Il doppio smacco del nuovo inviato americano per gli affari iraniani
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Robert Malley
La nuova amministrazione Biden ha nominato Robert Malley inviato speciale per gli affari iraniani. Questa nomina pone Malley in una posizione chiave con grande influenza sul Medio Oriente nel suo complesso, poiché la questione iraniana è collegata anche all'Arabia Saudita, a Israele e, indirettamente, alla questione palestinese. La mossa dell'amministrazione fa anche parte dello sforzo per azzerare tutto ciò che l'ex Presidente, Donald Trump, ha fatto in Medio Oriente, persino nei casi in cui le sue azioni hanno portato a sviluppi positivi. Sulla questione iraniana, è probabile che Malley esorti gli Stati Uniti a tornare all'accordo nucleare del 2015 (JCPOA), a revocare le sanzioni il prima possibile ed a liberare il regime di Teheran da qualsiasi altro obbligo, compresi i missili balistici a lungo raggio e il suo coinvolgimento distruttivo negli affari di altri Paesi. Malley cercherà di restituire a Teheran il potere militare e politico che esercitava ai tempi del Presidente Obama, nonostante le calamità che quel potere ha causato ai cittadini dell'Iran e alla regione. Sulla questione palestinese, è probabile che Malley guidi, anche dal sedile posteriore, un processo che culminerà in uno Stato palestinese guidato dall'OLP. Allo stesso tempo, l'amministrazione farà pressioni su Israele per rinunciare alla parte antica della sua capitale storica, ritirarsi da parti della terra di origine degli ebrei e rimuovere comunità e residenti in cambio di lettere morte, documenti, promesse e impegni il cui adempimento non può essere assicurato. In altre parole, grazie alle tenere cure ed alla compassione di Biden e Malley, verrà fondato un altro Stato terroristico sulle colline che dominano Israele da Est, oltre all'esistente Stato terroristico di Gaza a Ovest.
Joe Biden
Ma Israele non è l'unica vittima di questa futura politica. Chiunque abbia una conoscenza anche minima della storia dell'Iran sa che quel Paese è stato sotto il dominio dello Scià fino alla fine del 1978 e dall'inizio del 1979 è stato sotto il regno degli ayatollah. Il governo dello Scià era una dittatura nazionalista che ha suscitato la rabbia dei circoli liberali americani. Di conseguenza, il Presidente Jimmy Carter aveva deciso di porre fine al suo sostegno al regime quando nel 1978 erano scoppiate manifestazioni di massa contro di esso. Ciò che aveva spinto Carter era stata la preoccupazione per i diritti umani dei cittadini iraniani. Di fronte all'intensificarsi delle violente manifestazioni e alla mancanza di sostegno degli Stati Uniti, lo Scià aveva lasciato l'Iran e il suo governo crollò. Sulle sue rovine era sorta la Repubblica islamica dell'Ayatollah Khomeini, che si è rapidamente rivelata una dittatura di gran lunga peggiore di quanto lo fosse mai stato il governo dello Scià .
Sono due i gradi principali dell'oppressione in Iran: quello personale e quello collettivo. A livello personale, ogni cittadino iraniano sa cosa succederebbe se manifestasse contro il governo o scrivesse un post sui social network che al governo non piace. Nel migliore dei casi verrebbe imprigionato e torturato; nel peggiore dei casi, giustiziato. Le donne che vengono sorprese a prendere parte a manifestazioni contro il regime vengono violentate nelle carceri. L'oppressione collettiva deriva dal fatto che l'Iran è composto da più gruppi etnici. I persiani, che sono il gruppo dominante privilegiato, costituiscono circa la metà della popolazione. L'altra metà è composta da baluci, curdi, azeri, arabi, turkmeni, caspici, kazaki, lurs, baktiari e altri.
Questi gruppi sono costretti a vivere sotto il dominio dei persiani, che reprimono qualsiasi tentativo di autodeterminazione o di sviluppo della cultura, del patrimonio o della lingua locale. Ed è qui che entra in gioco l'assurdità: il sostegno americano al dominio degli ayatollah è essenzialmente il sostegno a un regime oppressivo che non riconosce né i diritti umani a livello personale né i diritti etno-nazionali a livello collettivo. Questo sostegno contravviene chiaramente ai valori americani fondamentali e certamente non coincide con il programma dichiarato dal Partito Democratico. Anche sulla questione palestinese l'amministrazione Biden va contromano. Secondo i rapporti, l'amministrazione mira a ripristinare il sostegno all'Autorità palestinese con l'obiettivo di trasformarla in uno Stato. Questo nonostante il fatto che il futuro Stato si unirebbe senza dubbio alla lista degli Stati falliti del Medio Oriente, in quanto sarebbe un'entità eterogenea e illegittima agli occhi dei propri stessi cittadini. Questa mancanza di legittimità deriva da tre fattori:
- L'OLP è un'organizzazione terroristica totalmente corrotta che ha creato l'Autorità Palestinese a sua immagine. Mahmoud Abbas è sia capo dell'OLP che presidente dell'ANP. Sia l'OLP che l'Autorità Palestinese sono costruite sul nepotismo, poiché i funzionari sfruttano i vantaggi del governo per l'arricchimento personale e tutti gli altri residenti sono lasciati a se stessi. Durante l'anno del coronavirus, la discordia tra governo e residenti si è intensificata a livelli mai visti in passato, con scontri armati scoppiati tra il governo e i suoi oppositori.
- I residenti dell'Autorità Palestinese sono perfettamente consapevoli che le elezioni democratiche che Abbas sta pianificando per il 2021 potrebbero portare Hamas al potere, come è accaduto nelle ultime elezioni per l'Assemblea Legislativa del 2006. Una volta al potere, Hamas trascinerà la Cisgiordania al livello disastroso della Striscia di Gaza, dove Hamas domina ed impera da oltre 13 anni. Nessuno in Cisgiordania lo vuole.
- Il governo dell'Autorità Palestinese agisce in contrapposizione alla naturale lealtà al clan, dei residenti arabi della Cisgiordania. Nel mondo arabo, il clan è l'elemento essenziale della struttura sociale. Di conseguenza, stati omogenei che si fondano sul dominio della tribù - come gli Stati Arabi del Golfo - sono legittimi agli occhi dei loro cittadini e quindi socialmente tranquilli, politicamente stabili ed economicamente prosperi. Al contrario, Stati eterogenei come Iraq, Siria, Libia, Yemen e Sudan non sono legittimi agli occhi dei loro cittadini e quindi sono socialmente turbolenti, politicamente fragili ed economicamente fallimentari. Uno Stato Palestinese sarà un'altra variante del modello fallito, e per questo motivo i suoi residenti non lo vogliono. L'amministrazione Biden, tuttavia, è totalmente ignara di ciò che la gente comune palestinese desideri, perché i suoi membri sono legati all'OLP e all'Autorità Palestinese al punto da appoggiare un'entità corrotta e illegittima. Lo Stato palestinese è destinato a essere un fallimento che è profondamente ostile a Israele. Uno Stato di questo tipo avrà sempre bisogno di un nemico esterno inventato come mezzo per unire tutti i settori della popolazione sotto l'ombrello illegittimo di un regime repressivo, corrotto e non amato. Le possibilità di pace tra un tale Stato e Israele sono pari a zero. Purtroppo, l'amministrazione Biden verosimilmente favorirà la creazione di uno Stato fallito di questo tipo, in una grave violazione dei valori democratici americani e del proclamato obiettivo di portare la pace tra Israele e i suoi vicini. La politica che sta prendendo forma nei confronti dell'Iran, dello Stato palestinese e degli accordi di Abramo è in netto contrasto con i principi democratici fondamentali: diritti umani, diritti di gruppo, legittimità governativa e ricerca della pace. La domanda che Israele deve affrontare è se debba agire come il profeta di sventura che avverte la nuova amministrazione statunitense dei difetti e delle contraddizioni intrinseche della sua politica, o sottomettersi al fatto compiuto e accettare le idee sbagliate di Malley e degli altri membri in arrivo dallo Staff della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato. La risposta a questa domanda verrà data nelle prossime elezioni israeliane.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Studi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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