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La Stampa Rassegna Stampa
25.09.2002 A chi il Papa sta vicino


Testata: La Stampa
Data: 25 settembre 2002
Pagina: 11
Autore: Marco Tosatti
Titolo: «"Sono vicino ad Arafat"»
Nell'articolo Marco Tosatti riporta la posizione del Papa, che, in seguito all'assedio dell'esercito israeliano del quartier generale palestinese, si schiera apertamente con Arafat.
"Il Papa scende in campo a difesa di Arafat assediato, e chiede a Sharon di fermarsi. Un gesto inusuale, reso ancora più clamoroso dalla decisione della Santa Sede di rendere pubblica l´iniziativa."
Se veramente il Papa cercasse il raggiungimento di una pace giusta e vera sarebbe sceso in campo per la fine delle violenze in Medio Oriente e non per schierarsi dalla parte di un capo politico che ha affamato il suo popolo, che ha rifiutato gli accordi di Oslo e che ora si rifiuta di consegnare all'esercito israeliano venti capi di movimenti terroristici.
"Un comunicato ufficiale, reso noto ieri dal Direttore della Sala Stampa, Navarro Valls, affermava: «Preoccupato per il grave attacco alla sede dell´Autorità nazionale palestinese, il Segretario di Stato, Cardinale Angelo Sodano, ha inviato un messaggio al primo ministro d´Israele, Ariel Sharon, chiedendo, a nome del Santo Padre, la sospensione di tali azioni, che compromettono le già esili speranze di pace per quella regione, e auspicando una pronta ripresa del dialogo fra le parti nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione». "
E perchè non scendere anche in campo per chiedere la fine degli attacchi terroristici contro la popolazione civile israeliana?
"La Santa Sede ha voluto anche esprimere solidarietà al leader circondato: «Al tempo stesso, il cardinale Segretario di Stato ha assicurato al presidente Arafat, in quest´ora dolorosa per il popolo palestinese e per la sua Autorità nazionale, la vicinanza di Sua Santità Giovanni Paolo II e sua personale, ribadendo che la Santa Sede continuerà nel suo impegno per la difesa del diritto di ogni popolo a vivere in pace entro confini sicuri e in un clima di rispetto reciproco»."
E allora perchè non esprimere solidarietà per entrambi i due popoli e non solo per quello palestinese e, in particolare per Arafat? Ogni popolo ha diritto a vivere in pace dentro confini sicuri, anche quello israeliano.
"E'una posizione ampiamente condivisa dall´insieme della Chiesa cattolica. Proprio ieri il Segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori, presentando i risultati del Consiglio permanente, il «governo allargato» dei vescovi che si è svolto a Roma la settimana scorsa, ha detto: «Per i vescovi italiani la prevenzione non arriva da una guerra, bensì dalla rimozione delle cause che portano a questo, e cioè dalla rimozione della povertà e della terribile situazione della Terra Santa»."
Se rimuovere la povertà fosse facile, sarebbe da fare in tutto il mondo e non solo in Madio Oriente.Tra l'altro perchè non chiedersi mai che aiuti potrebbero dare gli altri paesi arabi al popolo palestinese? Da sempre infatti gli altri paesi arabi si sono schierati a fianco dei palestinesi ma in quanto ad aiuti concreti non si può dire che ce ne siano stati molti. Se non grandi finanziamenti al terrorismo.
"Un altro aspetto del problema lo ha invece toccato ieri Radio Vaticana criticando la politica di Ariel Sharon, che avrebbe indebolito Arafat rafforzando di conseguenza gli estremisti. «L'obiettivo fondamentale di ogni guerra al terrorismo, che è quello di isolare l'estremismo rispetto ai moderati, non è stato preso in considerazione da Sharon nemmeno come ipotesi di lavoro - ha affermato il direttore generale dell'emittente, padre Pasquale Borgomeo "
Probabilmente nella questione palestinese è impossibile isolare l'estremismo rispetto ai moderati visto che come capo di stato c'è un uomo che si rifiuta di far arrestare (anche dai propri soldati) gli artefici di attentati contro civili israeliani e che consente che venga ucciso in maniera brutale chi viene sospettato di "collaborare" con Israele.
In risposta al messaggio augurale del Papa riportiamo l'articolo di Fiamma Nireinstein "Nessun futuro con Arafat" a pagina 24 de La Stampa, di tutt'altra impostazione, che ci riporta al reale Arafat, non a quello immaginato dalla Santa Sede.
"E’ molto duro vedere tante rovine fumanti buttate giù dai bulldozer di un esercito: fa male. Il senso di ansia e di pena che ingenera è certo uno dei motivi della dura reazione antisraeliana degli Usa, molto attenti in questo momento alla ricerca del consenso per il prossimo eventuale attacco all'Iraq.

Anche se gli Usa sanno che tutti i tentativi militari, arresti, rastrellamenti, distruzioni volti a fermare il terrorismo sono particolarmente impressionanti dal punto di vista mediatico, perché colpiscono strutture della società civile: i terroristi sono civili, civili le loro infrastrutture, i loro nascondigli, i loro aiutanti, i loro ausili tecnici e logistici hanno un carattere spesso persino familiare e affettivo.

Le ruspe e gli uomini che escono al buio con le mani in alto sono in sé impressionanti e dolorose, anche se a volte chi esce così ha causato la morte di dozzine di innocenti e anche se la casa conteneva magari una fabbrica di Kassam 2. Ma qui, l'attacco al compound di Arafat, a Muqata, ha suscitato molte critiche anche di carattere politico: è un attacco miope, è stato detto, che di fatto ha risollevato il consenso nazionale e internazionale intorno a un leader quasi finito.

In realtà, si tratta semmai di un attacco presbite, nel senso che scruta un futuro lontano, prendendo più o meno lo stesso rischio che George Bush si accolla quando dichiara che, spodestando Saddam e dando il via a un processo di democratizzazione del Medio Oriente, si intraprende una strada nuova, destinata a battere il terrorismo.

Lo stesso avviene in questo caso: Arafat che ha portato i palestinesi a una guerra per cui l'Autonomia da terreno di speranza è oggi zona di miseria e disperazione, che non ha mai voluto combattere e nemmeno condannare a fondo il terrore, è considerato da Israele un ostacolo all'avvento di qualsiasi leadership pronta a trattare una soluzione del conflitto.

In altre parole, Sharon, quando ha deciso di ridurre Arafat in poche stanze, ha giocato la carta della destituzione della sua autorità (non è molto importante che oggi manifestazioni di piazza lo sostengano, è l'effetto strategico che conta) contando sull'effetto simbolo: una chiara indicazione della sconfitta di Arafat al mondo arabo, secondo il governo israeliano, apre le porte a una rivoluzione interna destinata a riaprire la situazione mediorentale. Con Arafat, giudicano oramai gli israeliani, nessun futuro è possibile.

La maggior parte dei leader europei pensa la stessa cosa, e certo lo pensa l'amministrazione americana che da tempo chiede a gran voce una riforma dell'Autonomia. Per Israele conflitto e attuale assetto dell'Anp vanno insieme: Sharon e Peres non vedono più un tavolo di pace che comprenda Arafat.Questo non vuole affatto dire (al contrario, dato che il «Peace Index» attribuisce tuttora una vasta maggioranza ai sostenitori di grandi cessioni territoriali in cambio di pace) che altri tavoli non siano possibili.

Israele è una società occidentale che ha cercato, indicando il simbolo di Muqata crollata, una via di simbolismo orientale per inseguire ciò che adesso le appare una prospettiva possibile: indicare che Arafat è sconfitto e con lui il terrorismo. Per questo contestualmente attacca Gaza, roccaforte di Hamas."

Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare un' e-mail di plauso a La Stampa per l'articolo di Fiamma Nireinstein e di esprimere il proprio dissenso verso le posizioni pregiudiziali contro Israele espresse dal Papa. Cliccando sul link sottostante si aprirà un' e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@lastampa.it

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