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La Repubblica Rassegna Stampa
05.01.2021 Rilasciata su cauzione la dj palestinese Abdulhad
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 05 gennaio 2021
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Rilasciata su cauzione la dj palestinese Abdulhadi: era stata arrestata dopo una festa techno in un luogo sacro all'Islam»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 05/01/2021, il commento di Sharon Nizza dal titolo "Rilasciata su cauzione la dj palestinese Abdulhadi: era stata arrestata dopo una festa techno in un luogo sacro all'Islam".

Immagine correlata
Sharon Nizza

Sama Abdulhadi dj palestinese - Una donna al giorno
La Dj Sama' Abdulhadi

La popolare Dj palestinese Sama’ Abdulhadi è stata rilasciata domenica su cauzione dalle autorità di Ramallah. Fino al completamento delle indagini, dovrà presentarsi una volta a settimana alla stazione di polizia e non potrà lasciare il Paese per fare rientro a Parigi dove vive dal 2017. Abdulhadi, 29 anni, nome di fama internazionale nella scena della musica elettronica e nota per essere la prima Dj donna palestinese, era stata arrestata il 27 dicembre dalla polizia palestinese a seguito di una festa techno svoltasi la sera precedente nel sito di Nabi Musa, sulla strada tra Gerusalemme e Gerico. Secondo la tradizione musulmana il sito custodisce la tomba del profeta Mosè e vi si trova anche una moschea. Tuttavia, secondo la ricostruzione dei fatti, gli organizzatori dell’evento avevano ottenuto un permesso dal ministero del Turismo palestinese per tenere la festa in un’area separata dalla parte religiosa del complesso. Nella stessa area si trova inoltre un albergo ristrutturato di recente nell’ambito di un progetto del valore di 5 milioni di dollari finanziato dall’Unione Europea con l’obiettivo di incentivare il turismo locale. Il coinvolgimento della Ue nel sito e l’ondata di solidarietà internazionale sorta nella comunità dei musicisti e degli attivisti per i diritti umani, hanno contribuito a ottenere il rilascio su cauzione, nonostante l’arresto fosse stato prolungato per altri 15 giorni martedì scorso. In una petizione diffusa sui social, che aveva raggiunto 100 mila firme in pochi giorni, si chiedeva l’immediato rilascio della popolare musicista e “il rispetto per la libertà culturale e artistica da parte dell’Autorità Palestinese”. “Siamo molto grati alla comunità internazionale per aver fatto sentire la propria voce”, conferma a colloquio con Repubblica Hadi Mashal, l’avvocato di Abdulhadi. “Sama’ sta pagando un prezzo molto alto per questa situazione imprevedibile e del tutto involontaria. Non è ammissibile che una parte della comunità possa decidere ciò che è morale e accettabile per l'altra parte della comunità. Questo non è lo Stato che voglio per me e per i miei figli. Spero che questa vicenda contribuisca a fare realizzare la sacralità della libertà e dei diritti civili. Spero anche che chi ha attaccato Sama’ capisca che stava solo cercando di promuovere la Palestina attraverso la musica: che piaccia o meno questo genere di musica, questo era il suo obiettivo e non si sarebbe mai immaginata che l’evento avrebbe causato questa reazione”. L’evento organizzato da Sama’ e altri artisti era stato commissionato da Beatport, nota piattaforma di streaming per la musica elettronica, nell’ambito di un progetto volto a “richiamare l'attenzione internazionale sull'importanza del patrimonio culturale e della storia della Palestina” come ha affermato a Repubblica la portavoce di Beatport. Le prove dell’autorizzazione ottenuta dalle autorità rilevanti erano state esibite dalla famiglia della dj, ma nonostante ciò, martedì il giudice aveva deciso ugualmente di prolungare la detenzione di Sama’, citando tra le motivazioni il fatto che “la musica techno non fa parte del patrimonio culturale palestinese”, si legge nella petizione a favore dell’artista. Sama’ è tuttora accusata di profanazione di un luogo sacro e di simboli religiosi, oltre che di infrazione delle restrizioni Covid. Se le indagini in corso portassero a un rinvio a giudizio, Abdulhadi potrebbe scontare fino a due anni di carcere. Le voci che si sono sollevate in favore della Dj sostengono che sia un “capro espiatorio”, accusata strumentalmente per “domare la rabbia popolare”. Le immagini della festa che circolavano online sabato sera sui social hanno suscitato infatti grande sdegno, tanto che un gruppo di palestinesi, prevalentemente di Gerusalemme Est, aveva fatto irruzione nel sito e interrotto l’evento cacciando con prepotenza e minacce i partecipanti. Il giorno seguente, una folla di fedeli giunta per la preghiera aveva poi dato alle fiamme gli arredi delle camere dell’hotel, sostenendo che vi si fossero svolti “atti impuri”. Una commissione d’inchiesta istituita dal premier palestinese Mohammad Shtayyeh ha stabilito giovedì che il ministero del Turismo è responsabile per aver autorizzato un evento non opportuno, e ha incaricato la procura di portare in giudizio tutti quanti siano stati coinvolti sia nella violazione della santità del luogo, sia alla vandalizzazione del sito il giorno seguente.

Nell’ambito delle indagini in corso, ci conferma l’avvocato di Sama’, sono state arrestate altre quattro persone attualmente ancora detenute. Contattato da Repubblica sabato, il portavoce della rappresentanza dell’Unione Europea nei Territori Palestinesi ha affermato che la rappresentanza “sta seguendo da vicino il caso ed è in contatto con l’Autorità Palestinese (Anp). Abbiamo preso atto dei risultati della commissione d'inchiesta e confidiamo nel rispetto dello Stato di diritto e nel mantenimento della libertà di espressione. Abbiamo anche seguito con preoccupazione gli atti di vandalismo e distruzione del sito. L'UE ha finanziato la ristrutturazione del sito di Nabi Musa in stretta collaborazione con l'Anp. L'obiettivo era quello di rendere questo luogo storico più accessibile al pubblico e trasformarlo in un centro culturale e turistico nel rispetto della sua natura, poiché include una moschea. Si tratta di investimenti che vanno a vantaggio del popolo palestinese. Ci aspettiamo da tutte le parti, inclusa l'Anp, di proteggere gli investimenti dell'Ue in Palestina. Tutti i danni dovranno essere riparati e vanno individuati i responsabili. Il sito si trova nell’Area C e i lavori di ristrutturazione sono in linea con il nostro sostegno alla presenza palestinese nell’Area C, minacciata dalla politica israeliana degli insediamenti”. In un comunicato rilasciato attraverso Beatport, Abdulhadi ha detto di stare bene e di voler trascorrere ora del tempo con la sua famiglia. Ha ringraziato “colleghi musicisti, artisti, attivisti e tutti quanti si sono mobilitati in mio sostegno e per aver chiesto il mio rilascio immediato”.

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