Myanmar/Birmania, la Cina fa muro contro l'Onu, si schiera con i dittatori Niente di nuovo. Cronaca di Gianluca Di Donfrancesco
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 04 febbraio 2021 Pagina: 21 Autore: Gianluca Di Donfrancesco Titolo: «Golpe in Myanmar, Pechino blocca la condanna dell'Onu»
Riprendiamo dal SOLE24ORE di oggi, 04/02/2021, a pag.21, la cronaca "Golpe in Myanmar, Pechino blocca la condanna dell'Onu" di Gianluca Di Donfrancesco.
Aung San Suu Kyi
La Cina stoppa la bozza di risoluzione Onu che condanna il golpe in Myanmar. Il Consiglio di sicurezza si è riunito martedì, con l'obiettivo di arrivare a una posizione netta a favore del ripristino della democrazia nel Paese, del rispetto dei diritti umani e del rilascio dei prigionieri politici, a cominciare da Aung San Suu Kyi, presa in custodia lunedì all'alba dall'esercito. Ma le resistenze di Pechino hanno condotto allo stallo. In Myanmar, Suu Kyi resterà agli arresti fino al febbraio. Un tribunale ne ha ordinato la detenzione provvisoria con l'accusa di aver violato una legge sull'importexport di walkie-talkie, trovati nella sua abitazione di Naypyidaw. Rischia fino a tre anni di carcere. Una farsa. Peggio: «Un'accusa che aggrava la violazione dello Stato di diritto», secondo la portavoce Onu, Stephane Dujarric.
Win Myint
L'ex presidente Win Myint, a sua volta agli arresti, è accusato di aver violato la legge sulla gestione delle catastrofi naturali, per aver tenuto un comizio nonostante i divieti in vigore per contenere il Covid19. Anche lui rischia fino a tre annidi prigione. Suu Kyi ha trascorso 15 anni in detenzione domiciliare tra il 1989 e il 2010. A tanti oppositori dei generali andò ancora peggio: carcere e trattamenti disumani. Ferite fresche nella memoria della popolazione, che comincia a dare segni di resistenza e disobbedienza civile. Il personale di 70 ospedali e reparti medici in 30 città del Paese ha interrotto il lavoro come forma di protesta. Alle Nazioni Unite, il regime di Pechino fa valere il suo potere di veto per difendere il Myanmar. La Cina, a sua volta sotto accusa perla morsa su Hong Kong e per il trattamento degli uiguri nello Xinjiang, si trova costretta a difendersi dall'accusa di sostenere il golpe dei generali birmani. Ieri, il ministero degli Esteri ha rigettato l'ipotesi: «In quanto Paese amico del Myanmar, desideriamo che le parti possano risolvere adeguatamente le loro divergenze e sostenere la stabilità politica e sociale», ha detto il portavoce Wang Wenbin, che ha mostrato irritazione perla fuga di notizie sui lavori del Consiglio di sicurezza. Già nel 2017, la Cina aveva protetto l'alleato da qualsiasi iniziativa Onu sulla pulizia etnica ai danni dell'etnia rohingya. È invece arrivata la condanna del G7, mentre la Francia si spinge fino a mettere sul tavolo l'arma delle sanzioni. Per il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, la Ue dovrà «prevedere» nuove misure contro i militari birmani, se non revocano lo stato d'emergenza. Lunedì, il presidente Usa, Joe Biden, ha minacciato il ripristino delle sanzioni contro il Paese. La crisi ha messo in allerta alcune multinazionali, che hanno deciso di sospendere le attività nel Paese. L'italiana Eni fa sapere, attraverso un portavoce, che «le nostre attività in Myanmar sono localizzate in aree lontane dalle principali città e attualmente non ci sono attività operative in corso. Il personale Eni espatriato è molto limitato. Stiamo monitorando attentamente l'evolversi della situazione».
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