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La Stampa Rassegna Stampa
22.09.2002 Israele: colpevole di tutto


Testata: La Stampa
Data: 22 settembre 2002
Pagina: 5
Autore: Igor Man
Titolo: «Ultimo atto dell'antico duello tra Sharon e il vecchio Raiss»
Riportiamo per intero un articolo di Igor Man Pubblicato su La Stampa di domenica 22 settembre.
Non una parola sui morti israeliani, non una parola sui kamikaze palestinesi.
Israele responsabile di ogni possibile colpa.
Alla fine invoca la pace, una "pace giusta".

E come può esserlo con un' informazione così scorretta?

"FORSE è la volta buona, per Sharon, dico: l´arcinemico, lui, Arafat, è ridotto in un angolo buio del suo «palazzo», come un topo di fogna. Se vuole Sharon può ordinare «fuoco» e un colpo ben centrato polverizzerà il vecchio «misirizzi». Ovvero può, magari con qualche perdita, spedire un commando nella Muqata, il «fortino» sbreccato di Abu Ammar (Arafat), per catturarlo: vivo. Sì da umiliarlo quel tanto che basta a fargli perdere la faccia, per infine cacciarlo dalla Cisgiordania, condannandolo all´esilio. Ovvero Sharon può trasferirlo a Gaza, agli arresti domiciliari. A Beirut i brokers (che accettano scommesse nei botteghini dei cambiavalute di Hamra) danno alla pari trasferimento ed esilio ma nelle ultime ore gli scommettitori puntano sull´intrappolamento. Il perché è semplice: in questo preciso momento, in vista del «first strike» americano in Iraq, non conviene esiliare Arafat né tanto meno ucciderlo. In entrambi i casi egli entrerebbe nel mito quale simbolo della lunga marcia palestinese dalla diaspora allo Stato. Un grande leader «nazionale e nazionalista» vittima di una terribile ingiustizia della Storia. Storia, per altro, manipolata «dal sionismo in combutta con l´America, Grande Satana». Sappiamo come il presidente egiziano Mubarak cerchi di scongiurare il «first strike» prospettando al presidente Bush i pericoli, le gravi incognite ch´esso comporterebbe: primo fra tutti una reazione delle masse arabe, Saddam non è amato né in casa né fuori, dice in sostanza Mubarak, ma umiliarlo sul campo, bombardare («necessariamente») innocenti iracheni potrebbe risultare inaccettabile anche al più mite dei «fellah». Con tutte le conseguenze del caso. Lo stesso ragionamento può valere per Arafat? Degradarlo d´ogni residua dignità rischia di far scattare la molla dell´orgoglio (machista) arabo? Con tutto il rispetto, la risposta è no. Qualora Arafat venisse umiliato o addirittura ucciso - magari per sbaglio, va a sapere - lo piangerebbero sicuramente in tanti ma il pianto ancorché corale non è in grado di rovesciar regimi sia pure corrotti, invisi alle masse. Nella lunga storia difficile della Umma (la grande rissosa famiglia araba) mai la contestazione è riuscita a mutarsi in istituzione. Certamente ove Arafat facesse la fine del topo di fogna schiacciato dal buco-rifugio divenuto una trappola senza misericordia, il terrorismo avrebbe una impennata. Non già perché quelli di Hamas amino il vecchio fedayn in debito di ossigeno. Arafat, combattente laico, è inviso agli apprendisti stregoni guidati da un santone mezzo paralitico in sedia a rotelle. Ma l´umiliazione di Arafat fornirebbe il pretesto ai mandanti dei terroristi suicidi per gridare al Jihad, la «guerra santa», avendo così ragione delle sempre più diffuse perplessità del semiproletariato palestinese di fronte al «martirio». Il terrorismo, tuttavia, anche quest´ultimo spaventoso terrorismo-suicida, non riuscirà mai a «distruggere Israele» come vanno predicando e sognando i salafiti. Nemmeno una potenza (atomica) qual è Israele, nemmeno un paese sicuramente avanzato, già da tempo nel postindustriale, trent´anni avanti in fatto di tecnologia e ricerca, riuscirebbe, per altro, a sconfiggere il terrorismo, specie questo di oggi che è impastato di (male intesa) religione. Epperò Israele ha dimostrato di avere la capacità di contenerlo, di metterlo in seria difficoltà il dannato terrorismo suicida che ha insanguinato i giardinetti di Tel Aviv, le pizzerie di Gerusalemme, minando più che la sicurezza, il senso (o il mito?) della sicurezza medesima. Ed eccoci al punto: codesto discorso può valere per David Grossman o per Dave Selzner, per i padri di famiglia che ogni mattina vedono con angoscia andare a scuola i cari figli. Non può valere per Sharon: egli infatti da quell´implacabile centurione che è non teme il pericolo: ha soprattutto un vecchio conto da saldare con Arafat che per lui incarna, da sempre, il nemico. Sharon tentò, pagando un prezzo altissimo in termini di prestigio e di rispettabilità, di eliminare la «coscienza sporca palestinese» convincendo Begin a scatenare, nel 1982, la improvvida operazione «Pace in Galilea» contro il Libano dove gli incauti fedayn di Arafat avevano costituito (come già in Giordania nel 1970) uno Stato nello Stato. Quella spedizione, come sappiamo, non riuscì a schiacciare «il pidocchio palestinese»: Arafat si imbarcò sul cargo «Odisseo» verso l´esilio tunisino; il prezzo più alto lo pagarono i palestinesi massacrati a Sabra e Chatila (giusto vent´anni fa) dai falangisti libanesi agevolati dalla «distrazione» dei soldati di Sharon. Ma oggi è diverso: la questione palestinese è stata relegata in soffitta dal presidente Bush, drammaticamente impaziente com´è di aprire un nuovo ciclo storico con la sua dottrina del «first strike». Dottrina già applicata da Israele con quelle guerre preventive che han consentito alla Patria degli Ebrei di scongiurare l´annientamento minacciato da bombastici raîss arabi. (L´unica volta che Israele rinunciò al primo colpo rischiò il peggio, ma la guerra del Kippur era il frutto d´una complicata alchimia politico-strategica: si veda l´autobiografia di Golda Meir). Non è tutto: conta e molto, in questa congiuntura mediorientale così cruenta e disperante, l´annoso duello d´un vecchio generale implacabile con un vecchio fedayn dalle sette vite. C´è qualcosa di orrendamente grottesco in codesto duellare ostinato di due vecchi col fiatone. Comunque finisca, il duello ha seppellito ogni speranza di pace. (Pace giusta, vera). Ci vorrà almeno una generazione, per la pace in Terra Santa. E non è detto."
Come sempre igorman non si smentisce. Anche i toni melodrammatici servono a recuperare una immagine di Arafat ormai distrutta dagli avvenimenti. igorman non molla,il terrorismo neppure.



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