Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/01/2021 a pag.13, con il titolo 'Mi finsi islamica per salvarmi, rinnego tutto', il commento di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
La copertina
E’ il dicembre del 2019 quando a bordo di una camionetta arriva "Crazy Eyes", il capo del gruppo di estremisti islamici che la tiene prigioniera da mesi: vuole sapere perché sta facendo lo sciopero della fame. «Buongiorno Edith, tutto bene?». «Sì», risponde la ragazza senza riflettere troppo. «Sicura? Perché i miei uomini mi hanno detto che non vuoi più mangiare», le dice l'islamista con uno strano sorriso. «Visto che "Crazy Eyes" aveva l'aria di essere un tipo pericoloso, mi è sembrato prudente rinunciare all'atteggiamento da combattente che avevo con le guardie, e adottare il profilo basso di una donna sottomessa», racconta Edith. Poi si fa coraggio, dice che è passato un anno dal suo rapimento, che loro l'hanno separata dal suo ragazzo, Luca, e non sa nemmeno se è vivo. «Come sta?», chiede Edith. «E vivo ed è tutto ciò che conta. E vivo e lo sei anche tu», risponde "Crazy Eyes". La ragazza chiede subito di essere riportata da Luca, ma il capo dei suoi sequestratori le spiega che non è possibile. «Ecco ciò che ti propongo: potremmo fare un video con Luca, solo per te, ma in cambio devi rinunciare al tuo sciopero della fame».
Luca Tacchetto con Edith Blais
SENZA ALTERNATIVE Edith è felice, sorride come una bambina all'idea di rivedere anche solo attraverso un video il suo ragazzo. Ma mettere fine allo sciopero della fame non è l'unica richiesta di "Crazy Eyes": «Dovrai anche leggere il Corano e imparare le preghiere per diventare una brava musulmana». Quando Edith sente queste parole, toma fuori il suo animo ribelle: «Per ora, non ho voglia di convertirmi all'islam, e non credo sia questa la ragione per cui lei è venuto qui». Dinanzi alla riottosità della giovane, l'islamista alza la voce: «Diventerai musulmana! Pregherai Allah!». Per l'ultima volta, Edith cerca di spiegargli che lei «ha rispetto per la religione» islamica, ma non vuole convertirsi. "Crazy Eyes", in preda all'ira, reagisce così: «Rispetto? Questo non è rispetto. Tu diventerai musulmana! Se morissimo e ci ritrovassimo entrambi davanti a Dio, mi chiederebbe perché non ti ho convertita. Cosa dovrei rispondergli? Che ho provato, ma tu non hai voluto ascoltarmi? No! Sei una miscredente e un animale agli occhi di Dio se rifiuti l'islam». Edith non ha alternative se vuole restare viva e sperare un giorno di riabbracciare Luca e i suoi cari. «Non mi pento della mia scelta. Dovevo sopravvivere, e questa conversione era il male minore. Oggi, non ho conservato nulla di questa religione». Esce il prossimo 20 gennaio "Le sablier" (Les Editions de l'Homme), il libro autobiografico di Edith Blais, la ragazza canadese ostaggio degli estremisti islamici tra il dicembre 2018 e il marzo 2020 assieme al ragazzo di cui si era innamorata nel 2016 a Jasper, Luca Tacchetto, architetto di Vigonza (Padova). Il libro, che Libero ha potuto leggere in anteprima, racconta quei 450 giorni di prigionia, nel deserto del Sahara, in balla degli islamisti, che la picchiano, la trattano da infedele e la minacciano. Tutto inizia nel dicembre 2018, quando con Luca decidono di raggiungere il Togo in auto partendo dalla provincia padovana. Attraversano Francia, Spagna, fino ad arrivare a Bobo-Dioulasso, la seconda più grande città del Burkina Faso. Lì trascorreranno l'ultima notte di libertà, perché il giorno dopo, a 50 chilometri dal confine col Benin, all'altezza del cosiddetto "parco degli elefanti", «ci aspettavano sei uomini in turbante, armati di kalashnikov», racconta Edith. Il giovane capo della banda, scrive la ragazza, «ci ha detto che erano jihadisti, soldati che combattono sulla via di Allah, e che li avremmo aiutati nella loro missione». Da il comincia l'inferno. Passano da una banda islamista all'altra, alcune formate da bambini-soldato già abili con i kalashnikov. Poi, il 4 marzo del 2019, Luca e Edith vengono separati. Lo rivedrà in video per la prima volta 9 mesi dopo. «Quando mi ha annunciato che si era convertito all'islam, il mio cuore ha smesso di battere», scrive Edith, prima di aggiungere: «Era molto bello, lo trovavo magnifico, anche se la sua barba mi dava fastidio: sembrava un po' troppo musulmano». Luca era diventato "Sulayman" dopo la conversione. Lei, dopo aver indossato il jilhab, imparato a fare le abluzioni e pronunciato la shah dah, era diventata "Asiya". Ma grazie alla conversione, dopo mesi di lontananza, i loro sequestratori li fanno riunire. «Secondo il Corano ora eravamo loro fratelli e dovevano trattarci con rispetto, anche se restavamo degli ostaggi», scrive Edith. Poi, la sera del 12 marzo 2020, riescono a fuggire dai loro sequestratori a Kidal, nel nord-est del Mali, dove erano stati trascinati, e a farsi lasciare da un camion davanti a una base dell'Onu. «Eravamo liberi. Era difficile rendersene conto, ma la libertà si delineava davanti a noi, con tutti i suoi colori e le sue possibilità. Era bella la libertà!», sono le parole di gioia che Edith scrive nel capitolo "La liberté au soleil levant".
DIFFERENZE A differenza della volontaria dell'Ong Africa Milele Silvia Romano, sequestrata dagli islamisti in Kenya e tornata in Italia ricoperta da un jilhab verde, con nessuna parola di ringraziamento verso lo Stato italiano che l'ha liberata e sventolando la sua nuova fede - «Ora mi chiamo Aisha e ho scelto spontaneamente di convertirmi all'islam» -, Edith si era convertita per finta, solo per sopravvivere, e non vedeva l'ora di ritrovare la libertà occidentale.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante