Il mondo arabo e la Shoah
Analisi di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Quest'anno la Giornata Mondiale della Memoria della Shoah, fissata per il 27 gennaio, è stata per la prima volta celebrata - un po’ - nel mondo arabo: c'è stato un incontro, via zoom, in lingua araba con partecipanti e personalità del Bahrein, degli Emirati Arabi Uniti e del Marocco, e ovviamente di Israele. In particolare sono intervenuti Eitan Na'eh, l'Ambasciatore israeliano negli Emirati, e Natan Sharansky, mentre la figlia di una sopravvissuta alla Shoah ha testimoniato a nome della madre scomparsa. Questa iniziativa, frutto degli Accordi di Abramo, è molto gradita, soprattutto perché i Paesi arabi coinvolti si sono impegnati nella lotta contro l’antisemitismo. Purtroppo ci vorrebbe molto di più per abbattere le barriere dell'incomprensione e, bisogna proprio sottolinearlo, quelle dell'odio che avviluppano la verità della Shoah nel mondo arabo. Alla radice c’è un'ignoranza assoluta, profonda e deliberata della sua storia. Non la si impara: non esiste il pur minimo riferimento nei libri di testo. Se viene affrontato l'argomento, soprattutto sulla stampa, molto spesso è per negare la sua esistenza; poi si parla del “cosiddetto” olocausto che gli ebrei avrebbero inventato per giustificare i loro crimini; più raramente, ma ahimè ancora troppo spesso, è per lodare Hitler, che ancora oggi è venerato in Egitto. Si è potuto così leggere sul quotidiano AL Akhbar del 24 aprile del 2001 questo testo terrificante: “Grazie a Hitler, di benedetta memoria, che a nome dei palestinesi, si è vendicato contro i criminali più vili sulla faccia della terra, e se abbiamo qualcosa da rimproverargli, è che la sua vendetta non è stata sufficiente.” Sappiamo che l’Iran organizza un concorso annuale di caricature sulla Shoah con numerosi premi. Per quanto riguarda Mahmoud Abbas, l’ex numero due di Yasser Arafat che, dalla morte di quest'ultimo, ha presieduto ai destini dell’Autorità Palestinese, nel 1982 aveva discusso una tesi di dottorato all'Università Patrice Lumumba di Mosca, a cui aveva dato il suggestivo titolo “I rapporti segreti tra il nazismo e il sionismo”.
Natan Sharansky
In essa sosteneva che la cifra di sei milioni di vittime fosse enormemente esagerata e che invece si aggirasse, tutt’al più, intorno ad un milione. I sionisti, affermava in questo elaborato, erano “il principale partner del Terzo Reich nel crimine”. L'autore non solo non ha mai sconfessato o modificato questo testo edificante, ma nel 2011 ha incoraggiato la sua pubblicazione così com'è, in arabo, presso una casa editrice di Ramallah. Per un triste paradosso, i Paesi arabi che rifiutano di riconoscere il genocidio del popolo ebraico rappresentano regolarmente i soldati israeliani sotto forma di nazisti, mentre gli arabi diventano le loro vittime, alcuni resi in modo caricaturale, con indosso gli abiti a righe dei deportati. Il pernicioso insegnamento fornito nelle scuole di Ramallah, come a Gaza, intessuto di un virulento antisemitismo, avvelena le menti dei giovani. Certamente qua e là ci sono anche delle eccezioni. Da diversi anni degli imam e altre personalità dell'Islam, partecipano a dei pellegrinaggi ai campi di sterminio. Ora c'è un inizio di presa di coscienza nei Paesi che hanno fatto la pace con Israele. Purtroppo, questo è di gran lunga insufficiente.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".