Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 28/01/2021, a pag.17, con il titolo "Una donna per la nuova Tunisia: 'Liberiamoci dall’Islam politico' ", l'intervista di Giampaolo Cadalanu.
Giampaolo Cadalanu
Abir Moussi
Abir Moussi è la conferma di una leggenda, quella che racconta le tunisine come donne forti e decise. Ha raccolto i cocci dell’eredità politica scomoda del presidente Ben Ali, cacciato dalla piazza dieci anni fa, rivendicando il mandato della tradizione laica di Habib Bourguiba, anche a costo di allontanare gli entusiasti della Rivoluzione del 2011. E oggi il Partito destouriano libero che guida è in testa ai sondaggi. Così una buona fetta del Paese guarda a questa avvocatessa di 45 anni con la speranza che possa traghettare la Tunisia fuori dalla crisi.
Presidente, che cosa c’è dietro il malcontento dei tunisini? «La situazione è catastrofica. Lo dicono le cifre dell’economia: il Paese è indebitato fino al collo, lo Stato può destinare appena il tre per cento del bilancio agli investimenti, e questo significa che non c’è speranza di miglioramento. Oltre un quinto della popolazione vive sotto il livello di povertà. Ci mancava solo il Covid. E tutto in un contesto di grave instabilità politica, con un governo nuovo ogni trimestre».
Ma come valuta le manifestazioni e le proteste? «Bisogna distinguere: ci sono le proteste di chi ha fame, e ci sono le violenze dei delinquenti. Il ministero della Difesa ha già avvertito sulle possibili infiltrazioni di terroristi fra i manifestanti».
Qual è la via d’uscita per la Tunisia? «Noi abbiamo un programma preciso, ma il primo punto, il più importante, per uscire dalla crisi è chiudere del tutto con l’Islam politico. La situazione di oggi è frutto delle loro politiche, loro non credono nello Stato, lo vogliono sostituire. Abbiamo sentito persino l’offerta con cui proponevano di schierare i giovani militanti accanto alla polizia, contro i dimostranti».
Ma come si fa a eliminare dalla vita politica una fetta significativa del Paese? «Con la democrazia: le forze laiche e progressiste possono costituire una maggioranza e isolare gli islamisti. Se facciamo un’ampia alleanza, le riforme si possono fare senza di loro».
Resta il fatto che loro oggi rappresentano una realtà importante, non è così? «Senza le pressioni che fanno sulla giustizia, il loro peso sarebbe ridimensionato. Costruiscono alleanze sulla base dei dossier. In più, senza i finanziamenti illegali di Paesi come il Qatar e la Turchia non potrebbero andare lontano».
Che cosa comprende il resto del vostro programma? «Riforme economiche e sociali, spinta sull’industria pubblica, sul riequilibrio dei bilanci, sull’aumento della produzione. E riforma dell’istruzione, minacciata dall’oscurantismo degli islamisti».
Che cosa bisogna fare per attirare investimenti stranieri? «Serve stabilità politica, più sicurezza». Lei non ha mai preso le distanze dall’esperienza di Ben Ali. Come la valuta? «Noi non facciamo riferimento al passato per nostalgia della persona Ben Ali, ma per la Tunisia che tutti conoscevano, con vocazione euromediterranea, stabile, sicura. E questa è stata dimenticata negli ultimi dieci anni».
Come si spiega la forza delle donne tunisine? «Dobbiamo essere forti perché siamo sotto la minaccia dell’oscurantismo».
Lei sottolinea l’esigenza di maggior sicurezza. Basterà per fermare i disperati sui barconi? «Solo se ci sarà un miglioramento sociale, con l’aiuto dei Paesi amici. Vogliamo ampliare i meccanismi di partnership che prevedono permessi di lavoro temporaneo, sulla base delle esigenze produttive dei Paesi europei. Fermare i meccanismi di traffico di persone, per esempio aumentando le pene per gli scafisti, vuol dire anche tagliare le fonti di finanziamento del terrorismo. Per batterlo dobbiamo anche prosciugarne le risorse».
Che pensa della Tunisia esportatrice di jihadisti? «È il risultato dell’influenza islamista. Dobbiamo tornare a esportare datteri, arance e cultura della tolleranza».
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