Forse mio padre
Laura Forti
Giuntina euro 15
“Ho ripreso coraggio, ho capito che c’era ancora una strada da percorrere. Con la scrittura avevo la mia occasione di disubbidire al patto di silenzio. E soprattutto, di riprendermi ciò che era mio”
Il nuovo libro di Laura Forti, scrittrice e drammaturga fiorentina, è un’altra tessera che si aggiunge a quel mosaico della memoria “tutt’altro che completo e perfetto” iniziato con il suo primo testo “L’acrobata” edito anch’esso da Giuntina. In “Forse mio padre”, dove l’avverbio è il fulcro attorno al quale si dipana un lungo percorso introspettivo, l’autrice condivide con il lettore la scoperta dolorosa che il padre con il quale era cresciuta non era quello biologico. Senza averne la certezza fin da bambina aveva colto imbarazzi e indizi celati dal perbenismo familiare di cui solo in età adulta comprende il significato. E’ in punto di morte che la madre, proveniente da una famiglia ebrea disfunzionale colpita dalle leggi razziali che la costringono a rifugiarsi in un paesino del Grossetano, comunica alla figlia Laura la verità sulla sua nascita sprofondandola in un vuoto angosciante e con la consapevolezza di essere stata ingannata insieme al padre vero. Le ragioni di questa menzogna forse si possono ricercare nel rapporto conflittuale della madre con il genitore, un uomo rigido e molto religioso, oltre che in scelte di vita contradditorie che l’hanno portata, dopo l’impegno come staffetta partigiana in cui ha conosciuto il vero padre di Laura, ad emigrare in Israele impegnandosi nella realizzazione del sogno sionista e infine a ritornare, assecondando un capriccio d’amore, per sposare un goy, Mauro, l’uomo che alleverà Laura.
Da qui l’ostracismo non solo della famiglia ma anche di tutta la comunità ebraica fiorentina. Nel libro l’autrice, con una lingua raffinata e una prosa da cui emerge il lungo travaglio interiore, descrive la sua condizione di figlia alla ricerca di un genitore che non ha mai conosciuto la cui figura cerca di ricostruire attraverso memorie lontane, il ricordo dei fratelli o episodi che aleggiano come fantasmi nella sua mente ma di cui non è sicura siano realmente accaduti. L’autrice dà vita a personaggi autentici: sono i componenti di una famiglia complessa dove più che l’armonia spiccano i conflitti identitari, la violenza, l’omertà familiare, i caratteri ribelli: il fratello troppo sensibile rinchiuso in manicomio, la nonna paterna Gilda che sospettando il segreto della madre invita a pranzo solo le sorelle, il padre che la evita e anche G., forse suo padre, che dalla nascita ha una voglia rossastra sulla guancia che lo rende “sfortunato” e diverso dagli altri. Laura per questo “forse padre” - che fin da piccolo sceglieva la riservatezza e l’invisibilità per non essere commiserato - prova prima una forte rabbia perché avrebbe voluto che si manifestasse con un incontro fortuito, una lettera, che trasgredisse alla legge del silenzio imposta dalla madre poi, ricordando nelle ultime pagine l’episodio del cagnolino, comprende che “si può amare discretamente qualcuno e uscire di scena in punta di piedi”. E’ il ricordo che sceglie di portare via dalla stanza del sogno, la sua eredità di delicatezza. Ci sono diversi punti di contatto fra i due libri di Laura Forti, quasi un filo rosso che li unisce, come se “L’acrobata” abbia in un certo senso “incoraggiato” l’autrice ad affrontare il secondo, più intimo. Innanzitutto la Storia permea le due narrazioni: nel primo libro c’è la persecuzione russa e nazista dalle quali un ramo della famiglia scampa emigrando in Cile per poi ritrovarsi coinvolta nella dittatura di Pinochet, nel secondo ci sono le leggi razziali, con l’incapacità della madre di capire l’espulsione da scuola, l’esilio, la Resistenza, il sionismo e Israele. In entrambi c’è anche il dolore più intimo delle ferite inflitte dalla vita che lasciano cicatrici indelebili e un percorso di rinascita che si compie grazie alla scrittura e che porta alla superficie, elaborandolo, quel vissuto doloroso a lungo nascosto. Un altro elemento che accomuna i due libri è la figura della madre. Nell’”Acrobata” è una madre che ricostruisce la figura del figlio ucciso per il nipote per donargli i ricordi di quel padre che non ha conosciuto, una madre piena d’amore ma pervasa da un sottile senso di colpa per aver instillato nel figlio dei valori che lo hanno portato a scelte irreparabili; in “Forse mio padre” l’autrice racconta una figura materna che vive un conflitto interiore, una persona fragile, vulnerabile, nonostante la sua apparente fierezza, una donna che ha tradito la fiducia della figlia impedendole di conoscere il padre biologico e non ha saputo proteggerla da un inevitabile vuoto di appartenenza. Infine, anche l’assenza della figura paterna è un tratto riconducibile a entrambi i libri, seppur con qualche differenza.
Mentre nell’”Acrobata” il padre rivive nel ricordo fulgido della madre/nonna, veicolo di memorie per il nipote, in “Forse mio padre” spetta all’autrice dar vita, attraverso una narrazione in parte di fantasia per la mancanza di punti di riferimento, all’immagine di quel padre che le è stato sottratto. (“Quando la memoria non c’è, non basta o resta muta, bisogna costruircene una nuova. Bisogna avere fede nella fantasia”). Un altro argomento di riflessione che si ricava dalla lettura del romanzo è l’importanza della scrittura per Forti, assimilabile a una funzione salvifica. “Non ho avuto un padre, forse non ho avuto neanche una madre affidabile, ma ho avuto la scrittura” e in tal modo una storia privata è diventata universale in un viaggio che è insieme di rinascita e speranza e in cui ciascun lettore si può identificare, ritrovando qualcosa di se stesso e della sua esperienza di vita. “Non è un caso – afferma Laura Forti – che questi due romanzi abbiano la forma della lettera e cerchino un interlocutore. Ma il destinatario non è solo quello letterario, il padre di “Forse mio padre” o il nipote dell’”Acrobata”. E’ il lettore stesso. Si può dire che ogni romanzo sia una lettera mandata a qualcuno, un legame di ascolto tra chi parla e chi riceve quelle parole e le fa sue”.
Giorgia Greco