'Resta ancora un po' ', il libro di Ghila Piattelli Recensione di Susanna Nirenstein
Testata: La Repubblica Data: 29 dicembre 2020 Pagina: 31 Autore: Susanna Nirenstein Titolo: «Il ricordo che tormenta la sposa senza anello»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 29/12/2020 a pag.31, con il titolo "Il ricordo che tormenta la sposa senza anello", la recensione di Susanna Nirenstein.
Susanna Nirenstein
Ghila Piattelli - la copertina (Giuntina ed.)
Nel 1973, sulle alture del Golan, durante la guerra dei Kippur, un cecchino siriano uccide Jonathan, un ragazzo dell'esercito israeliano dolce e determinato, ferendo di fatto molte altre vittime collaterali, la sua famiglia naturalmente, ma anche Ahuva, la ragazza che voleva sposare, spegnendone per decenni lo sguardo, modificandone la capacità di amare, di vivere, di impostare i rapporti con chiunque verrà in contatto, bloccando in quell'istante il futuro di tanti Il bell'esordio narrativo della quarantenne Ghila Piattelli che in Israele è andata a vivere venti anni fa, è un romanzo in tutto e per tutto israeliano - perché parla di guerre, di immigrazione, di fondatori della patria e di nuove generazioni davanti alla nazione e ai suoi miti, perché ci fa scorrazzare per Tel Aviv e Gerusalemme -, in lingua italiana. Resta ancora un po', edito dalla Giuntina, racconta la perdita, la difficoltà di elaborare il lutto per una donna che non ha neppure la veste istituzionale per piangere il suo amato (in Israele le chiamano "spose senza anello"), l'ostacolo a dimenticare, le ripercussioni di una scomparsa mal accettata sulle generazioni a venire, il bisogno dell'oblio per ricominciare. Ma non vi immaginate una danza funebre. Il libro di Ghila e, al contrario, agile, scorrevole, a volte buffo. Fa pensare vagamente allo stile leggero di Eshkol Nevo. Forse perché a narrare in prima persona è spesso Yoni, il figlio di Ahuva, un ventitreenne spensierato ma anche impacciato e frenato proprio dall'esser nato da un matrimonio mai completamente vissuto, quello tra sua madre - oggi un'importante avvocatessa totalmente impigliata nel ricordo di Jonathan (non a caso ha chiamato il suo piccolo con lo stesso nome) - e Zvika, medico di fama, innamorato di sua moglie come il primo giorno che l'ha incontrata, così innamorato da poter accettare, pur di averla accanto, che lei abbia legato il suo cuore a un fantasma. Le parole di Yoni non sono l'unico registro narrativo.
C'è una voce onnisciente, e si concentra molto su un altro personaggio chiave, Giuditta, la madre di Ahuva, la nonna di Yoni, ultraottantenne, un'italiana immigrata in Israele nel 1949 per amore, un bastian contrario, una donna spiritosa e di polso che non ha mai abbandonato le abitudini del paese da cui viene, contraddicendo in parte l'ethos dell'ebreo nuovo e della nazione intenzionata a far ripartire tutto da zero; Giuditta, con i suoi cappellini fuori dal tempo, una a cui per ripicca piace dire io non sono sionista, ma che poi lo è eccome, una che si prende il carico di dire a Ahuva come, sempre presa dal suo dolore, non sia stata una buona madre. Giuditta sostiene di voler scegliere anche il cimitero dove essere sepolta e per questo inizia a girare perii paese come una trottola, facendosi accompagnare dal prediletto nipote Yoni e da due suoi strambi amici: in realtà più di cercare dove collocare la sua tomba si mette in gioco per aprire gli occhi al ragazzo sul blocco della madre legato a quel lutto che la colpì da giovinetta, per spezzare quel circolo vizioso così condizionante anche in Yoni, per scuoterlo dai rapporti inconcludenti che coltiva. Giuditta, maga dell'appartenere a due mondi contemporaneamente, è cool eccentrica, sarcastica, imprudente da voler mettere un freno al mito del soldato caduto così sacro in Israele, una sfida, un "tradimento" che cambierà le carte sul tavolo. Cambierà tutte le carte sul tavolo perché Ahuva ha impostato l'intera vita a fare di Jonathan un monumento inscalfibile, e sappiamo quanto il legame con la memoria condizioni tanta letteratura israeliana, basterà citare David Grossman e Aron Appelfeld. A quaranta anni dalla morte, Ahuva pensa ancora a Jonathan con desiderio, ne ricorda le parole, ogni promessa, ogni notte stellata, e tutti i martedì, alla stessa ora, allo stesso caffè, incontra Erez, l'amico storico della coppia Ahuva-Jonathan: Il sorriso che si regalano è come il sole che appare brevemente tra le nuvole per poi scomparire: è un patto di sangue il loro, in memoria di Jonathan, in ricordo di quel che sono stati, «perché ciò che viene dimenticato è irrecuperabilmente perduto», un viaggio nel passato per poter sopportare il presente, un rapporto denso di ambiguità. Tutti, a parte Giuditta, sembrano un po' malati, bloccati. Eppure, anche se niente lascerebbe immaginarlo, questo finto equilibrio luttuoso si spezzerà.
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