Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/01/2021, il commento di Sharon Nizza dal titolo "Petizione social per la dj palestinese arrestata: 100mila firme".
Sharon Nizza
La Dj Sama' Abdulhadi
L’arresto della Dj palestinese Sama’ Abdulhadi domenica scorsa a Ramallah ha suscitato un’ondata di solidarietà nella comunità dei musicisti e degli attivisti per i diritti umani. In una petizione diffusa sui social, che ha raggiunto quasi 100,000 firme in pochi giorni, si chiede l’immediato rilascio della popolare musicista e “il rispetto per la libertà culturale e artistica da parte dell’Autorità Palestinese”.
Abdulhadi, 29 anni, nome di fama internazionale nella scena della musica elettronica e nota per essere la prima Dj donna palestinese, è stata arrestata il 27 dicembre dalla polizia palestinese a seguito di un evento in cui si è consumato alcol e suonata musica techno, svoltosi la sera precedente nel sito di Nabi Musa, sulla strada tra Gerusalemme e Gerico. Secondo la tradizione musulmana il sito custodisce la tomba del profeta Mosè e vi si trova anche una moschea. Tuttavia, secondo la ricostruzione dei fatti, gli organizzatori dell’evento avevano ottenuto un permesso dal ministero del Turismo palestinese per tenere la festa in un’area separata dalla parte religiosa del complesso. Nella stessa area si trova inoltre un albergo ristrutturato di recente nell’ambito di un progetto del valore di 5 milioni di dollari finanziato dall’Unione Europea con l’obiettivo di incentivare il turismo locale. L’evento organizzato da Sama’ e altri artisti era stato commissionato da Beatport, nota piattaforma di streaming per la musica elettronica, nell’ambito di un progetto volto a “richiamare l'attenzione internazionale sull'importanza del patrimonio culturale e della storia della Palestina” come ha affermato a Repubblica la portavoce di Beatport. Le prove dell’autorizzazione ottenuta dalle autorità rilevanti sono state esibite dalla famiglia della Dj. Nonostante ciò, martedì il giudice ha deciso di prolungare la detenzione di Sama’ per altri 15 giorni, citando tra le motivazioni il fatto che “la musica techno non fa parte del patrimonio culturale palestinese”, si legge nella petizione per il rilascio dell’artista. Sama’ è accusata di dissacrazione di luogo religioso e di vilipendio della religione, oltre che di infrazione delle restrizioni Covid.
I suoi difensori sostengono che la Dj è detenuta strumentalmente per “domare la rabbia popolare” suscitata dalle immagini della festa non convenzionale per il luogo in cui si è svolta. Secondo un ragazzo che ha partecipato all’evento e che richiede l’anonimato, a spingere per il prolungamento della detenzione sarebbe il giudice Mahmoud al-Habbash, consulente del Presidente Abu Mazen per gli affari religiosi e la massima autorità palestinese in tema di diritto islamico, che ha dichiarato di provare “disgusto e rabbia per quanto successo a Nabi Musa” invocando la necessità di stabilire una pena adeguata. Le immagini della festa che circolavano online sabato sera hanno suscitato la rabbia popolare, tanto che un gruppo di palestinesi, prevalentemente di Gerusalemme Est, aveva fatto irruzione nel sito e interrotto l’evento cacciando con prepotenza e minacce i partecipanti. Il giorno seguente, una folla di fedeli giunta per la preghiera aveva poi dato alle fiamme gli arredi delle camere dell’hotel, sostenendo che vi si fossero svolti “atti impuri”. Ieri, molti dei fedeli che solitamente il venerdì pregano nella Mosche di Al Aqsa a Gerusalemme hanno organizzato una preghiera di protesta a Nabi Musa. Una commissione d’inchiesta istituita dal premier palestinese Mohammad Shtayyeh ha stabilito giovedì che il ministero del Turismo è responsabile per aver autorizzato un evento non opportuno, e ha incaricato la procura di portare in giudizio tutti quanti siano stati coinvolti sia nella violazione della santità del luogo, sia nell’arrecare i danni al sito il giorno seguente. Contattato da Repubblica, il portavoce della rappresentanza dell’Unione europea nei Territori Palestinesi ha affermato che la rappresentanza “sta seguendo da vicino il caso ed è in contatto con l’Autorità Palestinese (Anp). Abbiamo preso atto dei risultati della commissione d'inchiesta e confidiamo nel rispetto dello Stato di diritto e nel mantenimento della libertà di espressione. Abbiamo anche seguito con preoccupazione gli atti di vandalismo e distruzione del sito. L'Ue ha finanziato la ristrutturazione del sito di Nabi Musa in stretta collaborazione con l'Anp. L'obiettivo era quello di rendere questo luogo storico più accessibile al pubblico e trasformarlo in un centro culturale e turistico nel rispetto della sua natura, poiché include una moschea. Si tratta di investimenti che vanno a vantaggio del popolo palestinese. Ci aspettiamo da tutte le parti, inclusa l'Anp, di proteggere gli investimenti dell'Ue in Palestina. Tutti i danni dovranno essere riparati e vanno individuati i responsabili. Il sito si trova nell’Area C e i lavori di ristrutturazione sono in linea con il nostro sostegno alla presenza palestinese nell’Area C, minacciata dalla politica israeliana degli insediamenti”.
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