Verso un ritiro americano?
Analisi di Antonio Donno
Joe Biden
Dopo i due attentati suicidi avvenuti a Baghdad nei giorni scorsi, attentati rivendicati dall’Isis, l’Iraq pare stia ricadendo in una situazione difficile. Non che fino ad ora il Paese abbia goduto di stabilità politica e di ripresa economica, ma almeno non aveva subìto esplosioni di violenza interna. Tuttavia, la decisione di Washington di ritirare le proprie truppe dal Paese, decisione presa da Trump prima della sua uscita dalla Casa Bianca, propone un interrogativo importante per l’intero assetto del Medio Oriente. La posizione strategica dell’Iraq nella parte settentrionale del Golfo Persico e i lunghi confini che lo separano dall’Iran sono fattori che non possono essere trascurati dal nuovo governo americano a guida democratica. Se le trattative tra Washington e Teheran dovessero essere riaperte – come sembra evidente dagli annunci del presidente Biden – la questione irachena dovrebbe far parte del fascicolo diplomatico al centro delle trattative. La presenza degli Hezbollah filo-iraniani in Iraq riguarda, da un punto di vista militare, non solo parte del territorio del Paese, ma anche lo stesso potere politico che governa a Baghdad. Nel contesto politico frammentato del Paese, l’Iran con i suoi miliziani ha una forza decisionale molto importante; in sostanza, Teheran, nonostante i colpi subiti dall’Amministrazione Trump, ha una salda posizione in Iraq e, di conseguenza, una maggiore influenza sull’intero Golfo Persico. Il ritiro dei soldati americani dall’Iraq deve essere attentamente valutato da Biden e dal suo Segretario di Stato Antony Blinken. Qualunque sia l’esito degli accordi tra Stati Uniti e Iran, la questione della presenza degli Hezbollah filo-iraniani in Iraq non può essere lasciata fuori dalle trattative. Per questo motivo, il contingente americano non solo deve rimanere inalterato, ma deve essere rinforzato. La presenza americana in Iraq deve rappresentare un significativo punto di riferimento politico-militare nel Medio Oriente, non solo nei confronti di Teheran, ma anche delle ambizioni della Russia e della Turchia nella regione. Insomma, l’Iran non deve illudersi di mantenere inalterate le proprie posizioni in diverse, strategiche zone mediorientali, attraverso il sostegno ai terroristi di Hezbollah, ottenendo, nel contempo, anche risultati favorevoli nelle trattative con gli Stati Uniti.
La politica di Biden nel Medio Oriente non deve lasciar spazio alle illusioni dei nemici degli Stati Uniti (e di Israele), i quali, dopo l’uscita di scena di Trump, ritengono di aver riacquistato quella libertà di movimento politico che era stata loro negata dalle iniziative di Washington nei quattro anni di presidenza trumpiana. Ecco perché è fondamentale che gli Stati Uniti mantengano le loro posizioni militari in Iraq e le rafforzino. Lo stesso discorso vale per l’Afghanistan. Benché il Paese non abbia ricadute politiche immediate nell’area mediorientale strettamente intesa, la questione centrale è che gli Stati Uniti non possono essere assenti da quell’immensa regione che va dal Mediterraneo al Centro-Asia e, più a sud, all’India. Non si tratta di rispolverare la vecchia “politica di potenza” degli anni della guerra fredda – per quanto sia la Russia, sia la Cina facciano proprio questo –, ma di segnare una presenza politica che indichi un’attenzione precisa verso l’evoluzione dello scenario internazionale. Il ritiro progressivo dall’Afghanistan, già iniziato da Trump, non è positivo. Anche in questo caso, non si può lasciare spazio alle intenzioni della Cina di allargare la propria influenza sempre più a Occidente. La politica di ritiro degli Stati Uniti da alcuni scenari internazionali, politica iniziata da Obama e continuata da Trump, ha un impatto favorevole per le ambizioni di Russia e Cina. Per quanto la Russia abbia carte meno giocabili a causa della crisi economica del Paese, la Cina, al contrario, gode di ottima salute economica e punta gradualmente verso il Mediterraneo. Questo scenario non si concilia con gli assai importanti assetti che si vanno delineando con gli Accordi di Abramo, che vedono un riavvicinamento storico tra Israele e alcuni Paesi arabi sunniti della regione. Se gli Stati Uniti di Biden intendono mantenere e rafforzare questi accordi, non possono tralasciare una loro presenza politico-militare in alcune situazioni del Medio Oriente, cioè l’Iraq e l’Afghanistan.
Antonio Donno