Il difficile risveglio degli arabi israeliani
Analisi di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Ali Salam, Sindaco arabo di Nazareth, con Benjamin Netanyahu
In questi giorni, nonostante il confinamento e le disposizioni del distanziamento sociale, si sono svolte manifestazioni di protesta un po’ ovunque nelle comunità arabe in Israele, per lo più in quelle nel Nord del Paese. La maggior parte di queste manifestazioni si sono svolte pacificamente, i cittadini esasperati, sotto il controllo di politici locali, si sono accontentati di scandire slogan davanti alle forze di polizia che si tenevano a debita distanza. Sappiamo che le relazioni tra la minoranza araba e la polizia sono sempre state tese, a causa del nazionalismo. Spesso è sotto le bandiere palestinesi che marciavano i manifestanti. E’ successo infatti per solidarietà con i palestinesi che avevano appena scatenato la Seconda Intifada, che nell'ottobre del 2000 si verificarono violente rivolte. Furono represse con il pugno di ferro; ci sono state 13 vittime. La commissione d'inchiesta incaricata dall'allora Primo Ministro Ehud Barak, aveva pubblicato severe conclusioni sulla gestione della crisi da parte di governo e polizia, ma anche sul comportamento dei leader della comunità araba, che non avevano fatto nulla per placare i risentimenti. Per molti anni la polizia aveva evitato il più possibile di entrare nelle città e nei villaggi arabi, dove allora regnava peraltro una forma di omertà. Gradualmente, attraverso il poroso confine con l'Autorità Palestinese, si sviluppò un fruttuoso traffico di droga e armi. Ben presto delle bande rivali iniziarono vere e proprie guerre tra gang. Battaglie campali in mezzo alla strada, granate, autobombe, sparatorie indiscriminate che a volte raggiungono passanti innocenti. Anche in questo caso, per mancanza di cooperazione locale, la polizia si è trovata impotente. Invano furono costruite nuove stazioni di polizia, mentre sempre più arabi israeliani venivano reclutati dalla polizia.
Nazareth, la più grande città a maggioranza araba in Israele
La crescente insicurezza ha spinto molti cittadini ad acquistare a loro volta armi per difendersi. Va detto che nel contempo la società araba aveva iniziato ad evolversi. Sempre più numerosi erano i giovani che proseguivano gli studi nelle università di Israele prima di prendere parte attiva alla vita del Paese, nelle professioni mediche e paramediche, nel mondo bancario e finanziario e nelle industrie high-tech. Oggi questi giovani non si sentono più rappresentati dai tradizionali partiti arabi rivolti interamente alla difesa della causa palestinese e disinteressati alla sorte dei loro elettori. Una disaffezione che sta guadagnando terreno. La maggioranza degli arabi israeliani ha condannato il voto dei suoi deputati eletti alla Knesset contro gli Accordi di Abramo e l'apertura di relazioni diplomatiche con i paesi del Golfo. Ma torniamo alle proteste di questi ultimi giorni. Stavolta non si trattava di protestare contro la violenza della polizia, ma al contrario di chiedere una maggiore presenza della polizia nelle città e nei villaggi arabi per porre fine all'insicurezza. In questo periodo pre-elettorale, i cittadini arabi israeliani chiedono al governo di assumersi il suo ruolo assicurandogli tutta la loro cooperazione. Si alzano voci che inneggiano alla creazione di un nuovo partito arabo pronto a unirsi a una coalizione di governo al fine di lavorare per il benessere della sua comunità. Ali Salam, Sindaco di Nazareth, la più grande città araba del Paese, non ha esitato a dichiarare pubblicamente di essere “con Bibi”.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".