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La Repubblica Rassegna Stampa
29.01.2021 'Zubin Mehta, mio maestro'
Gregorio Moppi intervista Lahav Shani

Testata: La Repubblica
Data: 29 gennaio 2021
Pagina: 13
Autore: Gregorio Moppi
Titolo: «Lahav Shani: 'Così Zubin Mehta mi ha cambiato la vita'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA - Firenze di oggi, 29/01/2021, a pag. 13, l'intervista dal titolo "Lahav Shani: 'Così Zubin Mehta mi ha cambiato la vita' " di Gregorio Moppi.

Lahav Shani | LA Phil
Lahav Shani

II direttore d'orchestra Lahav Shani è il nuovo dono del sovrintendente Alexander Pereira al Maggio. Lui, nato a Tel Aviv trentuno anni fa, residente a Berlino, oggi è ben più di un nome emergente nel panorama internazionale. Lo certifica il fatto che la Filarmonica di Israele lo ha scelto come successore di Zubin Mehta, che Ti ha regnato per quasi mezzo secolo. Pure la Filarmonica di Rotterdam l'ha scelto come direttore principale dopo averlo sperimentato all'opera per un paio d'ore soltanto. Inoltre a garanzia del suo talento e di una carriera proiettata verso l'empireo, stanno gli impegni recenti sul podio dei Wiener, dei Berliner, della London Symphony, a Boston e Filadelfia. Insomma, quanto di meglio al mondo offriva la serie A delle orchestre prima della pandemia. Stasera Shani sale sul podio del Maggio per registrare, anche da pianista, un concerto disponibile dalle ore 20 del 1° febbraio, per un mese, in streaming gratuito sul sito del teatro; serata in collaborazione con la piattaforma digitale Taktl che invece lo proporrà dal 5 febbraio. In programma l'ouverture dell' “Oberon” di Weber, il Concerto per pianoforte K. 595 di Mozart e la Sinfonia n. 1 di Schumann. «Mi dispiace suonare senza il pubblico in sala», afferma il giovane direttore. «Ma sono onorato che nella platea vuota siederà Mehta, quasi un mentore per me».

Opera di Firenze: una trionfale Sinfonia n. 3 diretta da Zubin Mehta |  OperaClick
Zubin Mehta

Maestro Shani, in che modo si arriva, alla sua verde età, a capo di una corazzata orchestrale come quella di Israele? «Dopo aver vinto a Bamberg il Concorso "Mahler" di direzione d'orchestra, a ventidue anni sono stato chiamato alla Israel Philharmonic per supplire a un'assenza di Kurt Masur. Serata importante, poiché si inaugurava anche il nuovo auditorium. Una chance che ho cercato di giocarmi al meglio, mettendoci tutto me stesso. Subito dopo hanno cominciato a piovermi addosso scritture da ogni dove».

Un debutto propiziato dalla stima di Mehta... «Sì, e da un padre musicista che, fin da bambino, mi portava ad ascoltare tutto quanto si dava in città, Israel compresa. Dunque Mehta l'ho visto dirigere decine di volte».

E ne è diventato il pupillo. «Ho suonato con lui parecchio, sia da solista al piano sia da contrabbassista in orchestra (poiché maneggio entrambi gli strumenti, anche se il contrabbasso mi è servito soprattutto per guadagnare quattrini quando ne avevo necessità). Mehta mi ha molto incoraggiato a impugnare la bacchetta».

Che cosa ha appreso da lui? «Beh, Mehta è un leader nato. Personalità potente. Chiunque suoni con lui sente di essere costantemente osservato, guidato, affiancato nel lavoro. Possiede un carisma tale che è comune sentir dire da ogni orchestrale di essere stato stato sotto lo sguardo del Maestro per l'intero concerto».

Lei come si pone nei confronti delle orchestre? «Un direttore d'oggi deve mostrarsi alla mano, positivo, sorridente. Però questo atteggiamento amichevole non deve trascinare con sé la superficialità nelle prove. Bisogna sempre puntare all'ideale di esecuzione che ci si è prefissato. Naturalmente confrontandosi volta a volta con la specificità delle orchestre, perché ci sono quelle che partono in quarta e altre, invece, a cui serve un po' per ingranare la marcia».

Il pianoforte, come trova ancora il tempo di studiarlo? «Qui a Firenze lo suono, quindi, evidentemente, riesco a conciliarlo con la direzione. E non faccio solo Mozart. Ho in repertorio anche pezzi grossi come i Concerti di Rachmaninov e Prokofiev. Per adesso seguo il consiglio di Daniel Barenboim, che anni fa, ascoltandomi nelle Sonate di Beethoven, mi suggerì di non abbandonare la tastiera, perlomeno non subito, perché, semmai, a scegliere tra i due mestieri si è sempre in tempo. Credo che abbia ragione, si possono conciliare: il piano richiede ore di studio, di esercizio fisico; viceversa, dirigere è principalmente un processo intellettuale, e una partitura si può studiare ovunque, in qualsiasi momento della giornata».

È da poco trascorso il giorno della Memoria. Crede che l'esercizio collettivo del ricordo sia riuscito a cancellare le pulsioni più nere dalle nostre società? «Si è davvero certi che gli uomini progrediscano sempre verso il bene? No, se misuriamo la temperatura del razzismo negli Stati Uniti o dell'anti-islamismo in un'Europa che pure, grazie all'unione fra gli stati, rappresenta un baluardo di democrazia e di dialogo. Riguardo all'antisemitismo: gli ebrei hanno una casa in Israele, ma fuori, talvolta, ancora non sono sicuri».

Tuttavia Israele apre un'ambasciata negli Emirati. Buon segno, no? «Non mi risulta che gli Emirati ci fossero ostili. È semplicemente un accordo che si fonda su un reciproco tornaconto economico. Impegnarsi per la pace è un'altra cosa, e lo reclamerebbe la Palestina. Ma servirebbero, da entrambe le parti, politici lungimiranti e coraggiosi».

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