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La Stampa Rassegna Stampa
24.09.2002 Una recensione vergognosa


Testata: La Stampa
Data: 24 settembre 2002
Pagina: 26
Autore: Sergio Luzzatto
Titolo: «Finkelstein, la soluzione immorale»
"L'industria dell'Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei"
(Rizzoli)
Sergio Luzzatto recensisce, su La Stampa,il libro di Norman Finkelstein.
La tesi di questo libro è presto riassunta,così come scrive Luzzatto:

"Per oltre vent'anni dopo il 1945, lo sterminio nazista non fece notizia in Israele, e meno che mai negli Stati Uniti. Allora, sia i padri fondatori dello Stato israeliano, sia i dirigenti della comunità ebraica americana ebbero tutto l'interesse a stendere un velo di silenzio sopra la miscela di calcolo, neghittosità, indifferenza che al tempo della Soluzione finale aveva spinto gli uni e gli altri all'inazione: a fare poco o nulla per cercare di salvare gli ebrei d'Europa. Secondo Finkelstein, tutto cambiò dopo il 1967 e a maggior ragione dopo il '73, quando nel conflitto arabo-israeliano Israele passò dalla posizione di chi si difende a quella di chi attacca: il precedente storico rappresentato dall'Olocausto apparve allora il migliore degli argomenti per sostenere le ragioni politiche del Grande Israele. Cominciò allora, a Gerusalemme come a New York, la litania sull'«abbandono degli ebrei». L'effettiva indifferenza che tanti, troppi occidentali (compresi gli ebrei della diaspora) avevano dimostrato davanti alla sorte degli ebrei d'Europa, vittime inermi della Soluzione finale, divenne il pretesto per sostenere l'insostenibile: che anche gli ebrei d'Israele, armatissimi occupanti dei Territori palestinesi, rischiavano un nuovo olocausto per opera di un nuovo nazismo, quello degli arabi. Tesi manifestamente contraddetta, negli ultimi trent'anni, dagli sviluppi della politica internazionale, e nondimeno destinata a inossidabile avvenire: lo ha dimostrato ancora quest'anno, in Italia, il successo del libro di Fiamma Nirenstein, L'abbandono."
La tesi sostenuta dall'autore del libro, se non fosse legata a fatti terribili di sangue e morte, sarebbe addirittura ridicola.
I padri fondatori dello stato israeliano,Ben Gurion primo fra tutti,come è anche ben raccontato nel libro di Tom Segev "Il settimo milione",fecero di tutto per convincere gli ebrei europei a traferisrsi in Eretz Israel. Mai vollero stendere un velo di silenzio sulla shoàh. E lo dimostra anche Primo Levi, per quanti anni il suo libro, "Se questo è un uomo" non fu pubblicato? Si pensava che alla gente non interessasse. Finkelstein non sa forse che Primo Levi l'aveva scritto appena tornato dal lager?
Inoltre per molti ex deportati il trauma fu talmente forte che per molti anni non ebbero il coraggio di parlare. Ancora oggi, trovare un ex deportato che abbia voglia di raccontare la propria storia è difficile.
Come si può dire che il parlare o meno della shoà sia un fatto calcolato?
Non lo fa anche Finkelstein quando racconta che ui è figlio di sopravvissuti ? Se lo fa lui è storia, se lo fanno altri è sfruttamento della Shoah ?
Secondo Finkelstein tutto cambiò dal 1973 quando Israele passò dalla posizione di chi si difende a quella di chi attacca. Un altro errore: durante tutte le guerre arabo-israeliano Israle non attaccò mai, fu sempre attaccato. Inoltre, quando nel 1948 Israele fu attaccato da molti stati arabi, è normale che molti temessero una nuova Shoah, erano in molti contro un piccolo stato neonato, chi avrebbe sperato nella sua vittoria?

Già dalle poche righe che Luzzatto ci fornisce a riassunto dell'opera capiamo che il libro di Finkelstein non è solo scandaloso ma ridicolo e falso e non ci stupiremmo se l'autore l'avesse scritto spinto più da motivi economici che reali desideri di denunciare la propria verità.
Ma quello che è ancora più pericoloso è il commento del giornalista che presenta il libro.
Ne parla infatti come un libro "scandaloso", ma in questa parola si vede la connotazione positiva che il giornalista vuol dare; come dire : "E' scandaloso perchè vero". No, è tutto falso e, più che "scandaloso", vergognoso.
Luzzatto presenta l'autore come un uomo che,una volta divenuto adulto, ha capito come veramente siano andate le cose:

"Al pari di molti intellettuali americani di origine ebraica, Norman Finkelstein - docente di scienze politiche alla City University of New York - ha una strana storia dietro le spalle. È nato, all'indomani della seconda guerra mondiale, da genitori fortunosamente scampati al ghetto di Varsavia e ai campi di concentramento nazisti (tutti gli altri componenti della sua famiglia erano stati sterminati nei lager). Ma è cresciuto nell'America degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta, in un paese relativamente spensierato, troppo preso dal presente per indugiare sul passato, e quasi immemore della recente distruzione degli ebrei d'Europa.
A differenza di molti intellettuali americani di origine ebraica, una volta pervenuto all'età adulta Norman Finkelstein non ha confuso una piena assunzione della sua tragica identità di ebreo dell'Europa orientale con la rinuncia a un diritto e con il ripudio di un dovere: il diritto e il dovere di guardare con spirito critico al passato e al presente dello Stato di Israele. Perciò egli ha contribuito, anni fa, a riscrivere la storia del conflitto mediorientale secondo la maniera dei «nuovi storici» israeliani, pronti a riconoscere quanto di tendenzioso contiene la leggenda storica di un Israele sempre aggredito e sempre innocente. Perciò Finkelstein ha inteso, ora, denunciare la logica politica che malamente si nasconde dietro l'«industria dell'Olocausto». "
Per guardare con occhio critico Israele non c'è bisogno di parlare di Shoàh. Israele è uno stato come un altro, con i suoi pregi e con i suoi difetti, arrivare ad essere un revisionista storico, a dire che gli ebrei giustificano ogni loro errore con la Shoàh è decisamente sbagliato e falso. E' diritto e dovere di ogni ebreo guardare criticamente Israele perchè migliori continuamente, ma negare il passato, un passato che tocca da vicino è vergognoso.
E Luzzatto continua nell'elogio neanche tanto velato del libro:

"Finkelstein ha scritto il suo libro per sbugiardare una leggenda come questa. Per denunciare il supplemento di tragedia in grazia del quale «statisti» come Ariel Sharon hanno potuto mascherarsi dietro la conferenza di Monaco del 1938 o quella del Wannsee del 1942 per far scorrere a fiumi il sangue innocente, dai massacri di Sabra e Chatila a quello di Jenin."
Nessuno statista si è mascherato dietro nessuna conferenza per i massacri di Sabra e Chatila o di Jenin. Dopo il massacro di Sabra e Chatila, (che fu compiuto dagli arabi cristiani e non da Sharon che si limitò a non intervenire, ma questo non bisogna dirlo mai) Sharon fu sottoposto ad una commissione d'indagine, e per quanto riguarda Jenin, è strano che Luzzatto ancora ne parli visto che neanche l'Onu ha deciso di considerarlo un crimine di guerra ma una terribile battaglia tra due popoli nemici.
"Finkelstein ha scritto L'industria dell'Olocausto perché rifiuta alcuni altri assiomi del pensiero unico attualmente diffuso in Occidente rispetto al conflitto mediorientale. Perché respinge l'equazione morale che apparenta ogni critica della politica d'Israele a bieco antisemitismo. Perché rigetta la rivendicazione storica dell'unicità del genocidio degli ebrei: come se, nella Germania stessa del Terzo Reich, i disabili e gli zingari fossero andati incontro a un destino differente; come se il Novecento non avesse conosciuto altri genocidi, dagli armeni di Turchia ai tutsi del Rwanda."
Ecco che torna la solita tesi revisionista; nessuno nega che i disabili, o gli zingari, o gli omossessuali, siano andati incontro ad un destino diverso da quello degli ebrei durante il nazismo, o anche gli armeni in Turchia o i Tutsi in Rwanda, e allora? Gli ebrei non hanno il diritto di denunciare i loro 6 milioni di morti nei lager? Sono passati solo 40 anni, ancora vivono mogli, mariti, figli, nipoti di deportati, non hanno diritto a parlarne? Così come ne hanno tutto il diritto gli zingari o i disabili. Perchè negare questo diritto agli ebrei ?
"Quando poi Finkelstein si sofferma sulla gigantesca battaglia legale avviata dalla comunità ebraica americana negli anni novanta, per ottenere da banche svizzere e industrie tedesche un risarcimento finanziario per la soluzione finale, la tragedia diventa farsa. Allo scopo di aumentare l'entità delle cifre richieste (e delle loro parcelle), gli avvocati delle cosiddette «vittime bisognose dell'Olocausto» hanno infatti pensato bene di gonfiare a dismisura il numero dei sopravvissuti dei lager: con il risultato - storicamente paradossale quanto moralmente avvilente - di sminuire l'entità numerica dello sterminio stesso? "
Finkelstein vuol forse anche negare che durante la guerra gli ebrei non hanno perso tutti i loro beni? E' sbagliato chiedere un risarcimento delle banche svizzere, che hanno incamerato i denari versati sui conti correnti negandone la restituzione agli aventi diritto ? Con quest'ultima aggiunta non rimangono più dubbi, Finkelstein si sta prestando alla politica revisionista dei tanti antisemiti.
E Luzzatto termina così:

"Il libro di Finkelstein è troppo indignato per non riuscire fastidioso, e troppo schierato per non riuscire apodittico. Fra l'altro, nel momento in cui riduce l'intera sua problematica alla dimensione dei rapporti politici fra Israele e gli Stati Uniti, l'autore rinuncia a spiegare perché mai la memoria storica dell'Olocausto abbia obbedito anche in Europa a un'analoga cronologia: «rimozione» fino agli anni sessanta, «ritorno del rimosso» a partire dagli anni settanta. Nondimeno, il libro di Finkelstein solleva questioni troppo importanti per essere frettolosamente liquidate - ancora in linguaggio freudiano - evocando l'«odio di sé» caratteristico di molti ebrei. Discutibile, quindi, ma in fondo meritoria la scelta della casa editrice Rizzoli (la stessa che ha pubblicato L'abbandono di Nirenstein) di tradurre L'industria dell'Olocausto: libro rifiutato, in precedenza, da un editore come Einaudi. Peccato, però, che la versione italiana del volume di Finkelstein non sia uscita dai torchi della casa editrice di Primo Levi. La storia che qui si racconta - seppure con una ruvidezza di toni sideralmente lontana dalla profonda leggerezza di Levi - non è forse anch'essa, a suo modo, una drammatica vicenda di «sommersi» e di «salvati»?

No, la storia che racconta è una storia falsa e vergognosa ed un paragone con Primo Levi, uno dei primi ex deportati che in Italia fece sentire la propria voce, è improprio. Peccato che questo libro non sia Einaudi?
Peccato che questo libro contenga falsità,menzogne e che sia lodato proprio da un recensore che dovrebbe ben conoscere quanto nelle righe sopra citate ha così opportunamete ricordato: l'odio di sè di alcuni ebrei. Che sia il suo caso ?

Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com a scrivere alla Stampa criticando la recensione di Luzzatto citando tutte le falsità in essa contenute. Cliccando sul link sottostante si aprirà un' e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@lastampa.it

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