di Israele, in accordo con i capi dell'esercito, decise di pubblicare alcune foto della casa e dei lettini dei bambini coperti di sangue, cosa mai fatta prima per rispetto delle famiglie delle vittime. Sono, al contrario, cose usuali per i palestinesi che mostrano senza problemi i loro morti, anzi chiamano giornalisti e fotoreporter, sanno che quelle immagini commuovono il mondo e lo rendono ancora più ostile a Israele. le fotografie sullo sterminio della famiglia Fogel hanno scatenato altro odio ma non per gli assassini bensì contro Israele. L'accusa fu che Israele aveva mostrato quell'orrore per incolpare i palestinesi, insinuarono addirittura che l'eccidio fosse stato organizzato dagli israeliani. Come vede, anche se mi ribolle il sangue di fronte a queste reazioni inconsulte, sono costretta a dare ragione a Shimon Peres che diceva "Inutile smentire tanto saremo sempre noi i colpevoli". E' bene aggiungere che Israele, essendo una democrazia, non controlla i media quindi la stampa straniera può scrivere e mandare all'estero, attraverso la TV, tutte le notizie fasulle che desidera. La zona C della "Cisgiordania" è a sovranità israeliana, se i palestinesi costruiscono abusivamente le costruzioni vengono distrutte, lo stesso accade per gli ebrei. Sulla difficoltà degli arabi di ricevere i permessi edilizi mi sembra logico dal momento che hanno a disposizione la zona A e parte della zona B. Riguardo alle tasse delle istituzioni della Chiesa, è stato più volte ribadito che devono essere pagate solo sugli alberghi e altre fonti di reddito, non sui luoghi di culto. IC, e come noi altri volontari, cerchiamo di ripristinare la verità e di informare nel modo giusto e corretto ma non è facile superare il potere mediatico e economico dei gruppi filopalestinesi.
Un cordiale shalom