A destra: arabi palestinesi, un'identità costruita sulla violenza
In Italia si può parlare francamente delle commissioni parlamentari? E degli ambasciatori stranieri? Mentre sempre nuovi paesi arabi approdano alla normalizzazione dei rapporti con Israele, qui si volge altrove l'attenzione e si fanno bilanci surreali. Alcuni mesi fa (martedì 30 giugno 2020 alle ore 11:00, per l’esattezza) la nostra Camera dei deputati ha riservato una deferente audizione, sia pure “informale”, all'ambasciatrice palestinese in Italia, Sua Eccellenza Abeer Odeh (sulla Web Tv della Camera è l’evento 16429) “nell'ambito dell'esame della Relazione… sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, ma in realtà (è solo la prima ipocrita contorsione) “sulla prospettiva di parziale annessione di territori palestinesi da parte israeliana”. Nessun organo di stampa ne ha riferito, probabilmente perché non è una notizia, un’autentica novità. Basti infatti dire che un punto d’arrivo della relazione è stata la richiesta di colpire servizi e prodotti israeliani (pratica che dovrebbe già ricadere in pieno nella definizione di antisemitismo dell’Ihra), per assolvere a un presunto “obbligo giuridico” e non certo per volgare boicottaggio. Non sono gli unici giochi di parole. Il principale riguarda appunto i “territori occupati” o “territori palestinesi”, o ancora “la nostra terra”, come ripete più volte Odeh. Lo dice la parola: se si chiama Palestina è terra dei palestinesi (dal Giordano al mare, si badi bene, visto che si parla di una sua divisione in due stati). Ecco le sue stesse affermazioni: “siamo qui per esprimere la nostra preoccupazione circa l’annessione da parte israeliana del 30% della nostra terra che inizierà domani”; l’insediamento di “colonie” è “un furto di risorse e di terre palestinesi”; “nel 1993 l’OLP sottoscrisse gli accordi di Oslo con Israele rinunciando alla propria pretesa al 78% della Palestina storica”; “anche l’accesso alle risorse nell’area C è vietato da Israele”; “la soluzione dei due stati comporta il riconoscimento da parte palestinese di Israele che controllerebbe il 78% della Palestina storica, questo è il nostro compromesso doloroso per avere la pace”. Forse si conta sull’ignoranza di quanti ascoltano, facili al fraintendimento indotto. La Palestina sembrerebbe un prodotto spontaneo della natura vecchio quanto il mondo e i palestinesi i suoi congeniti abitanti da sempre. Gli israeliani invece fanno la figura di estranei colonizzatori arrivati al principio del XX secolo a cacciarli con la forza per rubare le loro legittime terre. Sua Eccellenza protesta ripetutamente di volere la pace. Sono solo parole. Nei primi anni Trenta anche Hitler sosteneva di volere la pace e molti gli davano retta, mentre Stalin alla sua morte fu ancora salutato come “l’alfiere della pace”. Nel discorso alla Camera di un’ora e mezza la relatrice riesce a non menzionare mai le guerre, il terrorismo e le manovre internazionali finalizzate alla distruzione dello stato di Israele. Come se tutto questo fosse irrilevante, privo di conseguenze o magari perfettamente giustificato e coerente coi dichiarati propositi di pace. Ribalta grottescamente la realtà e i ruoli delle due parti: “tutti i governi [israeliani] hanno dimostrato di volere la terra più di quanto non vogliano la pace”; e hanno lo “scopo di vanificare il diritto di autodeterminazione palestinese”; ovvero “lo scopo di garantire che i palestinesi non potessero esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione”. Di tutti i riferimenti storici fa un uso parziale, distorto, fazioso: “Mentre noi stiamo parlando i rappresentanti statunitensi e israeliani si stanno incontrando a Washington o a Tel Aviv per decidere del futuro della Palestina proprio come per la Sykes-Picot si incontrano per decidere il destino, la sorte di una terra che non gli appartiene”. Verrebbe da chiederle a chi appartenesse allora e a chi appartenga oggi quella terra, e perché. A quei tempi era parte dell’Impero ottomano, abitata anche da ebrei, spesso proprietari. Non risulta che costoro partecipassero agli accordi spartitori. Se Sykes e Picot presero decisioni del tutto illegittime e sbagliate, non dovrebbero esistere neppure la Giordania e la Siria, ma solo un grande stato arabo, come chiedevano allora i nazionalisti arabi. Neanche la Palestina dovrebbe esistere. Altra analogia: l’attuale proposito di annessione è “come una seconda Dichiarazione di Balfour”. La condanna odierna vale dunque ancor prima per qualunque pregresso sostegno alla fondazione di uno stato ebraico. Perlomeno il nuovo progetto fa parte di quello “iniziato con le prime colonie nel 1967”. Si omette che in precedenza, quello stesso anno, ci fu una guerra. Né si considera dov’erano allora e nei vent’anni precedenti i palestinesi e la terra che oggi reclamano. Ora si difende “la soluzione dei due stati”, che “non è cosa nuova, nel 1947 l’ONU aveva proposto di dividere il territorio della Palestina in due stati”, con varie riedizioni della proposta. Si tace tuttavia chi rifiutò questa come tutte le altre proposte simili, fino a quella di Barak nel 2000 e di Olmert nel 2008. In Israele ormai devono aver capito l’antifona e vorranno provare a cambiare musica. Nella foga del discorso si arriva a sostenere che “allentare anche le restrizioni così pesanti imposte a Gaza potrebbe portare ad una crescita aggiuntiva di un terzo del PIL per lo stesso arco temporale e questi sono dati tratti dal rapporto della banca mondiale del 2018”. Eppure, in attuazione degli accordi di Oslo, Gaza fu lasciata a se stessa senza alcun contraccambio ormai quindici anni fa da Sharon, che passava pure per essere un feroce e sacrilego usurpatore. Si tralascia di dire chi e come la governi attualmente, che cosa si riprometta per Israele, e che rapporti abbia con la stessa Autorità palestinese. Le restrizioni imposte da Israele (lì come in Giudea e Samaria) si rivelerebbero cause e non effetti dei problemi dell’area. In Israele pare ci si diverta a costose mobilitazioni delle proprie forze pur di tenere sadicamente basso il PIL dei vicini di casa. Il razzismo tuttavia è un difetto altrui: “L’ambasciatore israeliano [sic, statunitense in realtà] in Israele David Friedman ha affermato che, per avere uno stato palestinese, i palestinesi avrebbero dovuto diventare canadesi: veramente un’affermazione di matrice razzista!”. Chiunque si rende conto che non ha senso parlare di razze canadesi o palestinesi, né affibbiare a Friedman l’opinione contraria. Piuttosto si dovrebbe parlare di razzi palestinesi e di altri mezzi atti a offendere che colpiscono i civili israeliani nella speranza di eliminarli tutti un bel giorno. Se in Nordamerica accadessero fatti simili, e se il governo canadese fomentasse l’antiamericanismo fin dalle scuole, premiasse i terroristi e facesse fallire ogni tentativo di accordo. Ebbene, allora diremmo che i canadesi si comportano come i palestinesi, e gli Usa non farebbero nulla di diverso da quello che fa Israele, senza alcuna ombra di razzismo. A un certo punto torna persino per Gerusalemme “la possibilità di creare una città aperta, che sia la capitale di entrambi gli stati”. Ma la Gerusalemme città aperta prospettata dopo la Seconda guerra mondiale sarebbe stata tale proprio perché non avrebbe fatto parte di nessuno dei due stati e dunque non avrebbe potuto esserne la capitale. Evidentemente si vuole insinuare che Gerusalemme sia al momento inagibile: “questo piano modifica lo status quo dei luoghi santi modifica lo status quo della spianata delle moschee… e ci sono molti siti cristiani che sono fortemente colpiti ad iniziare dal Santo Sepolcro”. Si adducono vaghe allusioni a eventi fantasiosi: “la presenza cristiana… è stata drammaticamente colpita dalle politiche israeliane di trasferimenti forzosi e di colonizzazione”. Fino al solito totale capovolgimento della realtà: “Inoltre il fatto di separare Betlemme e Gerusalemme minaccia di distruggere ogni presenza cristiano-palestinese significativa”. Peccato che cronache, statistiche e studi vari mostrino come in tutto il Medio Oriente solo in Israele le comunità cristiane prosperano liberamente, mentre sono perseguitate, discriminate e in via di scomparsa in tutto il mondo arabo o, più in generale, musulmano. Le obiezioni persino troppo scontate poste fin qui andrebbero fatte proprie dai parlamentari italiani, che invece di fronte allo sproloquio diplomatico hanno preferito tacere, annuire, sofisticare su qualche dettaglio. All’Italia Abeer Odeh arriva addirittura a prescrivere dei doveri specifici: “Il ruolo italiano è proteggere la presenza cristiana”. Lo stabilirebbe inconfutabilmente il Trattato sui luoghi santi del 1878, a conclusione del Congresso di Berlino, quello di Bismarck finalizzato a contenere l’espansionismo zarista a spese dell’Impero ottomano dopo la pace di Santo Stefano. Tutta roba di grande attualità, come ognuno può ben capire. Probabilmente qui si fa appello a una certa sensibilità selettiva e interessata per la libertà religiosa, e ad alcuni luoghi comuni nostrani, a partire dal vezzo di parlare di Terrasanta. Gli argomenti più persuasivi per ottenere consenso o almeno silenzio devono essere verosimilmente altri. Rivelatrice in particolare l’affermazione che “non è in gioco solo la Palestina, sono in gioco tutte le nazioni che amano la pace”. Anche alla luce dei recenti accordi internazionali di cui si diceva all’inizio, potrebbe muovere al riso, tanto è falsa. Se però si guarda al riavvicinamento tra Anp e Hamas, a Hezbollah, Iran e affini, allora si deve prenderla sul serio, come minaccia. Cordiali saluti,
Andrea Atzeni
Gentile Andrea,
la sua lettera che è più che altro un articolo storicamente molto esplicativo, mi lascia senza altro da aggiungere. I palestinesi, compresa la loro "ambasciatrice" a Roma, parlano tutti la stessa lingua delle lamentazioni e delle mistificazioni: Sono stati creati con Adamo ed Eva, Israele è solo terra loro dalla creazione del mondo, gli ebrei non esistono. Terrorismo, guerre e violenza non sono fatti loro e adesso la loro ultima invenzione è che Israele non li vuole vaccinare, poverini. Israele vaccina tutti i cittadini israeliani, ebrei, arabi, circassi, cristiani, musulmani, persino gli arabi di Gerusalemme est sebbene abbiano passaporto giordano. Dimenticano di dire che, secondo gli accordi di Oslo, i palestinesi dell'ANP devono preoccuparsi della propria salute, vaccinazioni comprese. Dimenticano di ricordare che Abu Mazen, alla proposta di Netanyahu di comprare i vaccini anche per loro ha risposto con un seccatissimo NO. Adesso si lamentano e il mondo intero crede alle loro menzogne e alle loro infami lagne. La ringrazio per il suo scritto che farà capire molte cose a chi leggerà e la saluto cordialmente.
Shalom