Le preoccupazioni dei paesi arabi sunniti per la politica mediorientale di Biden
Analisi di Antonio Donno
A destra: Donald Trump, Joe Biden
L’ingresso di Joe Biden e della sua nuova Amministrazione democratica alla Casa Bianca, il 20 gennaio prossimo, è visto con una certa preoccupazione sia dalla Corte saudita, sia dai paesi arabi sunniti che hanno aderito agli Accordi di Abramo. Il fattore più preoccupante per questi paesi è la decisione del governo Biden di riaprire i negoziati con l’Iran sul Jcpoa e, soprattutto, su quali basi di accordo il Jcpoa sarà riproposto. Oltre a ciò, la preoccupazione più immediata consiste nel fatto che il governo democratico potrebbe decidere di abrogare in un sol colpo tutte le sanzioni economiche che Trump aveva posto ai danni del regime di Teheran. Se ciò dovesse avvenire, sarebbe la dimostrazione più lampante che Washington intende rovesciare completamente la politica repubblicana adottata verso l’Iran nei quattro anni di gestione di Trump. Il che potrebbe comportare conseguenze per ora indecifrabili sui rapporti degli Stati Uniti con i paesi che hanno aderito agli Accordi di Abramo. Si deve tener conto, infatti, che la composizione del governo di Biden è condizionata dalle pressioni della parte più estremista del suo staff, che non ha mai approvato l’avvicinamento a Israele da parte dei paesi arabi sunniti, un processo che è giudicato pregiudizievole per il futuro dei palestinesi. In sostanza, porre nuovamente la “questione palestinese” al centro della politica americana verso il Medio Oriente, di pari passo con l’abrogazione delle sanzioni contro l’Iran e al ripristino del Jcpoa, significherebbe un ribaltamento totale della politica di Trump verso il Medio Oriente; cioè, un ritorno al “politicamente corretto” dell’era obamiana. Anzi, in questo quadro, alcuni esponenti del team di Biden stanno operando pressioni affinché Biden firmi un ordine esecutivo che revochi quello di Trump del 2018, relativo alle sanzioni economiche contro l’Iran. Gli esponenti dei paesi aderenti agli Accordi di Abramo hanno messo le mani avanti. Abdallah Mouallimi, inviato dell’Arabia Saudita alle Nazioni Unite, ha affermato in una intervista a Fox News che sarebbe “naïve” ritornare ai vecchi accordi sul nucleare firmati dagli Stati Uniti con il regime degli ayatollah. Il Principe saudita Faisal bin Farhan ha così ha dichiarato: “In primo luogo, ciò che noi ci aspettiamo è di essere consultati approfonditamente, che noi e i nostri amici della regione siamo consultati approfonditamente su ciò che conterranno i negoziati con l’Iran”.
Di fatto, i sauditi vogliono che i nuovi passi americani con l’Iran sul nucleare siano vagliati in primo luogo in incontri tra gli americani e i paesi sunniti aderenti agli Accordi di Abramo. A sua volta, l’ex capo dei servizi segreti di Riyad, Principe Turki Faisal, ha rivolto a Biden un richiamo molto preciso: “Signor Presidente eletto, non si ripetano gli errori e le carenze del primo accordo. Qualsiasi accordo non-esaustivo non otterrà mai la pace e la sicurezza nella nostra regione”. Per “non-comprehensive” Turki Faisal intendeva un accordo con l’Iran che non fosse prioritariamente approvato dai paesi degli Accordi di Abramo. I paesi arabi sunniti, dunque, diffidano del nuovo governo democratico americano e temono che ciò che è stato raggiunto negli ultimi anni – in particolare, i rapporti sempre più significativi con Israele sul piano economico e politico – vengano messi in mora da una politica americana indirizzata in senso opposto rispetto a quella messa in atto da Trump. La politica mediorientale di Trump aveva ripristinato e rafforzato le prospettive di pace nella regione che molti anni prima – con la firma del trattato con l’Egitto nel 1979 e con la Giordania nel 1994 – avevano prodotto grandi speranze per una soluzione definitiva della “questione arabo-israeliana”. Tali speranze naufragarono per l’ostinazione di Arafat e del suo movimento nel perseguire, mediante l’attività terroristica, la distruzione di Israele e la nascita di uno Stato Palestinese sul quel territorio liberato dalla peste sionista. Il rifiuto di Arafat di dare vita ad uno Stato palestinese accanto a Israele ha per decenni intossicato l’intero sistema politico mediorientale. Il pericolo è che oggi, con l’ingresso alla Casa Bianca di un governo favorevole a una rimessa in discussione dei risultati raggiunti da Trump e Netanyahu, la regione tenda a ritornare alla situazione dei tempi di Obama.
Antonio Donno